Intervista ad Elisabetta Rosso

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?
Sicuramente. Sia per la specificità del tema sia per la delicatezza dell’argomento.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
La storia di Mariano. Purtroppo molte volte le malattie rare vengono trattate con superficialità. A pagare l’incompetenza sono proprio le persone affette da determinate patologie, che non solo devono affrontare una situazione difficile come la malattia, ma anche scontrarsi con l’ incompetenza di alcuni medici.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Le storie, che possono diventare sia esempi positivi sia moniti per i rischi di determinate situazioni. Da rispettare invece la privacy dei pazienti.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?
Sì, non sempre, ma alcune storie riescono a raggiungere anche le testate giornalistiche. Come in ogni ambito esistono parole giuste, ancor di più quando le parole vengono usate per raccontare situazioni delicate e dolorose. Da sottolineare anche l’attenzione per il gerco tecnico e scientifico.

5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
L’attualità della notizia è sicuramente un criterio importante, ma l’attualità non è sempre legata alla cronologia dei fatti. Se una notizia può essere rilevante anche anni dopo allora deve essere raccontata.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Sono entrambe le cose. Dipende dalla testata.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?
Riuscire a portare alla luce notizie rilevanti che creino maggior consapevolezza, farlo in modo corretto e rispettoso.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
Attraverso alcuni colleghi che mi hanno consigliato di partecipare.

Intervista a Francesco Sinigaglia

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È un vero piacere poter partecipare alla nuova edizione un Premio così importante e prestigioso che affronta tematiche di alta caratura soprattutto in virtù dell’obiettivo di sensibilizzazione dei più giovani alla voce viva del Giornalismo, nella scrittura convergente di penne esperte con quelle in erba, provenienti dal mondo della Scuola. Una sfida ambiziosa che oggi si fa certezza: un chiaro riferimento per la Stampa nazionale.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Tra le indagini condotte, certamente, quelle a sfondo sociale e culturale sono quelle che hanno maggiormente catturato la mia attenzione: mi hanno spinto a esaminare con profondità tematiche concernenti i problemi della Salute internazionale, in un periodo come il nostro, fortemente legato alle emergenze sanitarie, nell’ottica di un focus mirato sulla questione alimentare e sul fabbisogno della popolazione, nella direzione di scandagliare e contribuire a portar luce sulle numerose difficoltà dovute ai blocchi delle importazioni e delle esportazioni, cagionate dal conflitto tra Russia e Ucraina. Nel particolare dell’indagine proposta, mi sono chiesto come nel nostro piccolo possiamo contribuire a dare una mano effettiva agli altri: la mia ricerca ha preso le mosse dall’operatività di comuni cittadini e di piccole associazioni attive sul territorio, impegnate concretamente ad aiutare, anche con ottimi risultati, chi vive in condizioni di disagio e di difficoltà.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò che possa stimolare la coscienza dei fruitori: oggi in molti – anche nel nostro settore – ritengono che possa bastare un titolo o una buona immagine. Tuttavia, al raggiungimento dei presupposti di una informazione efficace (accurata, sintetica ma complessiva), è opportuno far rientrare poche battute essenziali e coerenti a oggetto di interesse della comunità di riferimento. Potenzialmente, a oggi tutto può essere motivo di informazione: è importante però avere chiaro il pubblico di riferimento della notizia e la prassi comunicativa.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

