Intervista a Ilaria Beretta

Ilaria Beretta, 28 anni, è giornalista professionista. Collabora con il bisettimanale d’attualità per bambini Popotus e il quotidiano Avvenire. Responsabile della comunicazione per un istituto religioso, scrive anche per “Mondo e Missione” e “Credere” dando spazio a buone pratiche ed esperienze di solidarietà. Nel 2017 ha vinto il Premio De Carli per l’informazione religiosa e nel 2020 una menzione speciale del Premio Benedetta D’Intino per la comunicazione della disabilità. Ha scritto il libro “Quello che le donne non dicono alla Chiesa” (Àncora, 2019) e ogni settimana registra il podcast per bambini “Le notizie della illy”.

 

È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Assolutamente sì, soprattutto per me che spesso ho a che fare con piccoli lettori, bambini dai 6 anni in su, ai quali sembra già impossibile raccontare l’attualità: figuriamoci un tema delicato come la disabilità…

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Mi ha colpito molto un’intervista fatta qualche anno fa a un’operatrice sociale delle carceri milanesi. Collaborando con marchi di alta moda, ha permesso alle detenute non semplicemente di lavorare e occupare il tempo, ma di diventare sarte specializzate i cui lavori sono richiesti dalle boutique più famose del mondo. Più recentemente ho incontrato e intervistato una religiosa che da quarant’anni in Costa d’Avorio si occupa di bambini con disabilità e soprattutto di cancellare lo stigma che ancora oggi li accompagna.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Personalmente ritengo ci sia un grande bisogno di buone pratiche che diano lo spunto ad altri a fare altrettanto. Siamo abituati allo slogan “bad news is a good news” e naturalmente non nego l’importanza del giornalismo come cane da guardia della democrazia. Tuttavia, l’informazione dovrebbe farsi veicolo anche di un contagio positivo, di storie che hanno il potere di innescare processi di cambiamento.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Negli ultimi anni mi sembra che ci sia un’attenzione maggiore in questo senso, anche se la strada da fare è ancora lunga.

 Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Mi sembra positivo. I nuovi media permettono di entrare in contatto rapidamente con un maggior numero di persone e soprattutto di coinvolgerle: un aspetto particolarmente interessante per chi si occupa di comunicazione sociale e punta a sensibilizzare e a spingere i lettori a collaborare.

 Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

La comunicazione è sempre fatta di parole, pertanto è senz’altro fondamentale conoscerle e saperle trattare. Penso, per esempio, all’importanza di curare la scelta dei vocaboli per non generare allarmismi infondati; oppure ai tanti casi in cui si tratteggia a tinte vivide un fatto che invece, per etica professionale, dovrebbe essere raccontato con più sfumati…

 Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

La notiziabilità di un fatto non si limita solo alla sua attualità temporale. Personalmente ritengo che, nel costante flusso di notizie – spesso in formato flash – in cui siamo immersi, è molto utile divulgare (e dall’altro lato leggere) articoli di sintesi e approfondimento su tematiche o concetti particolarmente importanti.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Entrambe le cose. Da un lato, nella crisi editoriale in cui ci troviamo, è innegabile una certa tendenza ad “acchiappare lettori” con strategie push più simili a quelle usate dal marketing che al linguaggio obiettivo richiesta ai giornalisti. Dall’altra ci sono un buon numero di prodotti giornalistici e singoli cronisti che continuano a fare un grande lavoro di ricerca e racconto: bisogna avere la pazienza di individuarli e seguirli.

 Che significa essere un buon giornalista?

Sforzarsi di capire ogni cosa per bene, senza dare per scontato nessun concetto, prima di raccontarla ad altri, scegliendo lo stile e le parole giuste.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Online, navigando sul sito della Fnsi.

