Intervista a Facchini Giuseppe

Giuseppe Facchini è un giornalista professionista freelance. Corrispondente da Bologna per Fanpage.it e RiciclaTv, collabora con il Corriere della Sera-Bologna e AlaNews ed è direttore responsabile di Teatro Magazine. In passato ha diretto Parmanews24 ed ha collaborato con la Gazzetta di Parma, La7, ParmaSera, Pubblico, Fps Media, Radio Città Fujiko, l’altra Molfetta. Autore del libro “Elvio Ubaldi, la politica nel destino” (2014 Parma, Ed. Battei), è anche vincitore nel 2015 del “Premio Marco Nozza, giornalismo investigativo e d’informazione critica”.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Sì, è una sfida personale ma anche importante per tutto il giornalismo che così può confrontarsi sul modo di comunicare temi di questo genere.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Io credo di sì. Chiaramente ci sono testate che dedicato più spazio di altre a certe tematiche, ma in generale mi pare che la comunicazione sociale riesca a ritagliarsi un buon posizionamento sulla stampa, in tv o sul web.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole in temi come questo si scelgono perché è importante usare quelle corrette quando si affrontano argomenti di cui non tutti sono esattamente a conoscenza.

Le notizie devono essere sempre nuove?

In linea generale decisamente sì, ma quando si parla di certi temi forse non devono essere necessariamente nuove: ogni storia è a sé.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Sono un romantico del giornalismo e continuo a pensare che il nostro sia un servizio di pubblica utilità, anche se chiaramente le logiche del mercato stanno cambiando tante cose.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Devo fare un nome? Spero di no. Dirò che un buon giornalista è quello che rispetta le regole basi della professione (etiche e di scrittura/montaggio) e che riesce ancora a stupirsi.

Intervista a Ilaria Del Prete

Ilaria Del Prete, cresciuta con la passione per le parole, ha frequentato la Scuola di Giornalismo Luiss “Massimo Baldini”. Giornalista porfessionista dal 2012, nel 2011 comincia la sua collaborazione esterna con Leggo. Nel 2013 approda in redazione. Si occupa del sito web, che vuol dire molte cose. Scrive, come tutti i giornalisti. Studia tecniche SEO. Partecipa al coordinamento della squadra. Ha ideato una rubrica dedicata ai personaggi più interessanti di Instagram, InstaStar. Si affaccia talvolta allo schermo dagli studi di LeggoTv. Vive e lavora a Roma, ma sogna di ritornare nella sua città: Napoli.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Partecipare a un Premio Giornalistico è sempre una sfida, innanzitutto con se stessi. Ho accettato quella del Premio Alessandra Bisceglia perché fermamente convinta dell’importanza del ruolo dei media nel promuovere la conoscenza delle malattie rare, denunciare situazioni di inefficienza e incentivare buone pratiche di integrazione. È perseguendo tali obiettivi che ho deciso di raccontare la storia di Erica, affetta da TMAU.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

È innegabile che non tutte le testate giornalistiche dimostrino la stessa sensibilità nei confronti della Comunicazione Sociale. Talvolta a trovare spazio sono il sensazionalismo e i casi emergenziali. D’altra parte, sono tante le testate  – non solo di settore – che fanno del loro meglio per fornire una precisa e puntuale informazione anche a seconda dei target di riferimento.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole vengono dalla realtà che si racconta. Nel mestiere del giornalista, la scelta di un lessico adeguato a quella determinata realtà è fondamentale.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

 Determinate realtà possono, e talvolta devono, essere ripresentate e aggiornate secondo sensibilità e punti di vista differenti.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

I giornali sono prodotti di aziende editoriali, che come tutte le altre aziende non possono prescindere dal profitto. Ma questo non significa che i giornali, e soprattutto i giornalisti, debbano dimenticare la loro missione principale: informare.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

 Chi osserva con attenzione la realtà che lo circonda e riesce a raccontarla con precisione, puntualità e passione. Chi riesce a guidare il lettore attraverso il gran numero di informazioni e input provenienti anche dalle sempre più numerose piattaforme multimediali.

