Intervista a Giulia Di Leo

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Ne sono venuta a conoscenza tramite il sito Fnsi

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Sì, soprattutto su tematiche meno popolari e conosciute ma sentite comunque da una cospicua fetta della popolazione

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Quella a voi inviata con un reportage sull’epilessia. Perché ne parlo da ex paziente e da caregiver e perché è un tabù che io in primis ho vissuto e che non vedo, a distanza di vent’anni, ancora essersi risolto

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?

Dar parola alle persone. I diretti interessati esprimono sempre tanto coraggio, seppur dicano di non averne in maniera spropositata, e dimostrano lucidità nel racconto. Non cadono nel vittimismo e nel desiderio di essere compatiti. È quanto ho sempre riscontrato nel lavoro di giornalista

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?

Nessuna barriera che mi abbia ostacolato sul lavoro finale ma non escludo possa capitare. Possono essere i soggetti direttamente interessati a essere restii, enti e ospedali, soprattutto quando parlare di sofferenza non mette in buona luce questi ultimi. Talvolta ho trovato poca apertura in questo senso ma sono riuscita ad arrivare comunque alla testimonianza

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?

Sì ma è sempre migliorabile. Penso che anche i lettori oggi voglia sempre di più leggere di storie di questo tipo.

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?

Come ogni nuovo strumento sta a noi utilizzarlo in modo corretto. Non penso però sia un settore in cui l’IA possa essere particolarmente utile. Il contatto umano, penso soprattutto alle interviste, non può essere sostituito

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Empatizzare con la persona di cui si vuole raccontare una storia, ma al tempo stesso farsi da parte per far sì che a parlare sia la sua storia e non il proprio ego