Intervista a Fabio Giuffrida

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È una sfida per il nome che porta questo concorso, per la storia di Alessandra Bisceglia, per la sua forza, la sua determinazione, il suo coraggio. Bisceglia ha trasformato una passione, quella per il giornalismo, in un lavoro, andando contro tutto e tutti, contro ostacoli che sembravano essere insormontabili. Lei è stata l’esempio che volere è potere e che niente è impossibile.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

A colpirmi di più, in questi anni, è stata la storia che ho proposto per questo concorso. “PizzAut” nasce grazie alla forza di un uomo, di un padre che ha aperto, alle porte di Milano, una pizzeria gestita da ragazzi autistici per dare loro un futuro libero e dignitoso. Ragazzi che prima erano tenuti ai margini della società, ai quali lo Stato pensa poco o nulla (soprattutto dopo la maggiore età) e che il proprietario di “PizzAut” ha riabilitato trattandoli semplicemente come persone, come lavoratori con precisi diritti e doveri. La condizione dei ragazzi autistici non deve essere un ostacolo ma deve costituire un valore aggiunto, una marcia in più. Non è un caso che “PizzAut” ha avuto un’eco mediatica incredibile e che la pizza – e lo dico senza pietismo alcuno – è tra le migliori in assoluto.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Veicolare buone notizie fa bene a tutti. È bene parlare sia dei gravi fatti di cronaca sia delle storie comuni, della gente normale, di chi ogni giorno ce la fa, di chi affronta la vita, nonostante le difficoltò, con grande forza. La disabilità o la malattia più in generale va raccontata non con pietismo ma con grande normalità. Le buone pratiche di integrazione vanno messe in luce per far conoscere a chi giustamente non lo sa che una malattia non può frenare un sogno, che non può essere un limite e che ci sono diverse strade tutte percorribili, tutte raggiungibili. L’informazione, tra l’altro, deve veicolare l’importanza dell’evidenza scientifica e dell’equità nell’accesso alle cure.

4. La comunicazione sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Negli ultimi anni c’è sempre più comunicazione sociale sui giornali. Parlarne è giusto ma bisogna usare le parole “giuste”, senza pressappochismo e soprattutto senza trattare il malato o il diversamente abile come un extraterrestre o come un “fenomeno” di cui parlare perché “ci fa pena”. Ecco, questo è quello che non bisogna fare perché restituirebbe un’immagine distorta delle cose. La parola chiave deve essere sempre: normalità.

5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Tendenzialmente devono essere  nuove per aggiungere dettagli e spunti di riflessione in più al dibattito pubblico. Ma, attenzione, non sempre è giusto che vada così. Soprattutto nella comunicazione sociale, è bene raccontare un fatto e poi tornare sulla storia dando spazio ai protagonisti così da veicolare meglio l’informazione. Un conto è scrivere “ha aperto la prima pizzeria gestita da ragazzi autistici”, un altro è far parlare direttamente i ragazzi che la gestiscono. Una testimonianza è sempre un valore aggiunto.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Viviamo in un’epoca in cui, grazie all’avvento di internet, c’è molta diversificazione. Le testate sono tutte aziende, hanno tutte un bilancio da far quadrare e degli sponsor da trovare per garantire l’indipendenza dei giornalisti. Quindi sono da una parte prodotti commerciali, dall’altra sempre servizi pubblici. Con grande piacere ho notato che negli ultimi anni le testate giornalistiche stanno prendono posizione su molti temi sensibili, contribuendo attivamente a migliorare il dibattito del nostro Paese e invitando i lettori alla riflessione critica e costruttiva. I giornali devono essere sempre al servizio dei lettori.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Raccontare la vita, la società che cambia, dare spazio agli ultimi, a chi spesso non ha voce. Fare il giornalista è una missione, è aiutare chi grida giustizia ed è un esercizio di verità e libertà. Un buon giornalista è colui che non ha pregiudizi, che non si pone limiti, che sa di non sapere, che ascolta tutti, che racconta i fatti così come sono e che aiuta a migliorare la nostra società. Un buon giornalista è quello che si “sporca”, che va in strada, che è curioso, che si pone mille domande, che invita i lettori a esplorare nuovi mondi. È colui che mantiene sempre la schiena dritta senza avere paura sapendo, tra l’altro, di avere un compito importantissimo. L’informazione non è un gioco.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite l’associazione GVPress a cui sono iscritto per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei videomaker in Italia.

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