- È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?
Certamente è un impegno importante non solo per il tema specifico, ma anche per il registro linguistico da utilizzare che dal mio punto di vista non può essere quello degli argomenti trattati dal resto delle rubriche giornalistiche.
- Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
Non riesco a fare un “podio”. Posso dire che entrambe mi hanno colpito perché alcuni aneddoti raccontati dagli intervistati mi hanno fatto tornare alla memoria la mia infanzia, uno in particolare: la mamma che racconta i tentativi di autonomia del figlio autistico. Lei che guarda da lontano il figlio che va a comprare il panino e il proprietario del market – avvisato telefonicamente – lo aspetta davanti l’ingresso. Stessa cosa che faceva la mia famiglia quando io ero bambina. Ecco, può sembrare banale ma quella sensazione mi ha calata dentro la storia.
- Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Informazione è tutto: cronaca, politica, reportage. Quest’ultimo, però, secondo me, è il giornalismo più sincero
- La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?
No, secondo me non esistono. Il mio motto è “scrivi la frase più sincera che sai”
- Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
No, devono essere vere
- Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Le testate, soprattutto online, vivono troppi problemi economici e pian pian si stanno trasformando in prodotti commerciali. Il problema, però, non è certo dei colleghi giornalisti o degli editori, ma di un sistema di informazione che, diventando gratuito, non ha saputo dare valore al mestiere di giornalista
- Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?
Essere gli occhi e le orecchie degli altri
- Come sei venuto a conoscenza del Premio?
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