La comunicazione sociale allo stato dell’arte è uno degli elementi su cui un giornalista può lavorare e “fare gavetta”, iniziando cioè a trattare questi temi sin da giovane, per intraprendere la professione e la carriera giornalistica. Sovente osserviamo che le notizie relative alla comunicazione di natura “sociale” vengono collocate in secondo piano, rispetto alle informazioni legate ad argomenti quali politica locale, nazionale o internazionale, o notizie di cronaca. Il sociale, però, toccando maggiormente le sensibilità e le intelligenze, potrebbe assumere un ruolo, per così dire, pedagogico ed educativo – quindi non solo informativo -, soprattutto in riferimento ai lettori più giovani a costituire una coscienza “sostenibile”, “ecologica”, “digitale”, e, più in generale, “umana”: key words della nuova comunicazione. Attraverso di esse, a mio avviso, è possibile raggiungere quello che un tempo risultava essere l’obiettivo massimo dei maître-à-penser della filosofia occidentale per il raggiungimento della cosiddetta “pubblica felicità”.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Vediamo continuamente che le notizie riportate anche dai programmi di informazione televisiva si rincorrono, si inseguono, aggiungono dettagli “a spizzico”, in una strategia che tiene incollato lo spettatore-uditore-fruitore a “stare sempre sul pezzo”, ruotando in sostanza attorno alla medesima questione. Implementano la notizia cioè di dettagli anche di minore rilevanza, rispetto alle informazioni già diramate e diffuse. Pertanto, sarebbe opportuno cercare di informare i lettori più diffusamente affinché si possa tornare ad acquistare il giornale – che sia anche quello online – che rende specifica la notizia rispetto a un target di riferimento ben individuato. Ciò si dovrebbe adottare sia a livello locale, soprattutto per le province d’Italia, che a circoscrizioni più ampie, cercando di coprire quanto più possibile gli interessi dei fruitori e tutti i colori della notizia.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Il lavoro del giornalista rientra nell’ambito delle funzioni del Servizio Pubblico. È anche necessario focalizzare l’attenzione sulla corretta gestione che si ha rispetto a un giornale: può essere il caso delle testate (soprattutto di concerto alle difficoltà dei piccoli giornali e delle testate locali). Sia però che si tratti di testate in quanto prodotto commerciale o nella considerazione ampia e complessa di servizio pubblico, è importante che il giornalista non disorienti il lettore, inseguendo un senso piuttosto che l’altro, ma mantenga il giusto equilibrio.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Essere sul pezzo, non rincorrere la notizia e approfondire i propri campi di interesse rispetto al proprio percorso professionale e di vita, rimanendo libero e fornendo al lettore una notizia che sia imparziale e oggettiva, nel pieno rispetto dei canoni deontologici.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Per il terzo anno consecutivo sono a partecipare all’edizione del Premio: è come tornare a casa. È sempre bello poter candidare propri lavori che hanno impiegato passione, tempo, dedizione e spirito critico, rispetto ai problemi che sono contemplati dalla società attuale, in una prospettiva di ricerca e di indagine che combacia con gli interessi del Premio in sé, con la sua consueta ed eccellente organizzazione.

Intervista a Claudio Rosa

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Partecipare a questi concorsi è sempre sfidante. L’obiettivo non è solo raccontare la malattia dal punto di vista clinico, ma narrare una storia che possa rispecchiare il percorso della persona che la vive sullq pelle, rispettandone sempre la dignità. Raccontare è sempre un compito delicato, a maggior ragione nel nostro caso dato che siamo entrati a contatto con un intero reparto e con le vite di minori, ma riuscire a comunicare una malattia e la sua umanità rende il risultato ancora più significativo.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sicuramente quella di Alessia, una storia forte, cruda, impattante e le parole della madre riassumono meglio di ogni altra cosa il significato del video ed il messaggio che c’è dietro.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 L’oggetto di informazione deve riguardare la descrizione della malattia rara, in moro che possa essere conosciuta dal pubblico, sfatando miti o dubbi. D’altra parte è importante comunicare il percorso quotidiano della persona per far capire le varie tappe del caso clinico. In questo modo si avrà una narrazione chiara e veritiera. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

La comunicazione sociale è presente nel flusso informativo, ma è sempre difficile trovare il modo migliore per renderla corretta alla maggior parte delle persone. Nell’uso delle parole bisogna trovare sempre un equilibrio, evitando i toni compassionevoli e ricercando il rispetto della condizione clinica

