Si dice che il tempo sia il miglior maestro nel darci risposte e conferme alle nostre scelte. Diventare volontario e sentire di voler continuare a svolgere questo impegno, nell’ambito della Fondazione ViVa Ale, si è rivelata una scelta giusta. Ciò non solo a parer mio, ma anche di tutto il gruppo di persone che operano nella Fondazione.
La forza di tale affermazione nasce dalla consapevolezza che non si agisce più in quanto singola persona, ma in gruppo e da qui la forza della condivisione e la realizzazione degli obiettivi programmati.
La motivazione iniziale di mettersi al servizio dell’altro si rafforza e si specifica nel tempo, toccando con mano la sofferenza di pazienti e familiari che approdano alle “Stanze di Ale” della Fondazione Alessandra Bisceglia. La sofferenza riscontrata non è solo nella malattia, ma spesso, è di chi combatte nell’ignoto, peregrinando di medico in medico senza trovare una diagnosi.
È la caratteristica della rarità che mi ha spinta a continuare ad impegnarmi, per conoscere, in primis, le anomalie vascolari di cui si occupa la Fondazione, ma soprattutto mi ha portato a riflettere e capire che, chi si imbatte in una malattia rara ha più bisogno degli altri. L’ azione del volontario assume un valore sociale di conoscenza e sensibilizzazione verso le specificità della malattia e di conseguenza anche la riflessione sul concetto umano e cristiano di amore verso gli ultimi.
Tutto diventa più difficile per chi, come la Fondazione ViVa Ale, decide di puntare il faro su una malattia rara, dal costruirsi un’identità con le mille difficoltà burocratiche, al ritagliarsi uno spazio di informazione nei vari ambiti istituzionali e non, a promuovere ricerca per dare risposte concrete nel combattere la malattia. Le difficoltà sono enormi anche per noi volontari e spesso le reticenze culturali, ma anche semplicemente la disinformazione della gente, ti fanno registrare momenti di scoraggiamento. La consapevolezza piena delle difficoltà è la risposta a continuare, per non lasciare solo chi soffre. Dall’esperienza che acquisisci giorno per giorno, ti riscopri persona arricchita di piccole conoscenze in più, sia specifiche della malattia, della ricerca, ma soprattutto più umana.
Nel rapporto tra il beneficiario e il volontario ambedue i soggetti fruiscono di benessere, ciò è importante e motivante, per l’uno e per l’altro, nel continuare a combattere contro la malattia.
Il feedback più importante della mia azione di volontario è la consapevolezza di appartenere alla grande famiglia dell’umanità, un microcosmo nel macrocosmo in cui ciascuno è prezioso e indispensabile all’altro e insieme costruiscono questa grande avventura che è la vita.
Credo fermamente che non si tratta di retorica, ma della necessità storica di riappropriarci dei valori fondanti della Civiltà.
Rosa Garripoli