Intervista a Alessio Viscardi

Alessio Viscardi è un reporter video e fotografo nato e cresciuto nella periferia di Napoli. Ha collaborato con Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera, L’Espresso e le agenzie stampa LaPresse e H24. Ha Diretto il progetto “Cittadini Giornalisti” e ha portato a termine il primo esperimento di giornalismo partecipativo d’inchiesta finanziato dal basso e pubblicato su L’Espresso: “Discarica Vesuvio”. Nel 2015 ha trovato l’elipista da cui era partito l’elicottero del funerale-show dei Casamonica a Roma. Nel 2016 ha mostrato i brogli durante le primarie del Pd a Napoli e durante le elezioni comunali.Vincitore del Premio Giornalistico Enzo Rossi 2019 con il servizio: “Il mare negato di Ostia: così gli stabilimenti hanno occupato le spiagge”. Lavora per Fanpage.it.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

È stata una sfida che cerco di raccogliere tutti i giorni col mio lavoro, dedicando sempre attenzione a temi come il superamento degli ostacoli posti dalla disabilità.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non su tutte le testate, ma il tema è anche come se ne parla: spesso ci si lascia andare nella denuncia fine a sé stessa e non si mostrano le buone pratiche.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole si scelgono, ma sono -in un certo senso- inevitabili

Le notizie devono essere sempre nuove?

Le notizie nuove possono diventare una trappola che ci porta a correre sempre verso qualcosa, senza avere il tempo di soffermarsi sulle storie e scavare a fondo i temi

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La maggior parte sono prodotti commerciali che vengono qualsiasi cosa la gente sia disposta a credere

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Ce ne sono parecchi, molti scrivono rischiano in prima persona denunciando mafia, camorra e ‘ndrangheta senza mai salire alla ribalta del giornalismo-vip, penso ad esempio ad Alessia Candito in Calabria.

Intervista a Giulia Taviani

Giulia Taviani ha 22 anni. Nata e cresciuta a Verona, si è trasferisce a Milano a 19 anni. Nel 2019 si laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità alla IULM, dove ora frequento il Master in Giornalismo. A quattro anni ha iniziato a scrivere poesie discutibili, a 20 qualcosa di più serio. Da gennaio 2019 collabora con una testata online chiamata “Periodico Daily” dove scrive di spettacolo, viaggi, attualità e un po’ di sport, anche se è fortemente attratta da ciò che è nascosto agli occhi di tutti. Una passione che le piacerebbe trasformare in un lavoro di reportage o inchiesta, accanto anche alla voglia di creare nuovi contenuti, in particolare video.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Personalmente no. È un tema di cui ho già trattato in passato e a cui mi sento particolarmente vicina. Ritengo che sia un mondo di cui si parli ancora troppo poco, un argomento che purtroppo non trova interesse. E poterne parlare e raccontare cosa siano le malattie rare e cosa queste comportino, mi ha fatto sentire che potevo ridare la giusta importanza a tutti coloro che soffrono di un qualsiasi tipo di malattia rara e a coloro che ogni giorno gli stanno vicino e li aiutano.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Trovo che le testate in generale lascino sempre meno spazio a questo argomento. Che non sono per forza le malattie rare, ma la comunicazione sociale in generale. Forse solo negli ultimi anni si sta tornando a una sorta di sensibilizzazione sui temi sociali. E una motivazione potrebbe essere perché trova poco interesse tra la popolazione stessa.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Credo che le parole in un tema come questo siano già dentro a chi scrive. È difficile inventare da zero un argomento come quello delle malattie rare, è difficile staccarsi dalla notizia, dal racconto. Quindi credo che le parole in questo caso non siano né già scelte né si scelgono, semplicemente arrivano, bisogna solo essere in grado di metterle nell’ordine giusto.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Non credo sia necessario avere sempre l’ultima notizia, quella più recente. Credo che tutte le notizie possano tornare ad avere una vita, la differenza sta nel giornalista, che deve essere in grado di aggiungere sempre un elemento in più, una sfaccettatura nuova. Così da aggiungere dettagli e informazioni alla notizia di partenza.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Dipende dalla testata che viene presa in considerazione. Sicuramente rispetto al passato sono state molto più commercializzate, ciò però non toglie che continuino a fare servizio pubblico.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Penso che per essere un buon giornalista oggi non occorra solo saper scrivere bene ciò che si vede, ma serve saper raccontare tutto il mondo che gira attorno alla notizia. Sapersi immergere in quello che si sta trasmettendo, saperlo raccontare sia per iscritto, che oralmente, che con immagini, video, link ecc. Essere giornalista vuol dire aiutare tutti i lettori a conoscere la realtà delle cose, a scoprire il mondo. Arrivare laddove non riescono ad arrivare loro.