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

 Non è obbligatorio che le notizie siano sempre nuove, ma è opportuno che si rinnovino sempre i termini comunicativi della narrazione. È importante arricchire il contesto dando nuovi spunti di riflessione e nuovi e nuovi angoli di lettura.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 Dipende dal tipo di prodotto che si va ad analizzare. Credo che, con le dovute eccezioni nel panorama italiano, il ruolo del giornalista debba essere quello di informare il proprio lettore, formando una comunicazione di alta qualità e con i giusti obiettivi commerciali.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

 Un buon giornalista è colui che accompagna il proprio lettore attraverso la realtà, senza edulcorarla o spettacolarizzarla. È una persona libera da pregiudizi e vincoli, con il grande dovere di portare alla luce i problemi della società, senza lasciare niente al caso.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

È stato Davide Arcuri a presentarmi il concorso e chiedermi di partecipare con lui. Vedendo il bando e le tematiche che sarebbero state affrontate, ho deciso di partecipare insieme a lui.

Intervista a Davide Arcuri

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Una grande sfida. Raccontare le storie di persone affette da patologie specifiche è sempre complicato. Trattare il tema delle malattie rare lo è ancora di più. Serve molta sensibilità, bisogna evitare qualsiasi tipo di spettacolarizzazione e soprattutto rispettare sempre la dignità delle persone coinvolte. Una vera sfida quotidiana per chi sceglie di trattare questo tema.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nei miei primi anni di carriera ho raccontato centinaia di storie, difficile dire qualche mi abbia segnato di più. Relativamente a questo lavoro non posso che pensare all’intervista alla mamma di Alessia che parlando di pazienti rari dice: “Sono bambini speciali, ma prima di tutto sono bambini”. Questa frase a mio parere racchiude il senso fondamentale di questo particolare tipo di comunicazione.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

A mio parere ogni storia, dalla più importante alla più banale, può ambire a diventare una notizia. Ogni storia può insegnare qualcosa a chi la legge, la guarda o la ascolta. Nel giornalismo d’oggi esiste un evidente squilibrio tra notizie negative e notizie positive. Penso che bisognerebbe offrire sempre più spazio all’approfondimento e alla divulgazione.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

A mio parere, purtroppo, lo spazio dedicato dai media italiani alla comunicazione sociale non è sufficiente. Spesso alcuni problematiche sociali vengono messe al centro dell’attenzione mediatica solo dopo gravi fatti di cronaca. Secondo me andrebbe trovato il modo di dare sempre maggiore spazio ai temi sociali attraverso le notizie positive, in grado di avvicinare i lettori a temi lontani dalla vita quotidiana, senza passare per forza da una tragedia.

5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Penso di no. Molte storie e molte tematiche oggetto della divulgazione necessitano di essere approfondite e ricordate periodicamente per mantenere alta l’attenzione su determinati argomenti e favorire la formazione di chi ne legga, guarda o ascolta.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Purtroppo secondo me nell’ultimo periodo le testate tendono sempre più a vendersi come prodotto commerciale perdendo di vista il loro scopo principale: offrire informazione di qualità. Penso che il futuro delle testate giornalistiche dovrà sempre più confrontarsi con questa sfida.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista secondo me ha come obiettivo principale tentare di raccontare la verità. Cercare di dare uno sguardo sopra le parti, riportare i fatti così come accadono senza lasciarsi andare ad interpretazioni soggettive. Rispettare sempre la dignità delle persone al centro della notizia e del lettore che sta dall’altra parte.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite la newsletter FNSI.

