VINCENZO MORGANTE – Direttore TV2000
È davvero un privilegio e anche una gioia poter essere ancora una volta qui per un premio che in quest’anno particolare assume valore e significato notevoli. Ritrovarci nel nome di Alessandra a discutere su temi fondamentali per il nostro mestiere ma anche per la vita civile, per la convivenza democratica, lo considero importante. Sentiamo tutti il condizionamento che la pandemia, anche sul versante della informazione e del confronto, in qualche modo sta imponendo. Grazie alla tecnologia che in questo momento ci ha aiutato, una tecnologia virtuosa, siamo ancora una volta qui, a distanza di un anno, a celebrare l’impegno, la bellezza di Alessandra, ma anche il valore di una informazione corretta che faccia comunicazione sociale, e che faccia, anche da privati, del servizio pubblico.
Fino a qualche anno fa, quando si parlava di fake news – termine inglese di recente introduzione, noi le notizie false le chiamavamo “bufale” – la maggior parte del mondo dell’informazione, dei comunicatori, di noi, in qualche modo snobbava il problema. Si credeva che questo fenomeno fosse legato quasi esclusivamente ai social in una forma goliardica, tutto veniva ridotto in una dimensione scherzosa. Invece sappiamo, e lo stiamo provando quotidianamente, che con le fake news c’è poco da scherzare, i danni e i rischi sono davvero incalcolabili, soprattutto perché colpiscono soggetti in stato di povertà culturale, soggetti che non hanno strumenti adeguati per chiedersi e verificare se quella notizia sia vera o meno. Recenti ricerche su questo fenomeno dicono che il problema ormai ha assunto dimensioni globali, senza confini. Colpisce che molte fake news prendano le mosse da informazioni vere, autentiche, che poi vengono distorte, manipolate, veicolate, per scopi che nulla hanno a che fare con l’informazione.
Alcune risultanze cliniche dicono – è avvenuto durante la prima ondata della pandemia – che i bambini vengono meno contagiati rispetto agli adulti e con sintomi meno gravi? Questo non significa che nessun bambino sarà contagiato. Ma scrivere e dire, come invece è avvenuto, che i bambini non rischiano di essere contagiati cambia completamente il senso della realtà.
Come giornalisti siamo tutti chiamati, ancora una volta, a fare un’autocritica, dura e pesante. Siamo tutti chiamati a porci delle domande. Come mai le fake news, le bufale, le polpette avvelenate, si diffondono e in modo così rapido? E qual è il ruolo dei media di fronte alle fake news? Come ci possiamo difendere, come comunicatori ma anche come utenti dell’informazione, dalle notizie false? Il terreno è paludoso perché entra in campo il tema della verosimiglianza. Le notizie false sono così ben costruite, camuffate che è facile caderci dentro.
Le fake news, le bufale, sono diventate un problema serio, un problema reale, perché incidono pesantemente sull’opinione pubblica quindi sulle scelte concrete che i cittadini devono fare nella loro vita di comunità, nella loro vita sociale, ma anche nella loro vita privata e anche nella espressione della partecipazione democratica. Lo ricordiamo tutti: durante la campagna elettorale che portò all’elezione del presidente degli Usa Trump molto si discusse, politicamente, sulla capacità dei social di influenzare milioni di persone. Certo, prendersela con un solo social, seppure tra i più influenti, sarebbe riduttivo, direi anche di moda… Ma fu un problema che si pose.
Le fake news spesso hanno un padre e una madre, non nascono per caso e riguardano un po’ tutti: social, giornali, cittadini, politica. Come ne usciamo? Certamente con un lavoro scrupoloso, con la competenza, con il controllo rigoroso delle fonti, con l’approfondimento, con lo studio. Dobbiamo ricordare a tutti – sappiamo che questo è anche un seminario di formazione – che essere giornalisti, esercitare il mestiere di giornalismo, comporta sacrificio, impegno, studio. Bisogna mettere da parte l’ansia di dare sempre tutto, e subito. Il fattore tempo non può essere una scusante. Non si può sorvolare sulle verifiche. Oggi, spesso, una notizia che viene messa in circuito da uno sconosciuto sui social diventa notizia per una testata che mette da parte la sua autorevolezza, mette a rischio la propria storia pur di “stare sulla notizia”, dico tra virgolette, pur di “essere sul pezzo”. Bene, un mio vecchio maestro ripeteva spesso a me e ai miei colleghi, quando eravamo giovani, “meglio prendere un buco che dare una notizia non verificata”. Oggi invece anche per le modalità diverse di diffusione del flusso informativo, è una rincorsa e nella rincorsa troppo spesso una notizia viene data senza verificare da dove arriva, “da dove viene viene”, come si dice.
Nella deregolamentazione dell’accesso alla professione, nella delocalizzazione, a volte esagerata, del lavoro giornalistico che riduce ai minimi termini il contatto, il confronto tra i giornalisti scriventi, gli inviati, per non parlare dei collaboratori, e i responsabili in redazione, trova sempre meno momenti e luoghi per realizzarsi ed essere proficuo.