Intervista a Sara Del Dot

Sara Del Dot nasce a Trento il 9 settembre 1991. Si diploma al liceo classico e si sposta a Bologna, dove consegue la laurea triennale in Lettere moderne e successivamente la magistrale in Scienze della comunicazione pubblica e d’impresa. Nel 2016 vince il premio Roberto Morrione per il giornalismo d’inchiesta con un lavoro sull’emergenza abitativa di Bologna. A Milano frequenta il master in Giornalismo presso la Scuola Walter Tobagi, grazie al quale ha occasione di effettuare esperienze lavorative in redazioni come Class Life e News Mediaset. Iscritta all’albo dei professionisti dall’estate del 2019, attualmente lavora per Ohga, testata online di Ciaopeople editore, in cui si occupa del settore relativo all’ambiente e alla sostenibilità e della parte editoriale della produzione video. La realizzazione del video “Terapia dei viaggiatori” è stata possibile grazie a Gianluca Fabbricino (riprese e montaggio) e Aniello Ferrone (supervisione video).

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Ogni servizio e articolo su temi delicati come la salute e l’inclusione sociale è sempre in qualche modo una sfida, perché ogni persona che decide di contribuire con la propria voce è diversa e ogni domanda deve essere fatta con il rispetto che la storia che ti stanno regalando merita. Inoltre è una sfida anche riuscire a rappresentare ciò che si è visto nel modo migliore, tale da rendere giustizia alla realtà.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma a volte bisogna cercarla. Dovrebbe essere più incentivata perché, oltre a diffondere spesso storie di speranza e modelli virtuosi replicabili in altri luoghi, rappresenta un vero e proprio servizio per coloro che potrebbero avere bisogno di una narrazione alternativa.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole che abbiamo scelto ce le hanno donate i nostri intervistati. Noi abbiamo dovuto solo metterle in ordine.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Non per forza. Può cambiare il modo di raccontarle.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Probabilmente entrambi.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Ho sempre pensato (e ne sono convinta tuttora) che il buon giornalista sia una persona in grado di dare una voce a chi altrimenti non riuscirebbe a essere ascoltato.

Intervista a Cristina Da Rold

Cristina Da Rold, giornalista freelance e consulente nell’ambito della comunicazione digitale. Si occupo di giornalismo sanitario data-driven principalmente su Il Sole 24 Ore, L’Espresso e Oggiscienza. Lavora per la maggior parte su temi legati all’ epidemiologia, con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 è consulente per la comunicazione social media per l’Ufficio italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Collabora con alcune riviste mediche più specialistiche per Il Pensiero Scientifico Editore, con cui ha pubblicato nel 2015 il mio libro “Sotto controllo. La salute ai tempi dell’e-health”. Nel 2019 ha messo a punto HealthCom Program, il primo corso in Italia, in 10 webinar sulla comunicazione sanitaria sui social media.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

No, mi occupo da anni di malattie rare.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Molto poco, specie con approfondimenti, in relazione alla marea di articoli brevi, spesso tratti da comunicati stampa e non studiati/elaborati, privilegiando la velocità.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Domanda difficile e bellissima. Non me l’ero mai posta 🙂 Sicuramente ci sono parole già scelte, con cura, da chi vive da vicino una malattia, ed è nostro compito rispettare il grande lavoro lessicale e semantico delle persone interessate. Rimane il fatto che la bellezza della narrazione è che a seconda di chi sono gli interlocutori emergono aspetti nuovi, nuove connessioni… con la mia rubrica Vite Pazienti accade spesso questo, proprio perché privilegio il dialogo, la chiacchierata e non ho mai domande precise, ogni volta si “improvvisa” e mi lascio guidare.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Non credo. L’importante è che ci sia la notizia, cioè un nocciolo, qualcosa di urgente da comunicare. A me personalmente non interessa dire sempre qualcosa di nuovo, ma magari dirlo in modo nuovo. Credo siano pochi, rari, i casi di argomenti in cui possiamo prenderci il lusso di pensare che non ci serva ripetere le cose… Io lavoro così: c’è ancora da migliorare/capire meglio/agire su un certo fronte (per es nei diritti del malato)? Se sì, allora dobbiamo continuare a scriverne/parlarne. Magari, appunto, in modo più accattivante, più vicino al lettore, se finora non siamo stati efficaci.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Dipende dalle testate, non si può generalizzare. Ci sono realtà che fanno un buon servizio pubblico, altre che privilegiano il clic. È chiaro che debbano sapersi tenere in piedi da sole, con un buon modello di business, ma l’informazione deve essere un servizio pubblico rivolto a chi ha meno strumenti per comprendere e scegliere, e non altro.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Qualcuno che studia molto di più di quanto scriva. Sento molti che alla domanda “perché vuoi fare il/la giornalista?” rispondono “mi piace scrivere”, “voglio viaggiare”, “voglio conoscere persone”. Tutto giusto, ci mancherebbe, ma io penso che il giornalista che poi si rivela davvero bravo non è quello che scrive meglio degli altri, ma quello che ha un tema, un argomento che gli brucia dentro, qualcosa che lo fa arrabbiare moltissimo e che lo spinge con il suo lavoro a
raccontare cosa non funziona, a migliorare. Per me, per esempio (ok, non me l’avete chiesto, ma ormai…) è la rabbia rispetto a chi rimane indietro perché nasce più sfortunato, o perché capita qualcosa, come una malattia, e non può beneficiare dello stesso trattamento di altri più fortunati, che magari non muovono un dito per lui.