 

Intervista ad Arianna Sironi

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Certamente è una sfida e un modo per mettersi in gioco con colleghi che arrivano da realtà tutte diverse.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sono tante le storie che mi hanno colpita in diversi modi. Una di queste è sicuramente quella di una ragazza poco più che ventenne che, dopo un lungo percorso di cure, ha perso la mamma. Nonostante l’immenso dolore della perdita ha saputo trasformare il suo dramma in qualcosa di positivo per gli altri: ricordando il periodo in cui la mamma era stata salvata da una donazione di sangue, lei stessa ha deciso di diventare donatrice.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò che è di interesse pubblico può essere oggetto di informazione. Gli argomenti sono i più disparati: dalle notizie di politica ai fatti di cronaca, passando per le storie delle singole persone.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Scrivendo un articolo in cui si parlava di Briantea 84, società sportiva paralimpica, mi  è stato sottolineato quanto fosse importante per loro far passare il messaggio di essere semplicemente degli atleti, come tutti gli altri, e non degli eroi nella vita perché, nonostante le loro difficoltà motorie, praticano sport. Le parole giuste sono sempre nel rispetto di chi ci racconta la sua storia, con tematiche sociali serve avere la capacità di ascoltare con ancora più attenzione, aggiungendoci delicatezza e umanità.

Penso che quello della comunicazione sociale sia un tema che trova spazio nelle testate ma meriterebbe di averne ancora di più e con maggiori approfondimenti.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Per esigenze giornalistiche avere un’esclusiva è sempre importante. Credo però che un giornalista debba avere il compito di raccontare in maniera puntuale e dettagliata, verificando le proprie fonti e con più approfondimenti possibili, ogni notizia che meriti attenzione, anche se già scritta su altri giornali. Osservando con attenzione, si può sempre trovare qualcosa di nuovo anche in notizie già raccontate.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Una testata è un prodotto commerciale in quanto ha bisogno di vendere per funzionare, ma deve anche fare servizio pubblico per informare il lettore. A volte l’equilibrio può essere complicato e mette davanti a decisioni difficili.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Significa due cose principalmente: restare fedeli a chi ci racconta le notizie e ai nostri lettori.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio grazie all’interessante newsletter “Lavori per chi scrive” di Cristiana Bedei.  

Intervista a Mariangela Masiello

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È certamente una sfida, come lo sono la comunicazione e il giornalismo più in generale. Chiudere un pezzo come questo è stato un po’ come mettere fine a un percorso, a un viaggio che mi ha portata a interfacciarmi con emozioni e persone forti. Alla fine il bello di raccontare una storia è proprio questo, tutto quello che accade nel frattempo e che poi porta al risultato finale, con la speranza di aver dato voce a chi, spesso, non ha i mezzi per farsi ascoltare.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nel mio percorso professionale ho incontrato tante persone con vissuti spesso problematici o intensi. Le storie di Adele e Debora, che ho raccontato per candidarmi al premio, sono sicuramente tra quelle che mi hanno toccata più nel profondo e che mi hanno spinta a vedere da una nuova prospettiva le cose, mi hanno insegnato a non dar mai nulla per scontato e mi hanno fatto comprendere il potere immenso dell’empatia.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Il bello e il meno bello, storie e vicende che meritano di essere raccontate perché possono essere di ispirazione e che possano spingere a fare o non fare una certa cosa, che portino alla luce il bello e il brutto della società.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Non sempre, purtroppo. Spesso poi quando si parla di comunicazione sociale, la narrazione punta molto su toni stucchevoli, pietismo e patetismo, che bisognerebbe invece evitare.

5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente, è sufficiente che siano interessanti, curate e approfondite. Mi piace molto il concetto di slow journalism, il giornalismo lento, che si oppone a tutto ciò che è mainstream e che si offre un po’ come servizio che chi scrive offre al pubblico.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Prodotti commerciali, perlopiù. In buona parte anche a causa della profonda crisi che sta vivendo l’editoria.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista deve essere sempre curioso e “affamato”. Si muove perché spinto da sincera passione e non per semplice inerzia.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Conoscevo già il premio, Alessandra e la sua storia.