Intervista a Giovanni Sofia

Giovanni Sofia ha 28 anni ed è nato a Messina. Sta completando la Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini”, presso l’università Luiss di Roma, città in cui vive da due anni. È laureato in Giurisprudenza all’ateneo di Messina e ha svolto due stage alla redazione Cronaca di Roma de Il Messaggero. Scrive di sport per il sito Gianlucadimarzio.com, ma con la stessa propensione si dedica, oltre alla carta stampata e al web, a radio e tv. Per la WeSport Srls prepara e monta servizi video, mentre per l’emittente Radio Amore racconta partite di calcio. Ha co-condotto “Contropiede”, programma di approfondimento sportivo su la rete messinese TcfTv e fa parte dell’ufficio stampa della Fondazione di Partecipazione Erasmo, in prima linea sui temi di mobilità e integrazione europea. Parla inglese e spagnolo ed è un grande appassionato di ciclismo.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Quando ci si approccia a un concorso, ci vuole sempre un po’ di sano spirito agonistico. Dare il massimo per cercare di arrivare il più lontano possibile. Ritengo sia questa l’unica ricetta per non avere rimpianti. Il tema è affascinante, ma mentirei se dicessi che ho inviato l’elaborato soltanto per il gusto di partecipare.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Abbastanza, specialmente nell’ultimo periodo. Al netto degli episodi deprecabili, ho notato anche tanto spirito solidale: su questo ha influito molto l’esempio diffuso attraverso i mezzi di comunicazione. Di storie di aggregazione, uguaglianza e integrazione, comunque, non si smette mai di avere bisogno. Ben vengano, allora, articoli, reportage, servizi e premi come questo.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Molte vengono da dentro, sono l’immedesimazione nella storia e la voglia di trasmetterla all’esterno a fare la differenza.

Le notizie devono essere sempre nuove?

E’ fondamentale.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La piega sembra più proiettata al profitto, ma ci sono anche prodotti dalla qualità elevata. L’aspetto commerciale, comunque, è difficile da condannare completamente. Viviamo in tempi di magra e i giornali restano aziende composte da lavoratori con famiglie, a cui, comunque vada, bisogna riconoscere uno stipendio alla fine del mese.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Chi cerca storie nuove e si preoccupa di verificarle.

Intervista a Francesco Sinigaglia

Francesco Sinigaglia ha 25 anni. Dottore con lode in Lettere, Filologia Moderna e Scienze dello Spettacolo e produzione multimediale, regista, drammaturgo e giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Puglia dal 2018. Dottorato di Ricerca in Lettere, Lingue e Arti (XXXV ciclo), presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Regista: Fuori (2016), Benedetto. Il papa di Gesù (2018). Pubblica: I volti della violenza a teatro: Dal Cinquecento a Dacia Maraini (TraLeRighe Libri Editore, Lucca, 2017); Otello nel laboratorio di Stanislavskij. Introduzione al metodo delle azioni fisiche (TraLeRighe Libri Editore, Lucca, agosto 2018).