Intervista a Ottavio Cristofaro

Ottavio Cristofaro è laureato in Scienze della Comunicazione e specializzato in Comunicazione e Multimedialità presso l’Università degli Studi di Bari con il massimo dei voti. Giornalista e scrittore, opera nel campo dell’organizzazione di uffici stampa, sia in ambito culturale e con particolare riferimento al campo politico con esperienze nazionali, regionali e locali. È direttore del portale web “Lo Stradone” ed è stato direttore di Puntoradio. Gode di diverse esperienze da docente formatore, sia presso istituti superiori secondari che presso istituzioni accademiche. È senior advisor per le imprese sotto il profilo della comunicazione aziendale. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche ed è giornalista per La Gazzetta del Mezzogiorno.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

La vera sfida, in realtà, è quella di restituire quotidianamente una dimensione umana alla nostra attività giornalistica. Dietro ogni storia che raccontiamo ci sono sempre delle persone, con le loro vite e le loro famiglie. Quella della dimensione sociale è un’attenzione che il giornalismo deve porre sempre al centro del proprio agire.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Si può fare certamente molto di più. Credo però che ci sia un cambio di marcia in merito, con un’attenzione maggiore su questi temi, che però necessitano anche di una adeguata formazione continua per gli operatori dell’informazione.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Per noi giornalisti le parole hanno sempre un peso diverse. Nessuna parola è già scelta. È la grande lezione del linguista e semiologo, Ferdinand de Saussure, quando parla della differenza tra “langue” e “parole”. La “langue”, intesa come un sistema di segni che formano il codice di un idioma, va distinta dalla “parole”, cioè dall’atto linguistico del parlante, che è “individuale” e “irripetibile”.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Non per forza. L’importante è sempre il racconto di quella notizia, il contesto in cui si svolge. In sostanza accade quasi sempre che le notizie siano diverse l’una dall’altra.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Una cosa non esclude l’altra. Possiamo dire che sono sia prodotti commerciali che servizi pubblici. Alcune testate scelgono di essere solo prodotti commerciali, ma credo che nel lungo periodo questa non sia mai la scelta giusta.

  Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Qualche settimana fa ero a una lezione con dei bambini di scuola materna. A loro ho rivolto questa stessa domanda. Mi ha risposto Tommaso, un bambino di quasi 5 anni, il quale mi ha detto che “i giornalisti raccontano il mondo”. La sua purezza e la sua ingenuità mi hanno fatto capire che questa è la definizione più bella che si possa dare a questo mestiere e mi ha dato un grande messaggio di incoraggiamento per proseguire a svolgere sempre meglio questa professione.