Intervista a Daniele Bartocci

Giornalista marchigiano classe 1989, in oltre 17 anni di giornalismo si occupa di argomenti quali cronaca e sport. Laureato in Economia e Commercio (110 e lode), ha lavorato come telecronista, radiocronista e inviato, rivestendo l’incarico di responsabile ufficio stampa (Jesina Calcio) e collaborando con magazine, settimanali, quotidiani cartacei (Corriere Adriatico) e online. Ha partecipato negli anni a eventi sportivi come Gran Galà Calcio Serie A Milano, Gran Galà Calcio Serie B, Sport Digital Marketing Festival e Olimpiadi del Cuore di Forte dei Marmi. Nel suo cv un Master Sport – Digital Marketing & Communication del Sole 24 Ore. Risulta tra i vincitori del premio Overtime Web Festival 2018 (miglior articolo sport individuali), si conferma nel 2019 e ottiene il premio giornalistico nazionale Mimmo Ferrara 2019 (menzione speciale all’Odg – Napoli). È tra i vincitori del concorso letterario Racconti Sportivi 2019 (Centro Sportivo Italiano – Historica) la cui cerimonia di premiazione si è svolta in occasione della settimana del Salone del Libro di Torino 2019 e al Teatro Arena di Bologna. Si ripete nell’edizione 2020 di Racconti Sportivi. È stato premiato a Maggio 2019 come miglior giornalista under 30 Premio Renato Cesarini 2019. Nominato tra i migliori 30 millennials d’Italia 2019, vincitore del prestigioso Myllennium Award all’Accademia di Francia a Roma in ambito comunicazione sportiva. A settembre 2019 riceve la menzione d’onore al Premio Letterario Città di Ascoli Piceno. Ha all’attivo interventi e docenze in giornalismo e comunicazione in università e master (Roma, Bologna, Ancona, Macerata). A luglio 2020 viene premiato dal Ministro Sport Vincenzo Spadafora al Myllennium Award 2020 (Accademia di Francia – Villa Medici), alla presenza del Presidente Coni Giovanni Malagò, e ottiene il premio speciale di migliore giornalista giovane al Premio Cesarini ad agosto 2020. A Torino vince sempre nel 2020 il Premio Giovanni Arpino – Inedito dedicato alla letteratura sportiva. Vincitore del titolo di miglior blogger sportivo 2020 (Blog dell’Anno 2020) e del premio di giornalismo sportivo Simona Cigana 2020 (Friuli Venezia Giulia). Vince anche la menzione speciale al Premio Internazionale Città di Sarzana e al Premio Santucce Storm Festival sempre in ambito storytelling sportivo. Autore del libro “Happy Hour da fuoriclasse al Bartocci”. 

 

È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente sì, le sfide mi affascinano, per tale motivo ho deciso di partecipare a questo premio così prestigioso legato a tematiche assai delicate. Avendo partecipato nel corso degli anni anche a vari eventi e scritto articoli attinenti alla comunicazione sociale, solidarietà e integrazione sotto vari punti di vista… ho ritenuto opportuno seguire questo premio…

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Probabilmente lo sviluppo sostenibile e i nuovi format applicati alle discipline agonistiche e sportive, anche in tema di eventi e situazioni legati a diversamente abili. Qualche anno fa nelle Marche ad esempio c’è stato un bellissimo evento che ha affrontato in maniera perfetta sport e inclusione sociale ovvero i Giochi Integrati di Scherma  tra atleti normodotati e con disabilità provenienti da tutta Europa.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo tutte quelle tematiche sociali che sul grande schermo sono poco seguite ma che in realtà assumono una fondamentale rilevanza, nonostante non siano appunto sotto i riflettori nazionali.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Lo spazio mediatico riservato a queste tematiche non mi risulta essere esagerato, ma nel complesso buono. Di certo si potrebbe far meglio nei tempi dell’era digitale.

Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Portano inevitabilmente a un nuovo tipo di informazione, una comunicazione bidirezionale e una specifica condivisione di contenuti unita a un tipo di audience digitale spesso ritenuta più consapevole… Il concetto di socializzazione può essere enfatizzato con i nuovi modelli di comunicazione online ma nello stesso tempo occorre stare attenti in quanto si possono venire a creare secondo alcuni, in linea generale, nuove forme di analfabetismo e bullismo.

Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Credo che le parole debbano essere scelte e selezionate, al posto giusto nel momento giusto, ai fini di un’ottimizzazione a 360 gradi.

Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Un giornalista che racconta i fatti in maniera veritiera e senza condizionamenti di varia natura, puntando sull’originalità della news e ottenendo una certa reputation e credibilità, in modo tale che anche gli stessi personaggi siano maggiormente propensi a rilasciare dichiarazioni e interviste.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

È inutile nascondere che esistono testate che mantengono una propria identità strettamente ‘commerciale’, forse dimenticando il ruolo essenziale dell’utente finale. Gli interessi commerciali ‘dominano’ e probabilmente ‘domineranno’ sempre di più nel prossimo futuro. Servizio pubblico in pericolo? No, adesso non esageriamo.

Che significa essere un buon giornalista?

Essere credibili, autorevoli, originali. Essere onesti con se stessi per poterlo essere con i lettori, esercitare l’attività giornalistica con passione e sacrificio, e con la consapevolezza che non si tratta di un privilegio bensì di un servizio da saper esercitare con umiltà e autorevolezza.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite il web, un premio di assoluto prestigio che si ripete ogni anno.

Intervista a Erika Antonelli

 Erika Antonelli ha 29 anni e una laurea magistrale in Interpretariato e traduzione che le ha fatto capire due cose: in tedesco la parola “Heimweh” è intraducibile e io non voglio fare l’insegnante. Prima di iscriversi al master in Giornalismo e Comunicazione multimediale della Luiss (Roma) ha insegnato tedesco e inglese in una scuola di lingue e vissuto tre anni in Austria. A 28 anni è tornata in Italia (vedi “Heimweh” di cui sopra) ed era intrappolata in una professione poco appagante. Ha scelto di iscriversi alla scuola di giornalismo, cosciente che senza borsa di studio non se la sarebbe potuta permettere. Ha vinto la prima e ringrazia il giorno in cui per caso ha letto il bando di iscrizione. Ha fatto uno stage presso CBC, Canadian Broadcasting Corporation. Partecipa a questo premio perché trova che la comunicazione sociale sia la sintesi perfetta del lavoro giornalistico: bisogna scegliere con cura le parole, ma la storia vale la fatica.

 

 È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Certo, perché un premio così specifico ti costringe a focalizzare fin da subito l’obiettivo finale. C’è bisogno che la storia parli sì di malattia, ma anche di buone pratiche e inclusione. È una sfida, perché spesso fa comodo descrivere il malato come una persona per cui si prova compassione, pena. Una narrazione “comoda” ma ingiusta, che questo premio ti stimola a superare.

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Forse quello che ho deciso di raccontare per questo premio: la vita di Orlando, un bambino affetto da SMA 2, e della sua mamma. Ho dovuto fare domande difficili, cercando il giusto equilibrio tra il ruolo di giornalista e la sensibilità. È stato un viaggio nel dolore, le speranze e le paure di una famiglia che non avrei mai conosciuto se non avessi scelto di partecipare a questo premio. So che suonerà retorico, forse lo è, ma per me è questa la vera vittoria.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Le buone e le cattive pratiche. Non parlo delle news, quelle che consultiamo per aggiornarci sul cellulare o leggiamo sul giornale di carta se abbiamo a disposizione un po’ di tempo in più. Quella è informazione necessaria, a rapido consumo. Parlo di una storia che non invecchi in un giorno, una “dalle gambe lunghe”. Che poi è il tipo di giornalismo che vorrei fare io. Ecco, per queste storie che non invecchiano in un giorno vanno bene iniziative, progetti, persone che possano essere d’ispirazione per chi legge. E, al contempo, il loro contrario: vicende, fatti, esempi di cattive pratiche, che un giornalista deve mettere in luce. Faccio due esempi di cose a cui ho lavorato, per rendere meglio l’idea: il collettivo Donne per strada, nato da un mese per far compagnia a chiunque debba spostarsi durante la notte. E lo sfratto di Vivere La Gioia, una Onlus che a Roma Sud sfamava circa 200 famiglie.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo non trovi uno spazio adeguato, tranne qualche eccezione. Penso per esempio alla sezione del Corriere della Sera, Corriere Buone Notizie. Ritengo sia dovuto alla complessità del tema, che per essere trattato bene deve essere affrontato in tutte le sue sfaccettature.

Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Possono, ritengo, diventare uno strumento. Parlare di una buona pratica, soprattutto in questi tempi, può diventare “virale” e dunque essere d’ispirazione per chi si trova nella stessa situazione. Inoltre, i nuovi media possono anche essere una risorsa per chi vuole raccontare la propria malattia, denunciare una mancanza, dare voce a chi in quel momento non ne ha.

Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Certo che sì, perché le parole sono importanti. E un comunicatore, un giornalista, deve esserne consapevole. Ne è un esempio la sociolinguistica, che in questi tempi si arrovella per creare un linguaggio quanto più possibile inclusivo. È come quando si scrive di un femminicidio e si dice che la vittima è morta “per la gelosia del partner”: non c’è gelosia che tenga a giustificare un omicidio. Lo stesso vale per la comunicazione sociale, perché le parole non sono neutre. “Orlando è inchiodato su una carrozzina”, “Orlando sfreccia sulla sua carrozzina”. Il soggetto è lo stesso, l’immagine che plasmo con le mie parole no.

Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

No, devono essere interessanti. Non credo nel mito del rincorrere la notizia nuova, lo scoop, il retroscena. Preferisco un giornalismo lento, approfondito, che segua gli sviluppi di una storia nel caso siano rilevanti.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Prodotti commerciali, temo. Ho l’impressione che ogni testata parli alla sua “bolla” di riferimento, perché uscire dal tracciato è troppo rischioso. Soprattutto se bisogna tenersi stretti i lettori, che con il digitale e i social network sono sempre meno. E questo spesso va a detrimento della figura professionale del giornalista, che non è più “watchdog” ma segugio a caccia di dettagli poco rilevanti.

Che significa essere un buon giornalista?

Secondo me tutto parte dalla curiosità. Un buon giornalista è curioso, “ficca il naso”, va a fondo, segue la sua storia, costi quel che costi. Verifica, tanto. Legge, sempre. Fa le domande giuste. E con la testa non stacca mai. Perché ogni occasione, anche quella più scanzonata, potrebbe fornire lo spunto per un’altra storia.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Il Premio l’ho conosciuto grazie all’email che mi ha inviato la segreteria della mia scuola di giornalismo, il master in Giornalismo e Comunicazione multimediale della Luiss (Roma).

V EDIZIONE DEL PREMIO GIORNALISTICO ALESSANDRA BISCEGLIA PER LA COMUNICAZIONE SOCIALE

Ancora aperto il bando per partecipare al Premio giornalistico Alessandra Bisceglia per la comunicazione sociale,
volto a dare seguito a quell’esempio di coraggio, tenacia, profonda motivazione che Alessandra ha testimoniato nella vita, nello studio, sicuramente nella professione giornalistica.

La partecipazione al bando – con scadenza 30 aprile 2021 – è riservata a giornalisti pubblicisti o professionisti iscritti all’Ordine dei Giornalisti, di età non superiore ai 35 anni, nonché a giovani che si preparano a diventare
giornalisti, frequentando Scuole riconosciute dall’Ordine.

Giunto alla sua V edizione, il premio intende quindi riconoscere e stimolare l’impegno profuso dall’informazione al servizio del sociale per entrare nei temi delle malattie rare, delle buone pratiche di integrazione per le persone
diversamente abili e di episodi di alto livello civico in tema di sanità e inclusione sociale, con particolare attenzione all’evidenza scientifica e all’equità nell’accesso alla cura.

In questa prospettiva, il premio – promosso dalla Fondazione Alessandra Bisceglia assieme all’Università Lumsa e all’Ordine dei Giornalisti, con il sostegno di importanti enti e istituti – vuole essere un invito a dare spazio a
una comunicazione sociale che fa narrazione e contronarrazione, non solo intercettando i problemi e i disagi vissuti da categorie vulnerabili, ma anche recuperando uno sguardo diverso sulla contemporaneità per non rimanere prigionieri del senso di impotenza verso il virus dell’indifferenza.

