Intervista a Lorenzo Rampa

Nato a Monza, classe 1993. Brianzolo nello spirito, ma con la Sardegna nel cuore, cresciuto a pane, libri e pallone, da sempre fanatico della cultura pop. Un’insaziabile curiosità ed una profonda passione per le storie lo hanno condotto all’amore per il giornalismo, sbocciato definitivamente dopo uno stage presso il Giornale di Monza. Accantonando gli studi per una carriera da biologo marino, si è laureato in Scienze della Comunicazione a Pavia. Il richiamo del mare tuttavia permane, facendosi immergere ogni volta che ne ha l’occasione. Nel resto del suo tempo libero si divide tra lo scrivere romanzi, il video making e l’ossessione per documentari.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente sì. Personalmente sono alla mia prima esperienza in assoluto in un bando di questo genere ed è la prima volta che affronto un articolo di taglio scientifico. Penso che di per sé l’ambito della scienza rappresenti una sfida nella sfida, inoltre, trattare di temi delicati e poco conosciuti come quello delle malattie rare è sempre complesso. Ma proprio per questo ritengo che sia fondamentale sensibilizzare su simili questioni, dandovi risalto, con un occhio di riguardo per un’informazione più esatta e precisa possibile, dogma imprescindibile quando si trattano argomenti scientifici. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La scelta della malattia rara del Cheratocono non è casuale. Avendolo sperimentato sulla mia pelle, sono stato fortunato ad aver incontrato persone competenti che mi hanno saputo aiutare per tempo. Prima di allora non avevo mai sentito parlare di una malattia simile, che, anche se rara, colpisce sempre più giovani e giovanissimi e purtroppo gode di pochissima visibilità nazionale. Non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se il mio oculista non avesse riconosciuto il problema. Ho scelto di raccontare questa subdola e silenziosa malattia proprio perché i controlli e la prevenzione sono decisivi, e possono evitare che la vita di tanti giovani venga sconvolta irreversibilmente. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

L’informazione può e deve essere prima di tutto utilità sociale. La divulgazione di un argomento di interesse pubblico è sempre utile e rilevante per i lettori nel contesto del presente. Se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, non fa rumore. Allo stesso modo se un’ingiustizia o una disgrazia avvengono senza che nessuno vi assista e, soprattutto, ne parli, si può davvero dire che siano mai accadute? In una società basata su principi a tutela dei suoi membri più deboli o più sfortunati, diventa anche indispensabile dare voce alle storie di pochi, che possono essere d’esempio per molti e sensibilizzano la comunità. Così come sono altrettanto meritevoli di essere oggetto di informazione le possibili iniziative, campagne e raccolte generate dal loro racconto. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Ritengo che, fortunatamente, la comunicazione sociale sia ancora un tema abbastanza ricorrente sulle testate nazionali principali. Anche se, a mio avviso, potrebbe e dovrebbe avere ancor più risalto. E non sempre, purtroppo, questo tipo di comunicazione viene riportata con grande cura e attenzione o con sufficiente approfondimento. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

L’arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione e dei media digitali ha stravolto completamente la realtà di tutto il mondo, intaccando ogni aspetto della comunicazione nella società moderna. La grande rapida diffusione dei social network ha giovato alla comunicazione sociale, garantendo un facile accesso ad una platea enorme e una maggior possibilità di sensibilizzare le persone. Ma allo stesso tempo, sono sorti anche molti aspetti negativi, come la tendenza al sensazionalismo, alla frettolosità, alla mancanza di verifiche e all’eccessivo uso della componente emotiva. Il tutto a discapito dei principi di completezza e accuratezza. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Più che parole corrette, penso si possa parlare di parole chiave o meglio requisiti imprescindibili, di cui il concetto di comunicazione non può fare a meno. Efficacia, chiarezza, completezza, correttezza, tempestività e contestualità, ma soprattutto utilità, ovvero deve essere ben chiaro lo scopo della comunicazione, che deve sempre stimolare l’interesse del proprio interlocutore. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono  essere sempre nuove?

 Si, o quantomeno devono avere un modo nuovo di concepire gli argomenti trattati, devono aggiungere qualcosa e dare una nuova visione delle cose. Stimolare l’interesse del lettore è uno dei punti chiave di cui una notizia non può fare a meno. A volte è necessario ribadire o insistere su certe notizie, per esempio nel caso in cui politica e opinione pubblica si dimostrino restii ad affrontare inchieste o ingiustizie, col rischio che passino velocemente in secondo piano. La stampa in questi casi può fare la differenza, ricordando ai cittadini i fatti accaduti e dando loro visibilità con costanza nel tempo. Così facendo viene mantenuta la coscienza e soprattutto la memoria delle persone e si può evitare che gravi fatti scomodi vengano insabbiati per volere di attori esterni influenti. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Credo che la stampa del presente sia un compromesso tra i due estremi. Se è vero che da un lato è la pubblicità a mantenere economicamente in piedi queste realtà nel nostro Paese, l’obbligo morale della funzione di servizio pubblico ai cittadini rimane il concetto fondamentale del giornalismo, senza il quale si perderebbe sia lo scopo che il significato. In ogni testata principale, spesso si possono trovare esempi in entrambi i sensi, i quali convivono in un compromesso figlio dei cambiamenti dei tempi moderni, giunti soprattutto con l’avvento dell’era digitale. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

 Significa applicare l’etica del dubbio, chiedersi sempre il perché delle cose e domandarsi il motivo per cui le si racconta. Bisogna essere curiosi, approfondire e sviscerare le notizie fino all’osso, saper notare quel dettaglio fondamentale che altrimenti passerebbe inosservato. Posto che l’obbiettività assoluta è un’utopia irrealizzabile per definizione stessa del pensiero umano, un buon giornalista ha l’obbligo morale verso l’atto di fede del lettore e deve sempre cercare di raccontare la verità sostanziale dei fatti, con tutte le opportune verifiche del caso. Lo scopo ultimo di un buon giornalista è quello di tenere bene aperti gli occhi dell’opinione pubblica sul presente e mantenere sveglia la coscienza collettiva con un pensiero critico verso la realtà. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 La mia scuola di giornalismo, Walter Tobagi, mi ha segnalato via mail il bando e da quello spunto ho approfondito l’argomento, vista anche la natura degli argomenti trattati, che già attirava il mio interesse.

 

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