Intervista a Chiara Colangelo

Chiara Colangelo ha 29 anni. Dopo avere conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università la “Sapienza” di Roma, ha deciso d’iscriversi al Master di giornalismo all’Università di Lingue e Comunicazione Iulm di Milano. Durante il periodo di formazione ha lavorato due mesi a TgCom24 poi, da settembre a ottobre 2018, ha svolto due mesi di stage a RaiNews24, nella sede di Saxa Rubra a Roma. Attualmente collabora con la testata online Linkiesta.it su cui ha pubblicato per la prima volta (ad aprile 2019) un breve reportage su una comunità di free vax nelle Marche. Sempre a Linkiesta ha svolto tre mesi di tirocinio: dal 3 settembre 2019 al 29 novembre 2019. Ha acquisito nuove capacità e competenze nell’ambito dell’informazione e dei media e importanti conoscenze tecniche: Word Press, Qoobe, Adobe Premiere Pro, InDesign, Photoshop, Fotografia, Social Media, Web Video, ripresa e montaggio. Prima del master, per oltre un anno, ha collaborato con una rivista mensile, A&I Artigianato e Impresa.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Grazie alla collaborazione con la testata Linkiesta.it ho avuto modo talvolta di proporre temi sociali, tra i quali anche quelli riguardanti le malattie. Penso a esempio alla depressione, che sebbene non sia una malattia rara ha non solo un impatto ma anche un costo sociale importante che viene spesso ignorato. Questo perché la depressione è causa di episodi di suicidio su cui le regole deontologiche pongono precisi paletti come è giusto che sia quando si tratta di un singolo episodio. Ma se anche il suicidio diventa una “patologia” della quale è sempre più affetta la società in Italia come nel resto del mondo sono convinta che parlarne e scriverne sia giusto. Io l’ho fatto, trattando proprio del problema della depressione. Per questa mia naturale inclinazione e passione per i temi sociali direi che no, non è stata una sfida, ma un piacere.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

No, purtroppo spesso accade che la comunicazione sociale non trovi spazio nelle testate. E quando lo trova viene considerato come un argomento di serie b, che può essere pubblicato anche in decima o ventesima pagina.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Ambedue.

Le notizie devono essere sempre nuove?

No, non sono d’accordo. Soprattutto nella comunicazione sociale. Su molte malattie rare si sa ancora poco. Rispetto a molte patologie pochi sanno l’impatto che hanno. Se c’è uno sviluppo scientifico su una determinata malattia esso può essere visto come una notizia nuova, ma ritornare su uno stesso tema magari affrontando diverse sfaccettature è altrettanto essenziale per una corretta informazione.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Bhé lo dico purtroppo con vergogna: spesso sono prodotti commerciali. Credo che sia sotto gli occhi di tutti. Fortunatamente non tutti. Ma l’aspetto commerciale e pubblicitario, vista anche la profonda crisi dell’editoria italiana, sta erodendo e molto la naturale e giusta finalità delle testate: informare e orientare l’opinione pubblica.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Questa è una delle domande più difficili a cui rispondere. Se si pensa che molti giovani che si affacciano a questo mestiere sono costretti a sottostare a un sistema che andrebbe immediatamente svecchiato. Il buon giornalista di venti anni fa non lo è altrettanto oggi. Un buon giornalista però, secondo me, è una persona che ha profonda capacità di discernimento. Rispetto per i lettori. Una guida per l’opinione pubblica che soprattutto oggi sembra più disorientata che mai. Se un tempo andava bene scrivere di un politico o trattare la politica dal buco della serratura oggi direi che è un approccio sbagliato, perché ciò ha contribuito a trattare con superficialità le notizie invece di scendere in profondità. Non solo. Il buon giornalista dovrebbe avere il coraggio di non scrivere mai ora per sostenere una parte ora un’altra. Dovrebbe riuscire a essere sempre sempre sempre indipendente. Oggi non è così. Almeno, quasi mai.

