Intervista a Lavinia Sdoga

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Sono venuta a conoscenza del Premio Alessandra Bisceglia grazie alla comunicazione inviatami dal Master di Giornalismo dell’Università di Bologna (di cui sono studentessa).  

Mi è sempre piaciuto scrivere e trattare di temi sociali, in particolar modo di quello della disabilità: per questo ho deciso di prendere parte al concorso.

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Credo vivamente di sì. Un Premio Giornalistico porta alla realizzazione di testi e prodotti informativi che, se trasmessi e veicolati nel giusto modo, possono suscitare all’interno della comunità una maggiore sensibilità e attenzione sui temi trattati.

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

In questi due anni di Master ho avuto modo di trattare varie tematiche (sociali) e di raccontare diverse storie. In generale, a essermi rimasta più a cuore, è stata l’esperienza di Angelica, una giovane ballerina di venticinque anni che è riuscita a uscire dal tunnel dell’anoressia nervosa. L’articolo è uscito sul periodico InCronaca (testata del Master di Giornalismo dell’Università di Bologna) e s’intitola “Il peso della leggerezza. Quando la danza perde la sua poesia”.

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?
Non lo so ma, qualora esista, non credo di conoscerla. Personalmente, credo che i racconti di sofferenza richiedano inevitabilmente un contributo soggettivo, una buona dose di pathos ed empatia. Non riesco a raccontare storie – specialmente se si tratta di storie di sofferenza – senza far percepire nel testo un mio coinvolgimento, una totale vicinanza e immersione rispetto a ciò di cui sto parlando.

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?
Non particolarmente. Tuttavia, credo che quando si raccontano storie di questo tipo l’unica “accortezza” da tener sempre a mente riguarda la modalità di scrittura. Occorre raccontare con sensibilità e delicatezza, scrivere con garbo, non usare termini smodati, avere rispetto per la sofferenza altrui, essere contenuti e non sfociare nell’esagerazione (anche dal punto di vista del pathos, non strafare con toni eccessivamente struggenti).

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?
Abbastanza, ma forse se ne potrebbe dedicare ancor di più.

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?
Entrambi. Sotto alcuni punti di vista credo sia un valore aggiunto, poiché può essere utilizzata per velocizzare e alleggerire alcuni aspetti del lavoro (vale a dire: aspetti che, appunto, possono essere svolti meccanicamente e in modo automatico). Tuttavia, nel giornalismo, vi sono compiti ed elementi per cui l’intelligenza artificiale non si potrà mai sostituire all’uomo; nel caso questo succedesse diventerebbe un rischio.

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?
Raccontare la realtà per quella che è e informare la comunità in modo veritiero, giusto, corretto. Lo scopo del giornalista non è quello di suscitare scalpore o ricercare lo scoop, ma di trattare i fatti per quelli che sono, così da sensibilizzare e accrescere conoscenze nella comunità.