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Certamente sì. Qualsiasi partecipazione a un premio è una sfida: non tanto con gli altri ma con i tempi perché scrivere per il giornale equivale a raccontare velocemente e con le parole giuste il presente. Questo caratterizza un buon giornalista.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Fare “comunicazione sociale” è un’altra delle sfide del giornalismo contemporaneo: il giornalista non solo deve essere abile nel convincere il suo lettore ad andare oltre il titolo, ma, attraverso una scrittura accattivante e sincera, deve dimostrare di saper trasmettere un messaggio. L’impegno del giornalista, in più, deve essere condiviso dalla testata che spesso e purtroppo, a causa della velocità dei cambiamenti e dei social networks, preferisce orientare la comunicazione verso orizzonti più semplici in grado di produrre numeri vuoti.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte? 

Le parole non si scelgono ma obbediscono alla logica di un pensiero: gli antichi sostenevano che tutto è già stato scritto; noi, invece, abbiamo il semplice compito di registrare la realtà fattuale. I temi attuali e concreti rientrano in un universo solidale in grado di insegnare e coinvolgere: i partecipanti devono tentare di intervenire a sostegno delle tematiche di cui si parlava.

Le notizie devono essere sempre nuove? 

Le notizie non devono essere nuove: devono informare. Queste hanno il dovere di rendere edotti i lettori. Non devono essere parziali, non devono essere gonfiate. Le notizie sono notizie, non storie. Le notizie appartengono alla materia ricostruttiva e per questo non bisogna correre il rischio di anteporre un servizio a un’etica commerciale.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La risposta sta nello scopo di fondazione della testata più che nel giornalista: il giornalista, poi, decide da che parte stare. Ognuno ha il suo compito. Bisogna, comunque, tenere presente che i giornalisti che afferiscono all’area del “prodotto commerciale” non deve essere sottovalutato o disdegnato: è un lavoratore come tutti gli altri con interessi e obiettivi differenti dal giornalista di “servizio”.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Un buon giornalista è colui che è presente, è in grado di leggere la contemporaneità e stare al passo con i ritmi frenetici del web.  Un buon giornalista, inoltre, ha il dovere morale di padroneggiare fluentemente la lingua che adopera per il suo lavoro. Infine, deve essere in grado di intercettare la notizia e verificare la certezza della fonte. Il giornalista si deve muovere. Come detto, deve essere rapido.

 

Intervista a Valerio Sforna

Valerio Sforna è nato ad Assisi il 22 giugno 1989. Vive a Brufa, una piccola frazione del comune di Torgiano, situata nella media valle del Tevere in provincia di Perugia, terra di vini e di ceramiche. Ha frequentato il liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Perugia, diplomandosi con 80/100. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Perugia, dove si laurea nel 2015 con una tesi di diritto pubblico comparato sul sistema elettorale e partitico degli Stati Uniti d’America. Dopo la laurea, intraprende il tirocinio presso il tribunale di Perugia per ottenere l’accesso al concorso in magistratura, ma nel 2018 abbandona la carriera giuridica per inseguire il sogno della sua vita: fare il giornalista. Superato l’esame di ammissione, si iscrive all’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino, che tutt’ora frequenta. Esteri e ciclismo le sue passioni. Ha svolto il tirocinio nella redazione de La Nazione Umbria, mentre ad aprile sarà a Radio Popolare a Milano per concludere il suo percorso nella Scuola di Giornalismo. Ama il cinema, i fumetti e la bici da corsa.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Sì, anche perché le materie di cui tratto di solito sono diverse.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non molto, si preferisce rincorrere la notizia di grido del momento, senza riflettere sulle conseguenze di quello che si scrive.

  Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole vanno sempre scelte. Mai affidarsi all’emozione del momento. Le parole sono uno strumento potentissimo, da maneggiare con estrema cura.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

La parola notizia porta dentro di sé un concetto di novità. Questo è innegabile. Ma in un certo senso la nuova frontiera del cosiddetto “slow journalism” ci offre altri modi per trattare, e magari ripensare, la notizia.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La maggior parte delle testate sono dei prodotti commerciali. Ma esistono ancora dei giornali che, “in direzione ostinata e contraria”, cercano di fare informazione e servizio pubblico.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Un buon giornalista oggi è colui che pensa, si ferma un attimo e riflette prima di scrivere.