È questo un modo per rafforzare la convinzione che il giornalismo può sempre più distinguersi come vettore di innovazione culturale, capace di incidere anche sul modo di vivere la condizione generata dalla malattia e di ridurre
il disagio legato alle sue ricadute sociali.

Come riportato dal bando, il Premio – articolato in tre sezioni (radio-televisiva; agenzie di stampa, quotidiani e periodici; web) – sarà conferito a pezzi giornalistici pubblicati, trasmessi o diffusi nel periodo compreso tra il
21/02/2020 e il 21/04/2021.

Prof.ssa Donatella Pacelli – Docente ordinario di Sociologia generale presso la LUMSA di Roma e Vicepresidente della Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa Ale Onlus

BANDO INTEGRALE (PDf)

SCHEDA DI ISCRIZIONE (PDF)

Contatti – Segreteria organizzativa Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia per la Comunicazione Sociale

premioalessandrabisceglia@fondazionevivaale.org

tel. 0972 81515 – mob. +39 339 1601371 

 

Buona Pasqua!

Che tipo di auguri possiamo fare stavolta?

Siamo in un momento speciale della nostra storia. Uno di quei momenti nei quali ci si ritrova da una parte. O dall’altra.

Noi non siamo con chi aspetta solo la fine della pandemia, la fine dell’”incubo”, per ricominciare — di corsa — tutto come prima.
Siamo insieme a chi si sente parte del mondo, del proprio Paese, della propria città, della propria comunità. Dalla parte di chi non vorrebbe danneggiare l’ambiente, di chi non vorrebbe fare debiti, da scaricare su figli e nipoti. Di chi non accumula ricchezze solo per sé, di chi non confida soltanto nella sua personale salvezza.
Siamo con chi pensa che qualsiasi problema, qualsiasi situazione vada affrontata al fianco degli altri. Che non ci si debba accalcare all’uscita, pestando piedi e dando gomitate.
Siamo con chi pensa che il virus non è un caso sfortunato, non è un castigo di Dio, ma invece, probabilmente, il risultato di comportamenti ripetuti e sbagliati, soprattutto nei confronti della natura. Ogni tragedia può servire ad imparare qualcosa, a fermarsi per riflettere, a rivolgersi verso chi è in difficoltà maggiori delle nostre.

Nel nostro piccolo, la Fondazione ViVa Ale — che è già un modo di dedicarsi a chi fatica — non ha mai mollato, in questo anno, dal marzo del 2020. Abbiamo cercato di organizzarci, secondo la nuova realtà. Abbiamo offerto consulenze online, psicologiche e mediche.

L’Equipe multidisciplinare al Campus biomedico di Roma ha discusso i casi più complessi. Abbiamo avviato la promozione, attraverso piccole video interviste agli autori dei capitoli, della “Guida all’armonia possibile”, rivolta ai caregiver, le persone che si occupano di chi non sta bene.

Il Premio Giornalistico, intitolato ad Alessandra, si è svolto regolarmente, con una cerimonia finale che ha consegnato i premi a distanza, ma tutti i giovani premiati sono intervenuti e hanno illustrato con entusiasmo i loro lavori. Nella stessa giornata si è svolto un convegno valido per i percorsi di formazione dei giornalisti.

La pandemia non deve finire affinché tutto riprenda da dove era stato lasciato. Deve finire lasciando questa
lezione: meno attenzione a se stessi, più sguardo sul prossimo e sulla terra dove viviamo.

Buona Pasqua 2021!

 

Andrea Garibaldi – Giornalista, Presidente di Giuria “Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia”

Illustrazione di Giulio Laurenzi – “I colori freddi e le forme geometriche del prato e dello sfondo, di forte impatto grafico, non riescono a bloccare la forza della volontaria della Fondazione. Il calore del cuore arriva sempre, nonostante tutto.”