Intervista a Federica Ginesu

Federica Ginesu, giornalista freelance, si occupa di donne, questioni di genere, discriminazioni e comunicazione sociale. Attualmente collabora con il settimanale Grazia e il progetto web de Il Sole 24 ore Alley Oop. Ha pubblicato per La Donna Sarda, Elle, Gente e iO Donna. È coautrice dei due libri “Sardegna al Femminile. Storie di donne speciali” e dell’ebook “Donne di Futuro” de Il Sole 24 ore. Ha vinto il premio giornalistico Gianni Massa per la parità di genere, il premio giornalistico Jessie White per un’inchiesta sociale, il premio Monti – Giovannini e il premio “Giornalista dell’anno” Umberto Rosa per la categoria Salute e Innovazione. È socia della rete Giulia Giornaliste Sardegna.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Ogni articolo è una sfida, ogni volta mi metto in gioco. Mai dare niente per scontato, penso sia uno dei pilastri del giornalismo. L’articolo con cui partecipo al Premio, lo confesso, mi ha messo alla prova. Racconto la storia di una donna che ha reagito agli ostacoli della vita superandoli con forza e tenacia  attraverso lo sport. Un messaggio sociale importante, ma anche una vicenda umana in cui risplende il coraggio, la voglia di non arrendersi e una grandissima determinazione. Una lezione di vita per tutti.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

La comunicazione sociale è uno dei campi che prediligo. Mi permette di rispondere a quella vocazione che è nel dna del giornalismo: dare voce a chi non ce l’ha. Non sempre è possibile farlo per varie ragioni. Per chi come me è freelance è dura, significa proporre alle testate e cercare gli spazi giusti, non sempre si trovano. Questo certamente non mi impedisce di continuare a credere fortemente nelle storie che hanno un alto valore sociale e nel loro potere divulgativo. È così che emergono problemi o questioni che balzano all’attenzione dell’opinione pubblica. L’effetto può essere dirompente e meraviglioso: le storie, ne sono convinta, cambiano il mondo.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Nella comunicazione sociale le parole sono fondamentali, bisogna sceglierle con cura, attenzione e sensibilità. Anche quando in parte sono già scelte, perché legate a qualche patologia o figlie del mondo scientifico. Credo infatti che il giornalismo debba arrivare a tutti, come diceva Indro Montanelli: «scrivi in modo che ti possa leggere anche il lattaio dell’Ohio». Quindi, a mio avviso, un articolo deve essere chiaro, comprensibile anche quando affronta argomenti tecnici, capita in questo campo, sia quando con l’essenziale si deve arrivare al cuore. Le parole sono gli strumenti per arrivare a due risultati: informazione  quindi, ma anche tutti i valori che possono sprigionare i protagonisti e le protagoniste delle storie della comunicazione sociale: solidarietà, integrazione, risolutezza.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Le notizie non devono essere per forza nuove. Lavoro con le news, ma amo anche dedicarmi agli approfondimenti e alle inchieste. Sono articoli che richiedono tempo e consentono di sviscerare un argomento, di rivelare dimensioni, di sollevare questioni che portano, a volte, a nuove notizie.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Il giornalismo in Italia si è un po’ perso per strada. Devo essere onesta. Sotto alcuni aspetti sta investendo più sulla pubblicità che porta introiti sicuri che sul buon giornalismo ossia sulle inchieste o sulla comunicazione sociale, sullo stabilizzare i precari con il loro carico di talento e professionalità. I titoli online fuorvianti e acchiappalike, le false notizie divulgate in fretta senza verificarle sono alcuni dei  problemi generati dalla logica dei profitti. C’è però ancora chi resiste e risponde a quei valori di correttezza, deontologia ed etica che sono i pilastri di questo mondo. Spero che il giornalismo inverta presto la rotta perché al nostro Paese non servono prodotti commerciali, ma un’informazione libera, indipendente e integra.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

In questi giorni ho rivisto il film “The Post” in cui viene raccontata la storia dei Pentagon Papers, i documenti top secret del Ministero della Difesa Usa che riguardavano la gestione della guerra del Vietnam.

Nel gruppo di redazione del Washington Post che lavorò alla pubblicazione dei documenti c’era la giornalista Meg Greenfield, premio Pulitzer nel 1978 . Di lei fu scritto: “Curiosa, saggia, onesta, abile e brillante, dotata di un grande intuito. Integra, indipendente e appassionata”

Ecco la definizione di una buona giornalista.

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