Intervista a Luisa Venturin

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Ho saputo del Premio tramite i social network ed il sito dell’Ordine dei Giornalisti. Ho pensato di partecipare perché credo sia importante raccontare l’impegno di persone come Giuseppe che, vivendo in prima persona la disabilità, si adoperano per rendere la collettività, e in particolare i giovani, sempre più consapevoli a riguardo; affinché ciò non sia più considerato un “tabù”.

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Sì, ritengo che sia un contributo prezioso che arricchisce la comunità. Tutto ciò che favorisce il confronto e la condivisione, a mio modo di vedere, è fonte di crescita per la società.

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Il servizio accende i riflettori sulla storia personale di Giuseppe Flore, giovane veronese di 34 anni, disabile fin dalla nascita in quanto affetto da spina bifida. Un ragazzo che, affidandosi alla forza della scrittura, dando vita alla sua prima opera autobiografica, ha deciso di raccontare la propria infanzia e le tante esperienze vissute negli anni, conducendo così il lettore in un viaggio alla scoperta del mondo della disabilità, ma al contempo di accessibilità e inclusione nei luoghi di lavoro. Desiderio di Giuseppe è infatti quello di parlare sempre più, in particolare con i giovani, di questa realtà proprio per contrastare la frase che, fin da bambino, si è sempre sentito dire in riferimento al suo modo insolito di camminare: “Zitto che ti sente”. Così è nato il suo primo omonimo libro che, come l’autore racconta vuole essere un inno a non tacere.

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?

A mio avviso non esiste una “ricetta” preconfezionata. L’importante è seguire la deontologia professionale, che è ciò che caratterizza l’attività e l’operato di un giornalista.

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?

No, non mi è mai successo di incontrare barriere; esprimendosi con onestà, imparzialità e seguendo quanto indicato dalla deontologia professionale, punto sempre a svolgere un buon lavoro, raccontando anche quello che a volte può essere umanamente triste.

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?

Penso che si potrebbe implementare ulteriormente quanto già viene fatto, a partire dall’affrontare tali tematiche anche in sede di esame professionale, così da accrescere la consapevolezza di chi sogna un futuro in questo settore su tali tematiche.

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?

Ritengo che l’intelligenza artificiale possa essere un valore aggiunto comportando un’evoluzione anche nel campo della comunicazione così da accrescere ulteriormente la diffusione delle tematiche sociali.

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista è a mio avviso una persona che svolge il proprio lavoro con onestà, imparzialità, seguendo sempre quanto indicato dalla deontologia professionale. Un professionista che, con passione, si adopera a favore della comunità per raccontare quanto accade.