Intervista a Martina Martelloni

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Sono venuta a conoscenza del Premio attraverso una newsletter di giornalismo. Non partecipo quasi mai a premi e concorsi ma, in questo caso, ho pensato fosse la cosa giusta da fare per far conoscere ancora di più la storia di Carlotta, una bambina affetta da ittiosi arlecchino, malattia rara e ancora oggetto di molte ricerche in ambito medico.

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Me lo auguro, sicuramente è una buona cassa di risonanza per arrivare a più persone possibili, anche a coloro che non gravitano nel mondo del giornalismo.

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Non ho mai pensato ad una selezione di storie sulla base dell’impatto emotivo che hanno avuto su di me. Ho conosciuto e raccontato molte vite, in contesti completamente diversi tra loro. Eppure, credo che la storia di Yasamin, una giovane ragazza afghana conosciuta nel campo profughi di Lesbo, in Grecia, sia stata quella che più mi ha accompagnata per un certo periodo di anni.

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?

Credo che esista solo l’autenticità del racconto di chi è protagonista di tale sofferenza.

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?

Mi è capitato di dover misurare le parole o misurare le inquadrature delle immagini (foto e video) in quei contesti difficili dove la sicurezza delle persone incontrate – sia fisica che mentale- rischiava di essere messa a repentaglio proprio se raccontata la verità delle cose. In questi casi, per me, viene prima la dignità e l’integrità della persona. Sta a me e al mio lavoro, poi, il compito di raccontare, evitando che la persona che ha avuto fiducia in me rischi qualcosa per il solo fatto di aver parlato e condiviso.

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?

Potrebbe essere molto di più di quello attuale.

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?

Bisogna pensare all’intelligenza artificiale non tanto come un autore, ma come un possibile strumento anche in ambito giornalistico. Sta al professionista, poi, la capacità di manovrare questo ausilio senza però compromettere la propria serietà lavorativa.

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Arrivare a più persone possibili, scuotere le menti, alimentare la    curiosità, aprire dibattiti e riflessioni sulla realtà circostante. Sensibilizzare e creare empatia.