Intervista a Giorgio Saracino

Giorgio Saracino, 25 anni, giornalista praticante e pubblicista. Laureato in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho frequentato la scuola di Giornalismo della Fondazione Basso. Quindi una prima collaborazione con il Nuovo Corriere Laziale, poi gli stage nelle grandi redazioni nazionali: prima tre mesi a SkySport24, poi Radio Vaticana, Left, Report (Rai Tre). Quindi l’iscrizione al Master in Giornalismo della Lumsa, e un altro stage a NewsMediaset. Qualche collaborazione, una un po’ più lunga a Il Tempo, dove ho scritto di cronaca. Amo la videocamera, girare e montare.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Partecipare a un Premio Giornalistico che ha come obiettivo la promozione dell’integrazione e dell’inclusione sociale è senz’altro una sfida. E oltre a essere una sfida, credo che sia un impegno che in molti si dovrebbero assumere. Perché dare voce a chi ne ha bisogna, oltre a essere un gesto nobile, è necessario per un giornalista.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo che la Comunicazione Sociale non trovi lo spazio che meriterebbe sulle testate giornalistiche italiane. Molto spesso si è troppo impegnati nella ricerca del retroscena, del gossip, della nera o di altri argomenti ancor meno interessanti. Quando invece esistono realtà sociali che meritano di essere raccontate, affinché diventino anche modelli di ispirazione per quanti vivono nella stessa situazione. Racconti che possono anche diventare denunce che puntino poi a far adoperare – da chi competente in materia – misure di sostegno e salvaguardia maggiori. Sensibilizzare per migliorare.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Penso che le parole si scelgano sempre. È importante trattare di determinati argomenti, ma è altrettanto importante – se non di più – farlo con i termini e le espressioni adatte. Mai offensivi, mai pietistici o sensazionalistici. Credo che sia fondamentale trattare di questi temi – ma come anche di altri – con la naturalezza e la spontaneità che meritano.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Le notizie non devono essere sempre nuove, anche se sembra una contraddizione, vista anche l’etimologia del termine stesso, “nuovo”. Le notizie, i servizi, gli articoli, gli approfondimenti, devono essere sempre tanti: se un tema merita di essere approfondito più volte, magari su piattaforme diverse, per far sì che arrivi al maggior numero di persone di età, fasce e target diversi, ben venga. Temi come quelli sociali meritano di essere ripetuti e declinati nel maggior numero di modi.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate sono prodotti commerciali, da sempre. Anche quelle del servizio pubblico devono avere a che fare con un bilancio. Certo è che questo non toglie che argomenti che si considera possano monetizzare di meno, lo facciano veramente. Mi spiego: chi dice che l’approfondimento su temi sociali non attiri il lettore o lo spettatore medio e che quindi non possa far produrre all’azienda denaro e profitti? Io penso che invece questo tipo di informazione piaccia alla gente, che sarebbe ben felice di dedicare qualche minuto ai temi di rilevanza sociale. Quindi, anche chi mira esclusivamente ai guadagni, potrebbe puntare sulla comunicazione e l’informazione sociale.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Io ho già partecipato al premo lo scorso anno, classificandomi al secondo posto nella sezione Radio-Tv. Son rimasto colpito dalla storia di Alessandra Bisceglia e dalla mission del Premio. Motivo per cui ho deciso di parteciparvi nuovamente. E non nascondo che credo che continuerò a farlo anche in futuro.

 

