Intervista a Caterina Caparello

Giornalista pubblicista dal 2015, nel 2012 si è laureata in Lettere Classiche presso l’Università La Sapienza di Roma. Dopo il trasferimento a Pavia, nel 2017, ha collaborato con la testata locale La Provincia Pavese occupandosi di cronaca, cultura e sport. Nel frattempo, si è occupata di tennis e basket presso delle riviste online e cartacee nazionali specializzate. Attualmente collabora da freelance con il Corriere della Sera nella sezione Cronaca Milano e Il Bello dell’Italia assieme ai blog La 27esima ora, Marilyn, Giornalisti nel pallone e Invisibili. Sempre da freelance, collabora anche con il quotidiano Domani e il magazine di basket femminile Pink Basket.  

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Assolutamente. È una sfida che mi porta ad una riflessione: veniamo costantemente bombardati da notizie che arrivano da tutte le parti, le apprendiamo superficialmente e poi, il giorno dopo, passiamo automaticamente ad altre con le stesse modalità. Premi come questo, invece, portano a fermarsi, ad analizzare determinate tematiche e a farle davvero nostre. Ma soprattutto a divulgarle meglio.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sicuramente la storia che ho presentato per il Premio è fra queste. Mi riguarda da vicino, specie sapendo come, da calabrese, la mia sia una regione data per scontata. Assieme a lei, l’intervista alla meravigliosa giocatrice di pallacanestro in carrozzina, Beatrice Ion, oppure il report sulle aberranti mutilazioni genitali femminili che ancora oggi subiscono giovanissime donne, divulgato dall’Associazione AIDOS. Sono storie e casi di cui sento il bisogno di parlare ancora.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

La società e i suoi bisogni devono essere sempre al centro dell’informazione, perché riguarda ogni singolo individuo. Noi siamo la società. Parlare con le persone e raccontare le problematiche sociali è fondamentale. Personalmente, mi occupo anche dei diritti delle donne e delle questioni di genere nello sport, tematiche che vengono facilmente messe da parte e dimenticate, subito dopo le giornate a loro dedicate. Ecco, sono necessari dei riflettori continui.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Esistono testate che dedicano delle sezioni apposite. Al di fuori di queste, è un tema che si trova spesso associato alla denuncia e immediatamente ignorate. La Comunicazione sociale invece deve essere continuamente alimentata, deve servire sì ad aprire gli occhi su quello che non va, ma anche (e soprattutto) ad avvicinare le persone verso realtà di cui, senza un’onesta e vera informazione, non si saprebbe nulla. Conoscere associazioni, ricerche scientifiche e iniziative, allontana il pensiero di essere soli.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Tutto sta nel come viene presentata la Comunicazione sociale. Mass media e new media possono dare davvero una grossa mano, a patto che il linguaggio sia onesto e rispettoso, che porti verso una reale conoscenza e non a vie patetiche o sensazionalistiche senza fondamento. La Comunicazione sociale è una tematica seria, da cui dipende non solo il lavoro, ma anche il futuro di donne, uomini, bambine e bambini.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Bisogna usare ovunque le parole giuste. In qualsiasi ambito della vita. È vero che le parole feriscono più della spada ed è anche vero che la lingua, come il tempo, è in continuo mutamento. Proprio per questo, sin dalle scuole di ogni ordine e grado, sono necessarie parole che portino all’inclusività, alla parità e al rispetto.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Il principio di notizia “fresca” è tra i concetti fondamentali del giornalismo. Ma la novità spesso sta anche nel ritornare su quelle notizie che servono da sentinella. Tornare su una notizia, soprattutto nell’ambito della Comunicazione sociale, significa ribadirne la presenza. Il giornalista deve conoscere il nuovo, ma anche controllare il precedente.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Ci troviamo davanti a un periodo di profonda crisi, anche identitaria, del giornalismo. Il lato economico è importante perché il giornalismo è un lavoro (e spesso lo dimentica anche chi è del settore), ma quello che sta cambiando è l’approccio al lavoro, che deve essere volto ad un’informazione corretta e coerente. Le testate sono quindi sia prodotti commerciali che servizi pubblici, proprio perché devono garantire la dignità di chi lavora e la qualità per chi legge.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Significa avere la consapevolezza delle proprie responsabilità. Troppo spesso assistiamo a scenari in cui sono assenti sia l’onestà intellettuale che le responsabilità di chi scrive. Occuparsi di una qualsiasi tematica, nel giornalismo, significa fare di tutto affinché si possa dare la più corretta informazione possibile. Lavorare con le parole non significa giocarci o trattarle con superficialità.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Conoscevo già il Premio nelle sue precedenti edizioni, tramite vari Ordini regionali, e gli articoli presentati. È un piacere e un’emozione l’essermi candidata.

 

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