Roberto Natale, Rai per la Sostenibilità
“La Rai per la Sostenibilità: gli spazi d’informazione durante le grandi emergenze”
“Il motivo formale per il quale sono qui, è perché sono direttore della neonata direzione della Rai per la sostenibilità ESG, dove S sta per “sociale”. Il motivo vero per il quale sono qui è perché anch’io sono stato uno di quelli che ha avuto la fortuna di incrociare Alessandra … e incrociare la luce della quale si è parlato e rimediarci anche una cravatta!!! … Non so se Andrea abbia avuto questa stessa fortuna. Il mio intervento sarà breve – e questo non è certo un male – perché, me ne scuso, alle 17.30 devo essere a viale Mazzini per un impegno improrogabile. Nella ha fatto un riferimento al lavoro sociale Rai e la ringrazio per aver dato modo di incontrarci con lei negli anni scorsi, la struttura della quale sono direttore era ed è quella che gestisce le campagne sociali, la raccolta degli spazi di raccolta fondi, gli sms solidali e gli spot di comunicazione sociale, le campagne di sensibilizzazione. Non voglio fare qui, essendo tifoso accanito del servizio pubblico, uno spot per lo stesso. Dico solo una cosa che parla del servizio pubblico del Paese. Un dato che non ha fatto forse clamore, ma che è importante: la raccolta di fondi lanciata dalla Protezione Civile sugli schermi Rai nel primo anno della pandemia lanciata raccolse 169 milioni di euro. Solo per fare un raffronto, nei terremoti del 2016 che devastarono il Centro Italia si arrivò a 36 milioni di denaro raccolto. Questo è per dire, non del servizio pubblico, ma della generosità di questo Paese e di come i grandi mezzi di comunicazione quando vogliono sappiano supportare queste nobili e dolorose cause. Sono stato però chiamato a parlare degli spazi di informazione durante le emergenze. Me la potrei cavare, in sintesi, dicendo che l’informazione durante le grandi emergenze si comporta bene. In questi due anni è cresciuta la fiducia dell’informazione … Guerra, pure sulla guerra mi sento di dire ci comportiamo bene nell’emergenza. Penso … e non solo guardando al servizio pubblico, alla quantità racconti che ci arrivano, a quanti giovani inviate di guerra: è uno spettacolo nel dramma entusiasmante vedere come stia cambiando pelle la professione e lo dico con tutto il rispetto. Non sopporto la nostalgia di chi dice “Quando c’era Montanelli che ci raccontava la crisi in Ungheria”. Giustissimo, ma ciascuna epoca ha i suoi Santi e i suoi grandi nomi. Guardiamo con fiducia anche a quanto di nuovo sta producendo il giornalismo. Terzo tema, le catastrofi naturali: anche qui, sinteticamente, sulle emergenze ci siamo. Dopo pochi minuti e poche ore siamo lì e raccontiamo. Dov’è il problema? Il problema è negli spazi di informazione durante le grandi emergenze. Il problema purtroppo non è il durante, sono il prima e il dopo. Pandemia. Prima dove eravamo? Alle cifre che diceva Andrea aggiungo solo una cifra che a me continua a bruciare, se non ricordo male 47 miliardi tagliati in 10 anni alla sanità pubblica. Come abbiamo fatto a non accorgercene? Svuotavano la cassaforte di casa e noi fischiettavamo, dove stavamo noi come informazione? È stato detto il PNR adesso c’è … e un piccolo spot per la Rai lo faccio. In questi giorni è stato costituito gruppo Rai per il PNR. Vuol essere un lavoro di lungo periodo, per andare a guardare come i soldi del PNR verranno impiegati, non solo per far parlare le istituzioni ai cittadini. Sarà un lavoro che permetterà anche ai cittadini, alla rappresentanza organizzata, al volontariato, al terzo settore, ai territori di dire la loro sui progetti… A proposito del dopo c’è un gruppo sociale verso il quale sento vergogna: le ragazze afghane. Ad agosto dell’anno scorso dicemmo loro che non le avremmo dimenticate. Lo disse la politica internazionale, lo