Pietro Mecarozzi, giornalista, autore e jazzofilo. Comincia a la Repubblica Firenze, poi La Nazione, Class, Vice, The post Internazionale, Momento Italia, Gli Occhi della Guerra, The Vision, La Stampa e il Fatto Quotidiano. Ha frequentato il master in giornalismo politico-economico alla Business School de Il Sole 24 Ore. Un libro alle spalle e tanta passione per politica, economia, inchieste e data journalism. Nel tempo libero? Charles Mingus, Milan e Dosto.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Una sfida piacevole e stimolante.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Con fatica, anche se negli ultimi tempi è riuscita a ritagliarsi una sua fetta di lettori. Conquista non da poco, visto il momento storico.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Entrambe le cose.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Tendenzialmente sì. L’unica eccezione è nel caso delle inchieste, dove fatti di cronaca, dati e ricerche devono fondersi in un solo prodotto completo, difficilmente inedito in tutti i suoi elementi
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Il giornalismo è un impegno civile, non certo mosso da fini monetari. Le testate, per sopravvivere, devo essere entrambe le cose.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
È una persona limpida, dedita al suo lavoro e coraggiosa. Giorgio Mottola della trasmissione Rai Report.