Intervista a Viviana Minervini

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?

Qualsiasi iniziativa possa sensibilizzare su tematiche così delicate, ben vengano. Perché aiutano a guardare le storie, le persone, da prospettive diverse, nuove, che non avevamo considerato. Questo può portare ad impegnarsi ancora di più e meglio nell’attività giornalistica e dell’informazione.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sarebbe banale dire che ci sono tante storie che mi hanno segnata, scrivendo (ahimè) spesso di cronaca nera. E sono tanti gli occhi, i volti, gli sguardi, che rimangono dentro e pesano come macigni. Specie di chi non c’è più. Pensando strettamente a storie riguardanti persone con diversabilità, mi torna in mente un pomeriggio di tanti anni fa passato a casa di Francesca e Domenico, una giovane coppia di Valenzano. Al loro piccolo Paolo fu diagnosticata la Sma di tipo1, quasi subito dopo la nascita, patologia scoperta per caso e che, se scoperta per tempo, è persino curabile. Tanto che la nostra Regione, dopo i numerosi casi e le battaglie politiche, ora ha uno screening neonatale superesteso per individuare fino a 61 malattie rare per assicurare cure tempestive. Quel pomeriggio vedere con quanta abilità quella mamma, che aveva poco più della mia età, era diventata un’infermiera provetta per il suo Paolo, muovendo abilmente macchinari, tubi, pur mantenendo uno sguardo dolcissimo sul bambino che le stringeva forte la mano, mi ha fatto sentire fragile e piccola piccola, davanti alla potenza dell’amore. Che riesce davvero a smuovere montagne e a far diventare qualsiasi peso un po’ più leggero.

3.  È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?

   Certamente. È necessario mantenere la lucidità: offrire non solo spaccati di vita vera, vissuta, di dolore o di gioia, ma anche tenere dritta la rotta dell’oggettività. Delle carte, dei documenti, della verifica. Lo dobbiamo ai nostri lettori che, altrimenti, potrebbero legger tutto sui social, senza acquistare i giornali.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Parlare, genericamente, di “testate” rende la forbice troppo ampia. Certamente c’è più attenzione e si è sviluppata una certa sensibilità su alcune tematiche. Ci sono anche tanti docenti e professionisti di settore che offrono il loro contributo anche attraverso poadcast, video, facendo informazione. Si è a buon punto, occorre non mollare.

5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?

Per raccontare notizie sempre nuove, bisogna fare memoria. Una cosa non può prescindere l’altra. Certo, è necessario dare al lettore/ascoltatore informazioni sempre nuove, verificate e attendibili.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Il servizio pubblico, lo fa la tv di Stato, le agenzie. Le testate locali, le emittenti, sono aziende e si possono ANCHE trovare prodotti commerciali o articoli “acchiappa like”. Magari si può non condividere, ma non basterebbe un’intervista per affrontare un tema così complesso.

7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?

Come ho già detto, l’allarmismo si crea se non si verifica. Se non ci si informa se, dunque, da parte di chi scrive non c’è la curiosità di voler comprendere. Se ci fidiamo del primo che passa e ci dice che gli asini volano, beh sì, si creano allarmismi. Quindi si può fare informazione su tematiche sensibili avendo dalla propria parte curiosità, voglia di conoscenza e di verità.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Grazie all’Ordine dei giornalisti che invia newsletter costantemente.