Interviste a Alice De Luca e Lucrezia Goldin

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?
Siamo venute a conoscenza del Premio grazie a una segnalazione da parte della segreteria del nostro master di Giornalismo. Abbiamo deciso di partecipare perché abbiamo ritenuto che la storia che abbiamo raccontato potesse rispecchiare i valori che animano la fondazione Viva Ale e perché, occupandocene spesso, crediamo sia importante valorizzare i prodotti giornalistici che parlano di temi sociali. 


2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?
Siamo convinte che un premio giornalistico possa realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali. Mettendo in risalto e supportando la produzione di questo tipo di notizie, il premio Alessandra Bisceglia ne incentiva la scrittura e ne stimola la lettura.


3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?
La storia di Uroburo che abbiamo raccontato nell’articolo con cui ci siamo candidate ci ha colpite fin da subito. Incontrare di persona i protagonisti di questo progetto di inclusione, sentire raccontare gli ideali da cui sono spinti, le difficoltà che incontrano ogni giorno e le altrettante soddisfazioni che completano le loro giornate. Entrare, insomma, nella loro quotidianità e avere poi la responsabilità di raccontarla, è stata per noi una sfida stimolante sotto il profilo professionale e un’occasione arricchente sul piano personale.

 
4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?
Pensiamo che per raccontare la sofferenza non esista una ricetta precisa, ma che ci sia bisogno sicuramente di empatia, rispetto e umiltà. Queste componenti si declinano in modo diverso per ogni storia, perché il dolore è uno spazio che si apre nella misura in cui chi lo custodisce concede. Saper guardare senza morbosità dentro a queste aperture, che a volte sono solo spiragli, è imprescindibile per poter raccontare con dignità ciò che si vede.

 
5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?
Abbiamo incontrato molte difficoltà nel raccontare la sofferenza. Una delle più importanti è stata la selezione delle parole adeguate. Una difficoltà non solo semantica (trovare il giusto modo per esprimere una sensazione o un sentimento) ma anche lessicale (trovare la parola o combinazione di parole che descriva qualcuno in modo corretto, rispettoso e coerente con la percezione che quella persona ha di se stessa o con la modalità con cui vuole essere percepita da parte degli altri).


6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?
Riteniamo che il giornalismo moderno dedichi alle tematiche sociali uno spazio che  viene spesso saturato da alcuni filoni tematici specifici e maggiormente seguiti. Ci sono ambiti, più trascurati dall’informazione mainstream, che potrebbero essere raccontati con maggiore frequenza e accuratezza, come ad esempio il tema della malattia e le storie di inclusione sociale.

 
7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?
Guardiamo con fiducia all’avvento dell’intelligenza artificiale nel settore giornalistico. Siamo convinte che questa, come altre tecnologie, sia uno strumento e che, in quanto tale, la sua bontà dipenda dalla mano che lo usa. Non demonizziamo l’utilizzo dell’AI nell’informazione e anzi ne vediamo il grande potenziale, pur essendo consapevoli dei suoi rischi e stando in guardia rispetto alle sue derive.

 
8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Essere buone giornaliste significa, per noi, saper selezionare, ordinare e raccontare i fatti del mondo con la massima imparzialità e correttezza. Consapevoli del potere dell’informazione, la nostra missione è quella di esercitarlo con responsabilità, nel rispetto dei principi cardine della professione e in armonia con la nostra sensibilità personale.