Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia. Attualmente vive a Milano, dove ha conseguito la laurea triennale in Lettere e la magistrale in Editoria, Comunicazione e Moda. I suoi scritti sono apparsi su Soft Revolution Zine, Forbes e The Vision, dove dal 2018 lavora come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi, in uscita ogni mercoledì su Spotify, Google Podcasts e Apple Podcasts. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico (in uscita ad aprile). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Partecipare a un Premio Giornalistico è sempre una sfida perché implica mettersi in gioco e provare a testare la propria sensibilità con altre persone. Soprattutto quando si affronta questo tema è fondamentale creare un rapporto di equilibrio tra il giornalista, il lettore e il soggetto che è raccontato. Se all’equazione si aggiunge anche la giuria di un Premio, che deve valutare anche aspetti più tecnici, allora la sfida è ancora più interessante.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Ho l’impressione che la comunicazione sociale abbia sì spazio nelle testate, ma spesso in modi inopportuni e, a volte, persino discriminatori. Nonostante l’attivismo delle persone con disabilità o con malattie rare, molto spesso il punto di vista è abilista: a parlare e a portare avanti la narrazione sono sempre persone sane e abili, senza lasciare spazio a chi è interessato a tali questioni in prima persona. L’altro problema, molto evidente, è che la comunicazione sociale va in due direzioni contrapposte: o se ne parla in molto pietista e drammatico, oppure per esaltare solo buone azioni e buoni sentimenti. Peccato che spesso il modo in cui vengono veicolate queste notizie vuole compiacere i sentimenti dei lettori e non fare vera informazione.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Le parole si scelgono perché ogni scelta di linguaggio ha un preciso significato politico e sociale. Esistono termini corretti e accettati dalla comunità disabile e delle malattie rare per parlare di questi temi in modo inclusivo e non discriminante, anche se spesso vengono ignorati o scartati perché si crede che il pubblico dei lettori non le possa capire. Ma finché non verranno usate dai media non entreranno mai nel vocabolario delle persone.
Le notizie devono essere sempre nuove?
L’attualità della notizia è un principio cardine del giornalismo, anche se spesso degli avvenimenti del passato possono aiutarci a comprendere il presente, se opportunamente contestualizzati. Certo, non si devono far riemergere notizie vecchie solo per il gusto di fare lo “scoop”, ma spesso si devono prendere in considerazione anche fatti avvenuti in un altro tempo. Poi, se ben raccontata, ogni cosa diventa “notizia”, anche un libro o un film o un’opera di cinquant’anni fa.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Le testate sono servizi pubblici, anche se non si può nascondere che devono basarsi sulla solidità commerciale per garantire dignità ai giornalisti e, di conseguenza, informazione di qualità ai lettori. Molto spesso si rimpiange un’idea “romantica” di giornalismo, ma anche in passato, quando la situazione dei lettori era molto diversa, gli editori dovevano stare attenti alla dimensione economica. Bisogna essere realisti.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Un buon giornalista è un professionista della comunicazione e della scrittura che ha come primo obiettivo il perseguimento della verità e della chiarezza. Da questo primo principio ne nascono necessariamente altri: la verifica delle fonti, la costruzione di un rapporto di fiducia e paritario nel lettore, l’obiettività, il servizio e – ne sono convinta – anche il saper scrivere bene. Come diceva Nanni Moretti nella Palombella Rossa, “Chi parla male pensa male e vive male”.