Intervista ad Annachiara Giordano

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Si può definire sfida, in quanto parlare del sociale comporta sempre il dover avere anche la capacità di rispettare e tutelare ciò che si racconta e le persone coinvolte, le quali spesso vivono situazioni complicate e l’attenzione dei media può creare loro delle difficoltà ulteriori.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Mi ha segnato raccontare dell’iniziativa WeMi (Welfare Milano) perché mi ha permesso di registrare una Milano diversa da quella che solitamente si conosce, tutta apericene e alta moda.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo che i media debbano raccontare maggiormente casi di redenzione, di riscatto, soprattutto delle aree periferiche ma non solo. E penso che bisogna farlo concentrandosi sul diffondere le numerose associazioni e realtà sul territorio nazionale che si occupano quotidianamente di assistenza alle persone e di rivalutazione del territorio.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Sfortunatamente si parla ancora poco di Comunicazione Sociale sulle testate nazionali. Il tema è affrontato soprattutto sulle testate locali, meno diffuse ma più radicate sul territorio. Da quando è scoppiata la pandemia però qualcosa è cambiato e la riscoperta dell’importanza dei rapporti umani ha spinto anche i media a interessarsi al sociale.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Uno degli elementi fondanti della notizia è proprio la novità, ma credo che sia interessante per il pubblico anche seguire certi episodi e la storia di certe persone in un determinato arco temporale.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Se un tempo le testate erano totalmente servizio pubblico, oggi che generalmente fanno parte di gruppi aziendali devono fare i conti con il fatturato e ciò sposta la bilancia verso la commercializzazione.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Credo che essere un buon giornalista significhi sapersi fare da parte nel raccontare la realtà senza pregiudizi e in modo onesto, nei suoi aspetti migliori e in quelli peggiori, ma pur sempre con correttezza e rispetto per gli altri.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio tramite la Scuola di Giornalismo di Napoli che frequento per realizzare il mio sogno di essere giornalista.

 

Intervista ad Andrea Lucia

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Parlare di un tema così specifico raccontando episodi che esprimono etica solidale e senso civico, come quello che ho scelto, può essere la giusta maniera per sensibilizzare l’opinione pubblica. Per chi vuole intraprendere la carriera giornalistica le sfide sono all’ordine del giorno e devono essere solo uno stimolo in più, non una

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia di Claudio, Massimo e Tino mi ha colpito particolarmente, soprattutto per il valore dell’amicizia che resiste al tempo e per la passione che tutti i protagonisti nutrono per la bicicletta. L’obiettivo di aiutare la onlus del loro quartiere li ha spinti ad andare oltre le loro stesse possibilità e il fatto che i tre ci abbiano preso gusto e vogliano addirittura scrivere un libro la dice lunga sull’importanza del tema..

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

In questo senso per il giornalista vengono in aiuto i criteri generali e formali che si possono adottare per selezionare i fatti, decidere quali di essi sono notizie, e stabilirne l’importanza.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Nella rassegna stampa che faccio spesso la mattina il tema della comunicazione sociale trova sempre più spazio. Difficile dire se esistono parole giuste o sbagliate per parlarne ma credo che il compito del giornalista sia trattare qualsiasi macro argomento con la stessa professionalità, dalla guerra allo sport.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. Attualmente siamo invasi da notizie di ogni tipo e su qualsiasi piattaforma, ecco perché tornare su argomenti e tematiche già uscite con approfondimenti e richiami può essere interessante. Ovviamente rimane sempre fondamentale seguire la regola per cui un fatto diventa notizia solo se soddisfa i cosiddetti criteri di notiziabilità.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate oggi fungono da servizio pubblico ma finiscono inevitabilmente per diventare anche prodotti commerciali. Una cosa non esclude l’altra, a patto che la prima funzione sia sempre quella dominante.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Secondo me essere un buon giornalista significa raccontare i fatti nella maniera più oggettiva possibile. In questo periodo storico, in particolare, è fondamentale distinguerli dalle opinioni. Ognuno le ha ed è legittimato a esprimerle, ma il compito del giornalista è fare cronaca senza dare giudizi di merito. Anche così si combatte il pericolo numero uno per chi vuole fare bene questo lavoro: le fake news.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Grazie alla Scuola di Giornalismo W. Tobagi, che ha inviato a tutti gli studenti il bando per partecipare.

