Daniele Erler è nato a Trento nel 1987, laureato in storia, ha iniziato a scrivere per un quotidiano locale nel 2012. Dal 2016 al 2018 ha frequentato la scuola di giornalismo di Urbino. Ha fondato e diretto L’Universitario, giornale degli studenti dell’Università degli studi di Trento. Oggi collabora con Il Fatto Quotidiano e laStampa.it.
Daniele partecipa al Premio con un articolo già realizzato, partendo da una storia specifica e ampliando poi le ricerche. Non ritiene che ci siano grosse differenze rispetto a qualsiasi altro tema. La sfida è sempre la stessa: riuscire a mettere passione in quello che si fa, insieme a rigore e professionalità, puntando a un giornalismo di qualità. Questo in qualsiasi tema.
Alla nostra domanda se la comunicazione sociale è un tema che trova spazio nelle testate, Daniele ci risponde che è un discorso molto difficile perché ne ha solo una percezione, non dati precisi su cui basarsi, ma la sensazione è che gli spazi per la comunicazione sociale stiano aumentando. Da un lato perché le testate dedicano inserti specifici a questo tema. Dall’altro perché la comunicazione digitale permette anche di sviluppare sezioni e canali verticali dedicati alla comunicazione sociale. Ovviamente, aggiunge, si può fare sempre di più e sempre meglio. Per questo anche i premi giornalistici possono servire.
Chiediamo a questo giovane giornalista se le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte. La sua risposta è che si scelgono sempre, con particolare cura. Perché la scelta delle parole è la base di qualsiasi lavoro giornalistico: lì non c’è solo lo stile e la professionalità del giornalista, ma anche la deontologia.
Parlando della necessità di avere notizie sempre nuove, Daniele ci dice che tendenzialmente può essere vero, ma i criteri di notiziabilità possono variare molto. Perché dipendono dal pubblico a cui ci si rivolge, ai canali che si utilizzano, allo scopo del processo informativo.
Analizzando le testate chiediamo a Daniele Erler se sono oramai prodotti commerciali o se ancora svolgono un servizio pubblico. Ci risponde che salvo poche eccezioni, il fattore commerciale non rimane mai in secondo piano. E questo è un grosso problema con la crisi dell’editoria. A rimetterci sono spesso i giovani che non hanno spazi per entrare nelle redazioni, già stremate da prepensionamenti e tagli, fatti spesso con logiche prettamente ragionieristiche. A risentirne è la qualità dei giornali che finiscono con il perdere proprio la loro funzione sociale. Ovviamente anche in questo caso il discorso è molto generico: ci sono eccezioni e modelli di sviluppo che fanno sperare in qualcosa di diverso.
Alla domanda “Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?” Daniele ci risponde: “Non voglio fare nomi ma tracciare un profilo. Un buon giornalista è chi continua a mantenere viva la sua curiosità e la sua capacità di ascolto. Chi riesce a credere ancora nella sua funzione nella società. Chi non rinuncia al rigore e mantiene alta la dignità della categoria. Serve poi una capacità di formarsi continuamente, anche da autodidatti, per rimanere in linea con lo sviluppo della società e della tecnologia. Ma tutto questo non è possibile senza un minimo di vocazione, che è ciò che muove ogni ragazzo che inizia a sognare di fare il giornalista. E lo fa resistere, in maniera ostinata, alle inevitabili difficoltà e alle delusioni di un percorso sempre più in salita.”