La rete oggi ha una grande funzione, mette in contatto, fa circolare informazioni, permette lo scambio di opinioni e di immagini; però, nel suo lato oscuro, propala contenuti costruiti apposta per seminare disinformazione, per non parlare di quando semina contrasti e dissemina odio.
Oggi questo problema è conosciuto da tutti i professionisti della comunicazione e del web ma fino a non molti anni orsono esperti, addetti ai lavori, professionisti, comunicatori, sostenevano che il tema fake news non era un problema degno di particolare attenzione. Il problema vero, che deve tutti coinvolgerci e in qualche modo preoccuparci, non è certo lo studente che pubblica una notizia falsa online, a volte una bolla che poi si sgonfia. Il problema è che la disinformazione o l’informazione pilotata attraverso fake news rischia di diventare sistema. Ci sono, lo sappiamo, organizzazioni che hanno prodotto milioni di informazioni false, con vere e proprie legioni di programmatori e giornalisti che hanno fatto una falsa propaganda. Una volta messe in giro, le fake news sono difficili da fermare ed è impossibile bloccarne gli effetti perversi e dannosi. Secondo una ricerca di Mbc News, le fake news più diffuse dello scorso anno riguardano la salute e il cibo. Hanno spopolato suoi social a colpi di post e articoli acchiappa-click le seguenti notizie: una gang di medici cattivissimi nasconde all’unanimità la cura per il cancro; le bacche sono più efficaci dei vaccini; mangiare i noodles, gli spaghetti asiatici, può uccidere.
La ricerca ha evidenziato che quest’anno i primi 50 articoli hanno raccolto oltre 12 milioni di condivisioni, commenti e reazioni; circa un terzo erano articoli virali che promuovevano cure, mai provate, sui tumori. Tra le bufale sulla salute più virali del 2019, riporta sempre Mbc News, c’è la presunta cospirazione di medici e lobby che starebbero nascondendo una cura miracolosa contro il cancro, e altre notizie sempre riguardo al mondo dell’informazione medico-scientifica: un vaccino sperimentale per il tumore al seno, apparso un articolo su Florida Fox, è stato condiviso, pensate, da 1 milione e 800 mila utenti. Insomma c’è una speculazione sulle fake news in materia di salute, che trova sui social linfa vitale e consente di guadagnare con “bufale” che non hanno nessun fondamento scientifico. Per non parlare della pubblicità su integratori miracolosi. Si è speculato anche sulla popolarità della medicina naturale. “Lo zenzero è 10.000 volte più efficace nell’uccidere il cancro rispetto alla chemio”, recitava il titolo di un articolo che avuto oltre 800 mila condivisioni. Notizie false e bufale riguardano ancora i vaccini, un’arma fondamentale per proteggerci da tante malattie, considerata sicura dalla comunità medico-scientifica, ma che molti gruppi anti-vax ben finanziati e senza informazione medica e esperienza hanno preso come bersaglio con una campagna di disinformazione: i vaccini sono accusati di procurare gravi danni, fino alla morte.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha lanciato l’allarme infodemia, cioè la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni che rendono davvero difficile orientarsi per la difficoltà di individuare fonti affidabili. Le fake news e la disinformazione, sostiene l’Oms, stanno infatti ostacolando in qualche modo la risposta alla pandemia e per questo viene proposto di usare le stesse armi che si usano contro il virus: prevenire, intercettare, rispondere. La disinformazione, aggiunge l’Oms, mette a rischio vita e salute, mina la fiducia nella scienza, nelle istituzioni e sta ostacolando, appunto, la risposta al Coronavirus. Per affrontare quello che l’Oms definisce “una sfida globale”, è stato lanciato anche un Sos a Google per assicurarsi che le persone che cercano informazioni sul Coronavirus vedano quelle veicolate dall’OMS in testa alle notizie ottenute con i motori di ricerca.
L’impatto della disinformazione sulla salute è ovviamente enorme. Può apparire scontato, ma desidero ripeterlo, ci vorrebbero più controlli su quello che viene postato sui social e nel web. Si dovrebbe trovare, lo dico a bassa voce, anche un vaccino per le fake news ma al momento gli strumenti più efficaci, ribadisco, sono il lavoro scrupoloso, la competenza, il controllo rigoroso delle fonti, l’approfondimento, lo studio. Direi che occorre un approccio “francescano”, segnato da una caratteristica, da un valore che dovrebbe accomunare tutti i professionisti, in questo caso i professionisti dell’informazione: quello della umiltà, l’umiltà di approccio al mestiere.
Una testata affidabile è una testata che fa comunicazione nel sociale, che fa servizio pubblico, è una testata che non perde lettori, telespettatori, ascoltatori o followers. Insomma una testata affidabile che deve camminare di pari passo con la responsabilità di ciascuno di noi, di quanti sono chiamati a vivere il privilegio di fare un mestiere veramente bello, prezioso, utile, ma che tratta materiale molto pericoloso, e quindi che chiede grande competenza, grande responsabilità.