Intervista a Oscar Maresca

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Ho letto la storia di Alessandra Bisceglia, della Fondazione e dei progetti portati avanti. Dopo alcune ricerche ho letto anche del Premio. Ho pensato fosse l’occasione giusta per poter condividere e portare all’attenzione della giuria un articolo che parla – non solo di disabilità – ma di integrazione, amore e passione verso lo sport.

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Il compito di noi giornalisti è condividere e informare. Le buone notizie sono all’ordine del giorno, sta a noi darle il giusto spazio. Un Premio Giornalistico amplifica ancor di più quest’obiettivo. E aiuta chi fa il nostro lavoro a non dimenticare mai quale sia la strada giusta da seguire.

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Quella di Matteo, tifoso dell’Inter non vedente ma sempre in prima fila a San Siro, è una di quelle che più mi ha emozionato. Matteo avrebbe tutti i motivi per stare seduto comodo sul divano di casa a fare il tifo per la sua squadra del cuore. Eppure preferisce mettersi in macchina con suo padre, farsi coinvolgere nella bolgia di San Siro e vivere quelle emozioni che solo uno stadio può regalarti. Mi ha ricordato che per essere felici, a volte, guardare non è necessario.

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?

Credo che nel raccontare la disabilità non serva concentrarsi soltanto sulla sofferenza. Le difficoltà sono all’ordine del giorno, quello che conta è saper reagire. Ognuno di noi lo fa a modo proprio. La vera sfida è provarci ogni giorno e riuscirci.

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?

Con Matteo non è stato subito facile instaurare un rapporto di fiducia. Era un po’ restio a raccontare la sua storia e la sua condizione. Poi si è convinto senza che io aggiungessi nulla. Condividere il proprio percorso di disabilità è una scelta. Farlo significa aprirsi al mondo. Il giornalista è semplicemente un amico con cui fare una chiacchierata.

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?

È necessaria molta più attenzione alle tematiche sociali. Da parte dei giornali e non solo. Fare corretta informazione, rendere disponibili tutte le informazioni utili alle persone che ne hanno bisogno. E anche ascoltare le necessità delle famiglie che vivono con persone diversamente abili. Il nostro lavoro può aiutare e dobbiamo essere sempre pronti a farlo.

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?

L’intelligenza artificiale potrebbe rivoluzionare il mondo del giornalismo. Al pari di ciò che è riuscito a fare Internet. Al momento è uno strumento in via di sviluppo, che va compreso e regolamentato. Il fattore umano resta però imprescindibile.

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista deve informare senza mai allontanarsi dalla verità. In più, deve saper raccontare: una notizia, un fatto, una storia. Deve farsi guidare dalla curiosità e dalle emozioni. C’è una frase di Gianni Minà che amo ricordare, lui era convinto che un giornalista possa esprimere la sua vera identità solo attraverso gli altri. Ed è proprio così.