Intervista a Marialaura Iazzetti

Marialaura Iazzetti è nata a Napoli nel 1994. Bologna l’ha adottata per cinque anni durante gli studi universitari in Filosofia. È praticante alla Scuola di Giornalismo Walter Tobagi, ma lavora nel mondo del giornalismo da quando ha 21 anni. Ha cominciato nella redazione locale di Repubblica a Bologna, poi al Resto del Carlino. Ora collabora con Huffington Post, D-La Repubblica e L’Espresso. Nel 2019 ha vinto il premio Meszely sullo storytelling sportivo. Adora raccontare storie e quando scrive tendo a fissare le persone. Segue con attenzione la questione migratoria.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

 È stata sicuramente una sfida, ma il tema era molto interessante e spaventarsi di fronte alla complessità non avrebbe avuto nessun senso. Fa parte del nostro lavoro affrontare tematiche spinose.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

 Per come la vedo io, la comunicazione sociale trova troppo poco spazio sulle testate. Inoltre, quando se ne scrive, lo si fa in modo stucchevole e compassionevole.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

 Le parole si scelgono, con cautela. L’obiettivo è informare correttamente

 Le notizie devono essere sempre nuove?

 Devono essere nuove nel senso di riuscire a dare al lettore un’informazione in più che non conosceva

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 Le testate secondo me oggi possono essere intese come prodotti commerciali e di certo veicolano servizi pubblicitari. L’importante è che contestualmente a tutto ciò continuino a fare informazione

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

 Credo che oggi possa essere considerato un buon giornalista Mario Calabresi per il modello di informazione che veicola

Intervista a Marco Maria Capponi

 

Marco Maria Capponi , nato nel 1994, fino a 19 anni ha vissuto a Macerata, prima di iniziare a viaggiare per il mondo. Quattro anni a Forlì per studiare Relazioni internazionali, poi una parentesi di cinque mesi a Santiago del Cile. A 24 anni l’approdo a Milano per inseguire la strada del giornalismo alla scuola Walter Tobagi. Ha collaborato con il Corriere della sera con un’inchiesta sul costo della vita per gli studenti fuorisede a Milano, ha vinto il premio Meszely sullo storytelling sportivo raccontando la storia di un portiere di calcio dal titolo “La solitudine di un numero uno” e il premio Cigierre sul giornalismo alimentare con un’analisi delle proteine del futuro. Dal 2019 collabora con MF-Milano Finanza. Autore del romanzo Il volo del nibbio (semifinalista Marche al premio letterario Rai La giara 2015; 0111 Edizioni, 2018). Fotografo e videoreporter per passione, con il sogno di trasformarla in un lavoro.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Si è rivelato sicuramente complesso, perché ha unito alle classiche difficoltà del giornalismo (reperimento delle fonti, interviste, ecc…) quella di trattare i temi con la precisione e il rigore dell’elemento scientifico e di quello normativo.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Negli ultimi anni sta prendendo piede, ma ancora non è abbastanza. Visto l’interesse pubblico, dovrebbe avere più spazio e in posizioni di maggiori dignità (home page dei siti, primo piano dei quotidiani).

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Credo che l’elemento della scelta da parte del giornalista resti sempre prioritario.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. La comunicazione sociale e scientifica sulle malattie si aggiorna con nuove scoperte e nuove necessità. Il giornalismo deve stare al passo.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Prodotti commerciali che svolgono un servizio pubblico. Molto spesso, purtroppo, la situazione si sbilancia in favore della prima voce.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Senza fare nomi specifici, buon giornalista è chi guarda a ciò che ha davanti senza pregiudizi. Purtroppo, pregiudizio non significa solo razzismo o misoginia (per fare due esempi), ma anche considerare con arroganza che alcuni metodi e modi di fare giornalismo siamo superiori rispetto ad altri. La politica non ha dignità maggiore della scienza, così come una fotografia o un’infografica non hanno minor peso giornalistico di una cartella di testo.