dicemmo anche noi dell’informazione, che fanno adesso le ragazze afghane? Ci stiamo commuovendo adesso per le ragazze iraniane. Quanto durerà la nostra commozione? Il nostro lavoro è serio se si ricorda di esserci anche dopo. Terzo esempio: catastrofi naturali. In Italia abbiamo ricchezza di esempi: è stata citata la catastrofe delle Marche. Mi è tornata alla mente una bellissima frase che usò qualche anno fa Mattia Feltri: “I giornalisti come i magistrati, anzi come i pubblici ministeri, sono quelli che dopo si sapeva tutto prima”. Certo che le immagini di Senigallia inondata sono di grandissima presa emotiva. Ma è già stato ricordato che nel 2016 era stato varato il piano che avrebbe dovuto evitare una nuova Senigallia allaga. Dove eravamo noi? Perché non lo abbiamo chiesto alla politica competente? Avevamo gli strumenti per farlo … poi è stato detto: “Cosa ce ne facciamo del dolore?”. “Ma non sarà che qualche volta il nostro racconto del dolore pure emotivamente coinvolgente toglie lo spazio a qualche notizia?” Lo dico a bassa voce, perché sono questioni di tanta delicatezza che davvero nessuno può presumere di avere in tasca la soluzione. Ma intervistare a quattro giorni dalla sua scomparsa il padre di Mattia facendogli dire che spera di ritrovarlo vivo quando tutta Italia sapeva che era impossibile, non ha tolto lo spazio a qualche altra informazione vera? Nei giorni scorsi mi è capitato di parlare con un esperto di crisi climatica. Era stato chiamato sui fatti delle Marche in un talk di mezzora. Racconta però che hanno chiesto all’edicolante che si era vista portar via dalla piena la sua edicola, quali fossero le soluzioni per evitare che questo disastro si ripetesse di nuovo. Raccontò che quell’edicolante disse con grande trasporto emotivo cose assolutamente infondate, mentre sarebbe stato il caso di sfruttare quell’occasione in altro modo. Con queste osservazioni chiudo. Bisogna tenere a mente non il durante ma il prima e il dopo. Due sottolineature: una ottimistica e una che è una possibile pista di lavoro. La sottolineatura ottimistica – e comunque colgo l’occasione per ringraziare la famiglia Bisceglia, che fa parte di questo movimento che ha permesso al giornalismo sociale di crescere – è che uno dei vantaggi dei capelli bianchi è che uno si ricorda e misura in decenni. Il primo corso sull’informazione sociale lo facemmo all’Unità di Capodarco redattore sociale, era la fine degli anni Ottanta. Oggi grazie anche al cammino che tutti insieme abbiamo fatto di giornalismo sociale ce n’è; formazione al giornalismo sociale se ne fa; il giornalismo sociale non è più una Cenerentola, anche se la politica ovviamente ci domina. L’ultima osservazione invece è la proposta, che torna al tema dei giovani, che toccava così efficacemente Mirella. Si tratta di una proposta che alcuni di noi hanno provato ad avanzare per decenni, fin qui senza risultato. Quella di una educazione sull’uso critico dei media fatta nelle scuole medie inferiori e medie superiori e forse anche nelle elementari. Ha ragione Mirella: oggi i giovani si informano su tanti siti, io sento parlare di fattanza, roba che non so cosa sia e poi scopro che hanno 4 milioni e mezzo di follower. Noi giornalisti e giornaliste, magari sta cominciando la legislatura, io ho provato a dirlo ai colleghi dell’ordine, al sindacato, al garante della privacy che la settimana scorsa ha fatto un’iniziativa anche su questi temi, dobbiamo provare a inizio legislatura provare chiedere al Ministero dell’istruzione se questi temi della società della comunicazione non possano entrare a scuola. Credo che ci sia modo per esserci e noi giornalisti e giornalisti. Altrimenti è inutile lamentarsi che l’intervista del pur grandissimo Aldo Cazzullo al pur grandissimo Totti faccia quel botto di click che ha fatto”.