1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?
Ho letto del Premio sul sito dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e ho deciso di partecipare per mettermi alla prova e confrontarmi con altri colleghi.
2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?
Sì, certo. Ritengo che premi come questi dando visibilità a lavori già realizzati, stimolano i giornalisti a produrne altri alimentando così il dibattito pubblico.
3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?
La storia che mi ha segnato di più è stata quella raccontata nel servizio “Non è una regione per disabili”. Questa inchiesta, che è anche l’inchiesta candidata al premio, si concentra sui bambini con sindrome dello spettro autistico che non riescono ad accedere alle cure previste dal Servizio Sanitario Nazionale. L’argomento mi ha toccato profondamente, soprattutto nel vedere da vicino le immense difficoltà e le lotte quotidiane di queste famiglie per ottenere il supporto necessario. Raccontare le loro storie mi ha fatto capire quanto sia urgente sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere un cambiamento significativo su problematiche, come la disabilità e l’accessibilità, verso le quali c’è ancora tanto lavoro da fare.
4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?
Raccontare la sofferenza altrui non è mai semplice. Non credo possa esistere una formula standard, ma sicuramente quando un giornalista si trova a dover trattare argomenti che possono intaccare la sensibilità altrui, deve essere ancora più scrupoloso e attento nella verifica delle informazioni che intende diffondere. Immedesimarsi nelle storie che si raccontano, poi, può sicuramente dare al giornalista un’empatia tale da poter trattare l’argomento in maniera appropriata.
5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?
Fortunatamente non mi è mai capitato di incontrare ostacoli diretti. Spesso può succedere che le persone coinvolte nelle storie si siano dimostrate restie nel condividere le proprie emozioni, il che è comprensibile. In questi casi è importante saper trovare il giusto equilibrio tra la perseveranza e il rispetto dei confini personali.
6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?
Negli ultimi anni ritengo che ci sia stata molta più sensibilità verso le tematiche sociali, parlo in generale non solo nel giornalismo. E questo anche grazie ai social che permettono di condividere esperienze dirette e personali. Ovviamente a livello mediatico si può fare e si deve fare sempre di più per incrementare la copertura verso determinati argomenti.
7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?
L’utilizzo dell’intelligenza artificiale ha i suoi pro e i suoi contro. Se da una parte può facilitare il lavoro dei giornalisti, automatizzando processi macchinosi come per esempio l’analisi dei dati, dall’altra parte la cosa che mi preoccupa di più è che l’intelligenza artificiale possa ridurre la spontaneità nel racconto e privare il giornalista della sua vena creativa. Ma penso che questo timore faccia parte del cambiamento. D’altronde anche quando ci fu l’avvento di Internet ci furono molte preoccupazioni, alla fine è andata bene. Ogni cambiamento deve essere visto come un’opportunità e quindi va capito in che modo sfruttarlo a proprio favore.
8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?
Anche in questo caso non esiste il manuale del buon giornalista, ma sicuramente quello che fa la differenza, oltre la precisione e l’accuratezza, è l’appassionarsi alle storie che si raccontano. Entrare in una storia non solo con la testa ma anche con il cuore secondo me fa la differenza.