Intervista a Medea Calzana

Medea Calzana viene dalla provincia di Vicenza, ha 29 anni ed è laureata in scienze giuridiche e politiche, in entrambi i casi con 110 e lode. Da sempre ha la passione per la scrittura e per la parola, che ha approfondito con gli studi classici al liceo. Dopo la laurea magistrale, ha collaborato per quasi un anno con un settimanale locale, occupandosi di cronaca bianca, cultura e società. Durante questa esperienza ha maturato l’idea per cui la professione del giornalista vorrei fosse anche la sua. Per questo ha partecipato alla selezione del Master in giornalismo di Bologna, dove ora sta facendo il praticantato.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Credo che limitare a un tema specifico sia utile, è stato come avere dei binari precisi per riuscire ad arrivare alla meta senza disperdersi. Il tema poi a me è vicino per storia familiare: parlare di disabilità non è qualcosa di estraneo ma qualosa di quotidiano.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo poco, anzi molto poco. Solo sul Manifesto avevo visto qualcosa che si può ricondurre alla Comunicazione Sociale.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Secondo me si scelgono.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Credo che una notizia è nuova in base a quanto è attuale, quindi anche notizie non nuove possono essere attuali se danno informazioni utili alla società, se il tema torna ad essere rilevante per le persone. Quindi direi che no, in senso stretto, le notizie non debbano essere sempre necessariamente nuove.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Credo che siano un po’ l’espressione dell’equilibrio tra un servizio pubblico e l’esigenza di impresa, di avere introiti. Ci sono testate che raggiungono di più questo equilibrio e altre che invece sono più che altro alla ricerca dello scoop e del sensazionalismo.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Qualcuno che sia capace di verificare le fonti, studiare bene e a fondo, che abbia una ferrea capacità di analisi e logica. E, poi, che abbia come scopo principale essere utile alla società.

Intervista a Simona Berterame

Simona  Berterame è una giornalista video-maker di 27 anni, nata a Roma. Dal 2014 lavora per Fanpage.it e si occupa principalmente di cronaca in tutte le sue sfumature, con una particolare attenzione ai temi sociali e ambientali e alle storie di cronaca nera. Laureata in Scienze della Comunicazione a Roma Tre nel 2015, muove i primi passi nel mondo del giornalismo lavorando per piccole realtà locali e per l’agenzia video-giornalistica Meridiana Notizie. Ha scritto in passato sul blog di Huffingtonpost Italia ed ha lavorato nello staff comunicazione di Alfio Marchini, in occasione delle elezioni amministrative del 2013. È un socio fondatore dell’associazione GVPress – Associazione Italiana dei Giornalisti Videomaker.

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Direi proprio di sì, la tematica sociale è sempre stata una delle mie grandi passioni e poter oggi proporre un mio lavoro ad una giuria è sicuramente una sfida importante.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Le tematiche legate al mondo del sociale trovano un discreto spazio nel panorama dell’informazione italiana. Il problema è spesso come viene poi trattato l’argomento, il taglio utilizzato, gli esperti interpellati, le parole utilizzate.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole sono importanti diceva Nanni Moretti in “Palombella Rossa” ed aveva proprio ragione. Le parole, quando si raccontano certi temi, vanno non solo scelte ma analizzate, selezionate e calibrate con cura. Perciò posso dire assolutamente che le parole si scelgono con tutta l’attenzione possibile.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Di getto risponderei di sì ma poi riflettendoci bene e pensando a tutti gli approfondimenti sui cold case che appassionano i lettori direi di no, le notizie non devono essere sempre nuove. La storia è fatta di corsi e ricorsi e il giornalismo può inserirsi anche in questo meccanismo, raccontando per esempio un fatto storico di diversi anni fa, magari con documenti inediti o utilizzando apparecchiature di ultima generazione per rendere il prodotto più attuale e accattivante

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Troppo spesso ci troviamo di fronte ad un giornalismo dominato dalla legge dei clic e della pubblicità. Sarebbe ipocrita non credere che il profitto sia al primo posto nel panorama dell’editoria nostrana e spesso agendo così la qualità si perde un po’ per strada. Ma non tutto è perduto: esistono ancora tanti esempi di buon giornalismo, quello che scava, informa e dona un servizio pubblico con i fiocchi ai propri lettori. Basta saper cercare.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Un buon giornalista oggi è una persona tremendamente curiosa e amante del proprio mestiere in un modo viscerale. Perché questo lavoro riesci a farlo nel modo giusto solo se guidato da una passione smisurata per quello che si fa. Altrimenti, se non hai quel fuoco che ti arde dentro, dopo poco tempo getti inevitabilmente la spugna considerando i ritmi frenetici, le condizioni di vita precarie e lo stress giornaliero. Ma un buon giornalista è anche una persona attenta, precisa, che non lascia nulla al caso per realizzare il suo racconto. Questo perché solo con una descrizione accurata e senza lasciare nulla al caso sarà possibile fornire ai lettori una notizia chiara e facile da comprendere.