Intervista a Giacomo Puletti

Giacomo Puletti, ha 23 anni ed è di Città di Castello (PG). Ha un blog personale, fattichiari.wordpress.com, dove scrive soprattutto di politica interna ed estera. È giornalista praticante all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, dove è entrato dopo essersi laureato in Scienze Politiche, Sociali e Internazionali all’Alma Mater di Bologna ed essermi diplomato al Liceo Classico di Città di Castello. Già stagista al Giorno a Milano, ha collaborato con il Festival del giornalismo culturale e ha scritto per il Corriere dello Sport negli anni dell’università; da aprile a giugno 2020 sarà in stage a Rainews24 a Roma.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Le tematiche sociali, soprattutto quelle legate alle malattie rare, rappresentano per i giornalisti una sfida da cogliere in tutte le sue sfaccettature. A me è venuto spontaneo affrontare questo tema per partecipare alla quarta edizione del premio “Alessandra Bisceglia”, perché ritengo fondamentale che l’opinione pubblica sia informata sulle storie di chi affronta ogni giorno la malattia con coraggio e forza di volontà e sulle cure messe in campo per sconfiggere il dolore.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo che la comunicazione sociale trovi spazio nelle testate ma troppo spesso nelle pagine “periferiche” dei giornali o senza la necessaria evidenza nelle testate online. Credo che raccontare storie di “vita vera” legate alle tematiche sociali debba essere orgoglio di vanto per un media, e di conseguenza dovrebbero avere maggiore visibilità.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole sono uno strumento molto importante nella vita di tutti i giorni, sia in quanto cittadini sia, ancora di più, come giornalisti delegati alla corretta informazione dell’opinione pubblica. Per questo ritengo che le parole, in un tema come quello del premio giornalistico Alessandra Bisceglia, debbano essere scelte con cura per evitare di cadere nella retorica e in luoghi comuni che non saprebbero rendere appieno la sensibilità umana che spesso si nasconde dietro storie di profonda rilevanza sociale.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Ritengo che le notizie, in quanto tali, debbano essere sempre nuove. Tuttavia, occorre distinguere tra notizie e storie, in quanto quest’ultime possono essere raccontate anche se “vecchie” o “fredde” nel caso in cui si voglia far emergere una tematica degna di essere raccontata. È questo il caso di molte storie che riguardano il sociale, le quali spesso restano nascoste sotto la polvere finché qualcuno non si prende il merito e la profonda responsabilità di farle emergere portando in superficie il dolore e la speranza.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate, per definizione ontologica di giornalismo, dovrebbero essere sempre un servizio pubblico, ma purtroppo si avvicinano ogni giorno di più ad essere servizi commerciali. Tuttavia, credo che occorra prestare attenzione a evitare le generalizzazioni, perché esistono ancora testate che si prodigano per fornire un servizio utile ai cittadini e che in quanto tali meritano stima e riconoscenza da parte dei colleghi.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Penso che la competenza e la professionalità che Lucia Goracci dimostra nei suoi servizi televisivi o radiofonici dalle zone di guerra non abbiano eguali nel panorama giornalistico italiano.

Intervista a Alice Possidente

Alice Possidente, dopo il diploma di maturità scientifica, conseguito nel 2011, dalla Basilicata si trasferisce a Bologna, dove si iscrive alla facoltà di Lettere moderne. Nel 2014, attraverso il programma Erasmus placement, svolge in Scozia un tirocinio di tre mesi presso L’Istituto Italiano di Cultura di Edimburgo. Si laurea nel novembre 2015 con una tesi in letteratura italiana dal titolo “Viaggio nella letteratura lucana”.
Sempre a Bologna, si iscrive alla magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa; dopo sei mesi di Erasmus in Spagna, a Valencia, si laurea a marzo 2018 con una tesi in comunicazione pubblica dal titolo “Quel che resta del talk show politico: un’analisi di #cartabianca e Gazebo”.
A novembre del 2018 si trasferisce a Urbino, per frequentare l’Istituto di Formazione al Giornalismo. Da settembre a novembre 2019 ha svolto un tirocinio presso il giornale on line tpi.it.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Scrivere è sempre una sfida, una bella sfida. Scrivere di comunicazione sociale, a volte, può essere difficile per via della delicatezza dei temi da trattare ma è sempre appagante.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non sempre.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole vanno sempre scelte. È una delle parti più importanti e delicate del nostro lavoro, qualunque sia il tema trattato.

Le notizie devono essere sempre nuove?

L’ etimologia della notizia è notus, “conosciuto”. Non necessariamente le notizie devono portare elementi di novità.

  Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate, oggi, sono abbastanza schiacciate dal calo delle vendite. Per sopravvivere spesso tendono a urlare la notizia nella speranza che porti più click (o più copie vendute). Ma non è raro trovare esempi di giornalismo di qualità anche oggi.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Colui che osserva, si incuriosisce, fa domande, indaga dolcemente e non è mai invadente. Colui che riesce a narrare con velocità, precisione e senso etico. È una definizione senza tempo, in realtà, vale per il presente come per il passato e probabilmente varrà anche per il futuro.

Intervista a Anna Piscopo

Anna Piscopo di quasi 30 anni è una giornalista pubblicista, ora praticante al master in giornalismo dell’Università di Bari. “Sono un uomo e tutto quello che ha a che fare con l’essere umano mi riguarda”: questa frase del commediografo romano Terenzio racchiude il suo modo di guardare la vita. Laureata in lettere a Bari, poi in editoria e giornalismo a Roma, ha avuto alcune esperienze come addetto stampa e responsabile della comunicazione di un’associazione di categoria. Tra le sue passioni ci sono la politica, la cronaca, la poesia, la musica, lo sport, il cinema italiano, il mare. Parla il francese e un poco di inglese. Ama unire con le parole mondi che sembrano distanti.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Assolutamente sì.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non abbastanza.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Si scelgono tra quelle già scelte. Dobbiamo essere compresi da chi ci legge.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. Devono essere nuovi il modo e lo stile con cui vengono trattate.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Sono prodotti commerciali “travestiti” da servizi pubblici. Bisognerebbe puntare su qualcosa che vada oltre la superficie.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Chi è curioso, empatico e credibile.

Intervista a Federica Nannetti

Federica Nannetti ha 25 anni ed è di Bologna. È laureata in Lettere Moderne ma con il sogno di diventare giornalista fin dai banchi di scuola superiore. In quegli anni, infatti, ha partecipato al concorso Repubblica@Scuola e ho svolto uno stage estivo in un’emittente locale. Da ottobre 2019 frequenta il Master in Giornalismo dell’UNIBO, allo stesso tempo, sta portando avanti l’altra mia grande passione: il pattinaggio artistico. Ha iniziato a praticare questo sport a soli quattro anni e oggi continuo a trasmettere la sua dedizione, allenando le nuove generazioni delle rotelle.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

È stata una sfida soprattutto emotiva. Ho avuto la fortuna di incontrare una terapeuta disponibile ad accompagnarmi nel profondo del tema, facendomi vivere in prima persona il suo lavoro, la sua passione e la sua missione. E proprio per questo le emozioni sono state forti e trascinanti.

  La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

È un tema di primaria importanza e dalla potente valenza umana che, proprio in virtù di questo, dovrebbe avere molta più visibilità sulle testate. Un tema per il quale sarebbero necessari più approfondimenti, pazienza e dedizione, in modo tale da mettere in luce tante storie meritevoli ed esemplari. Non a caso ho scelto di partecipare a questo concorso proprio all’inizio del mio percorso nel mondo del giornalismo.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Ritengo che debbano essere scelte, come sempre del resto, ma con ancora maggior cura. È necessario un giusto equilibrio tra delicatezza, estrema precisione e competenza.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Indubbiamente la tempestività è una qualità indispensabile nel giornalismo. Al giorno d’oggi, però, il rischio è quello di un’eccessiva corsa alla notizia e di uno scarso controllo delle fonti a discapito della qualità delle informazioni. Ecco perché il principio guida penso debba sempre essere la correttezza e la meticolosità.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

A volte ci si trova sulla soglia limite, ma il giornalismo non può rinunciare a essere un servizio pubblico a favore della popolazione.

  Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Forse non esiste un prototipo del “buon giornalista”. Ma chi pone il diritto di informazione corretta e leale come obiettivo primario, nell’interesse della comunità, ritengo sia sulla strada giusta. Allo stesso tempo è importante avere un forte senso etico-morale, facendo proprie tutte quelle norme deontologiche troppo spesso percepite solo come vincoli troppo stretti.