Intervista a Michela Morsa

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sì, è senza dubbio una sfida, ma è anche molto soddisfacente, perché dietro la partecipazione a questo premio si nasconde una lunga documentazione sul tema approfondito.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nella mia (breve) carriera giornalistica sono proprio le storie di queste donne invisibili per il Sistema Sanitario quelle che mi hanno segnato di più. Avere l’opportunità di conoscere due dei milioni di donne che in Italia non ottengono il giusto riconoscimento non solo della loro malattia, ma del loro dolore, toccare con mano la loro resilienza, la loro determinazione e la loro rabbia è stata una vera fonte di arricchimento, sia dal punto di vista giornalistico che da quello personale.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Qualsiasi cosa che suscita un interesse può essere oggetto di informazione. Deve essere oggetto di informazione ogni elemento che è utile comunicare al lettore per una migliore comprensione della realtà che lo circonda.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Penso ci siano parole e toni “giusti” per parlare di ogni tema. La Comunicazione Sociale trova sì spazio sulle testate, ma a mio parere non quanto dovrebbe occuparne e non sempre è trattata nei giusti termini.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. Anzi, mi appassiona riscoprire e approfondire vecchie storie, temi dimenticati dai più ma che possono suscitare nei lettori lo stesso interesse e la stessa curiosità che generano in me. Per me è estremamente importante non sottovalutare le notizie del passato, perché si possono rivelare fondamentali per capire il presente.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

È una domanda piuttosto complessa… È chiaro che le testate giornalistiche dovrebbero offrire prima di tutto un servizio pubblico puntuale e realmente informativo, ma la difficoltà del settore giornalistico a sopravvivere ha generato degli ibridi. È evidente come la presenza sempre più massiccia di pubblicità, sponsorizzazioni, rubriche create ad hoc per attrarre maggiori lettori e finanziamenti, ha trasformato sempre di più le testate in prodotti commerciali.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Per me, essere un buon giornalista significa prima di tutto documentarsi e verificare accuratamente ciò che si racconta. Essere poi in grado di riportarlo con chiarezza, completezza e correttezza.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio attraverso una comunicazione della mia scuola, la Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano.

Intervista a Chiara Curci e Nicole Cascione

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sì, riteniamo che sia una bella sfida, perchè può dare valore aggiunto al lavoro che svolgiamo quotidianamente, ma anche perchè attraverso reportage come questi, si riesce dare voce ai più deboli.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nicole Cascione: per me, la strage ferroviaria avvenuta il 12 luglio 2016, tra Andria e Corato, dove persero la vita 23 persone.

Chiara Curci: per me, la storia di Santa Scorese, primo caso dichiarato di femminicidio in Puglia, uccida da un uomo che l’aveva perseguitata per anni.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto quello che ha un interesse pubblico e anche tutte quelle storie meno conosciute, ma che hanno un’utilità per l’intera comunità.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Sì, trova spazio sia nelle emittenti che sui quotidiani nazionali e locali. Esistono parole giuste e soprattutto corrette per poter parlare di determinate problematiche che, in primis, riguardano persone, con una sensibilità da tutelare.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente, perché in ogni storia si può trovare un aspetto nuovo da approfondire e da raccontare, che quindi rende la notizia sempre attuale.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Purtroppo non essendoci quasi più editori puri, la maggior parte delle testate (in particolare quelle locali), si avvicinano sotto alcuni aspetti a prodotti commerciali. Le realtà più grandi, al contrario, riescono a mantenere quell’identità di servizio pubblico.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Per noi, in primis, significa saper raccontare la verità, utilizzando un linguaggio semplice, che sappia arrivare a tutti. E soprattutto significa farlo senza condizionamenti. Il buon giornalista è anche colui che riesce, attraverso le sue inchieste e le storie che racconta, a sviluppare la coscienza critica nei lettori e negli spettatori.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Il nostro direttore responsabile, Rossella Tosto, ci ha parlato del premio Alessandra Bisceglia”, invitandoci a partecipare con un nostro lavoro.