Giornalista professionista. Scrive principalmente per Primopiano. Si occupa anche di storie – quelle delle persone – e di economia, ma solo quella circolare.
È dipendente da tastiera, ma la narrazione che preferisce è quella raccontata attraverso l’obiettivo di una macchina. La videocamera le fa lo stesso effetto di una calamita al frigo: non riesce a staccarsi.
Laurea in Comunicazione-Lettere e Filosofia, Master in Giornalismo (Iulm).
Stage: Tgcom24 e La Repubblica. Collaborazioni: le più disparate.
- È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?
Per chi decide di approcciarsi a questo mestiere la sfida avviene ogni giorno. Provare a raccontare tematiche specifiche utilizzando termini semplici senza cadere in ragionamenti semplicistici o, al contrario, usando vocaboli tecnici scongiurando il rischio dell’incomprensibilità da tecnicismo, è sicuramente insidioso. Quando il tema è quello della salute allora le precauzioni non sono mai abbastanza. Ci sono almeno due responsabilità alle quali un giornalista che si occupa di comunicazione sulle malattie rare non può venire meno: evitare sensazionalismi e fornire un’informazione il più completa possibile che non crei false aspettative. Infine, l’ultima sfida è nascosta nei valori notizia. Se la rilevanza di un fatto è tanto maggiore quanto più grande è il numero di persone che la notizia coinvolge direttamente, allora come rendere notiziabile una storia sulle malattie rare che – per fortuna – non riguardano la maggioranza della popolazione? Semplice, perché la malattia sfiora ognuno di noi. In altre parole non sei malato raro finché non lo diventi.
- Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
La storia che mi è rimasta più impressa per la forza della protagonista è stata quella di Lola Delnevo, climber costretta in sedia a rotelle dopo essersi rotta la colonna vertebrale in un incidente durante una scalata in Trentino. Lola ha il sorriso stampato sulla faccia e anche se le gambe non collaborano, non ha smesso di vivere la montagna come un tempo. Ha terminato l’ascesa a El Capitan in California ed è tornata a sciare, facendosi aiutare dagli amici. Come un Fitzcarraldo moderno ha spostato le montagne con la forza dei suoi sogni.
- Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Tutto PUO’ essere oggetto di informazione. Quello che non DEVE venire meno è il servizio pubblico. Il giornalista non deve mai dimenticare che il suo fine ultimo è l’utilità sociale e l’obbligo della verità per rispetto del lettore.
- La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
L’obiettivo della comunicazione sociale è sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un problema sociale. Il giornalista deve guidare la comunità in realtà sociali meno appetibili e più scomode e che perciò non sempre trovano spazio sulle testate.
- Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?
Il sistema dei Mass Media e New Media è talvolta accusato di veicolare messaggi e manipolare, anziché informare. Il compito del giornalista è quello di portare i fatti a conoscenza dell’opinione pubblica. Solo così, il lettore, adeguatamente informato, può costruirsi una propria opinione.
- Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?
Non esistono parole giuste o sbagliate nel giornalismo. Esistono quelle corrette. Joseph Pulitzer ha detto che le tre cose più importanti nel giornalismo sono: l’esattezza, l’esattezza, l’esattezza. Essere puntuali nella scelta dei vocaboli, maneggiarli con cura come si fa con la merce preziosa. Essere artigiani della parola non significa compiacersi del proprio esercizio di stile, ma vuol dire non cadere nel pressappochismo.
- Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
Le notizie da divulgare e raccontare non necessariamente devono essere nuove, ossia appena sfornate come un fatto di cronaca con la data di scadenza già predefinita. Ma devono avere all’interno una componente di novità: “la notizia è l’uomo che morde il cane, non viceversa”, avrebbe detto John B. Bogart, caporedattore del New York Sun.
- Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Oggi le testate sono più assimilabili a prodotti commerciali, che a servizi pubblici. La crisi del giornalismo è ormai un mantra e per “salvarsi” le testate hanno messo da parte quei valori alla base della professione, a scapito dell’immagine del giornalista sempre più screditata. Il giornalismo delle marchette e dell’embed social del personaggio noto di turno riuscirà forse a sopravvivere, ma è con la credibilità, la qualità e l’affidabilità che l’informazione potrà vivere ancora a lungo.
- Che significa essere un buon giornalista?
La caratteristica che fa del giornalista un buon professionista è quella di essere curioso. Ripulendo la parola dalla sua accezione più gossippara di ficcanaso, intendo quell’abilità che spinge ad andare oltre le apparenze, ad analizzare la complessità della realtà, a non accontentarsi. A non limitarsi ad andare dentro la notizia, ma a scovare anche dietro la notizia. Un buon giornalista deve essere chiaro e per farlo deve usare frasi semplici, e deve essere onesto. Il raggiungimento della verità giornalistica a cui è chiamato chi si affaccia al mestiere si ottiene con un certo limite di approssimazione rispetto alla verità assoluta, ma è l’onesta intellettuale ad assottigliare questo scarto.
- Come sei venuto a conoscenza del Premio?
Sono venuta a conoscenza del premio navigando sui siti dell’Fnsi e dell’Odg che hanno una sezione dedicata ai premi giornalistici.