Saluti istituzionali Paola Spadari, consigliera segretaria del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti

“Ci tenevo ad esserci anche come rappresentante dell’Ordine nazionale… abbiamo sempre sostenuto questa iniziativa, perché i progetti come questi interpellano l’essenza vera del giornalismo, fra cui quello che interessa la comunicazione sociale. Potrei dire molte cose che hanno riguardato il banco di prova che il giornalismo ha dovuto affrontare in questi due anni, tra l’altro mi fa piacere che ci possiamo vedere in presenza, perché l’anno scorso, se non ricordo male, eravamo collegati in streaming. Siamo tornati tutti alla normalità, un ritorno alla normalità sancisce un momento importante, anche per il giornalismo professionale, che riprende il suo cammino anche nell’interlocuzione, diciamo fisica, con le persone. Questo è importante. Abbiamo naturalmente affrontato prove molto ardue, che sono state quelle di descrivere una pandemia, sono oggi quelle di descrivere e raccontare una guerra. Due palchi di prova importantissimi, che in qualche modo ci hanno visto presenti e che ci hanno messo anche nella condizione di dover fare alcuni richiami al rispetto delle nostre regole. Voglio raccontare un piccolo episodio personale. Quest’anno ho aiutato una persona a cui avevano riferito dell’ipotesi di una malattia rara; un’ipotesi diagnostica; quindi ho interpellato tutti i siti, tutte le fonti d’informazione per dare una mano a questa persona. Si trattava di una malattia non grave, per carità, però questo è il nostro lavoro: è importante illuminare quelle aree dell’informazione che non sono facilmente leggibili, ma che chiamano in causa l’essenza del nostro lavoro. Credo che iniziative come questa debbano in qualche modo servire anche a far comprendere ai ragazzi, ai giovani e a chi si accosta a questo mestiere, che serve un’informazione responsabile, cosciente dei rischi ma anche delle opportunità e del valore di quello che si fa”.

Intervista ad Aniello Cassese

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?
    Un premio giornalistico può avvicinare l’opinione pubblica al ruolo del giornalismo e alle tematiche sociali affrontate ma, ritengo, può essere fondamentale dal punto di vista sociale soprattutto perché unisce cittadini e giornalisti in un processo di valorizzazione che premia, per
    l’appunto, l’impegno degli stessi giornalisti e l’interesse dei lettori che hanno speso il loro tempo per soffermarsi su quelle tematiche e
    aumentare il loro grado di conoscenza.
  2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
    Ho raccontato, per fortuna, già parecchie storie ma quella che più mi ha segnato è stata quella di un senzatetto, Gheorghe Parasciv, che ho
    scoperto mentre raccontavo la situazione di degrado dell’ex caserma Cesare Battisti di Nola, in provincia di Napoli. In quella mega struttura
    Gheorghe dormiva senza luce, con una bombola di gas e un fornellino e nonostante tutto ospitava un amico senzatetto e accudiva un cagnolino
    di strada. Viveva lì da 8 anni, ormai era, suo malgrado, un reietto ai margini delle regole. E’ morto due anni fa per mano di un connazionale
    che, al culmine di una lite, lo ha ucciso, trasportato su un motorino e gettato in una campagna vicina.
  3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?
    E’ possibile ma difficile. La sofferenza è intima ed è quindi spesso soggettiva. Ciò che si può raccontare con oggettività è il contesto della
    sofferenza, le cause, le possibili contromisure, le problematiche collegate, ecc. In ogni caso, per me, il giornalista deve sempre dare
    voce a chi non ce l’ha ed essere allo stesso tempo empatico ma anche professionale cercando di veicolare messaggi autentici, giusti e non
    sensazionalistici o mendaci.
  4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
    La comunicazione sociale trova poco spazio sulle testate perchè, banalmente, non vende come può vendere il gossip, la politica e tanto
    altro. La comunicazione sociale, soprattutto se raccontata con i linguaggi comunicativi vecchi, annoia e, in un mondo veloce e ricco di
    banalità come quello dei social, tende a restare in un angolo. Tuttavia, in un piano editoriale non può, anche oggi, non essere inserito un settore
    che si occupi di attualità, sociale e sensibilizzazione.
  5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?
    Bisogna raccontare notizie sempre nuove ma, soprattutto, non bisogna aspettarle. Bisogna ricercarle, guardando la realtà e ciò che ci circonda
    con curiosità. Ogni cosa fa notizia se raccontata bene e se utilizzata per cambiare lo stato delle cose o alimentare un dibattito.
  6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
    Le testate ad oggi sono sempre più prodotti commerciali che si interessano delle vendite. Sostanzialmente non è più il lettore che
    aspetta qualcosa dal giornale ma è il giornale che aspetta il lettore per dirgli ciò che vuole sentirsi dire e, in questo modo, garantirsi un flusso
    di vendita. In questo modo però non c’è aumento di conoscenza nè progresso sociale.
  7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?
    Si, anzi deve essere la prima regola per chi fa informazione sociale.
    Anche se la tematica dovesse essere forte e paurosa, bisogna raccontarla sempre con toni professionali affidandosi ai pareri degli esperti. Bisogna, proprio in questi casi, raccontare senza giudicare o commentare eccessivamente.
  8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
    Ho partecipato ad un premio giornalistico di recente nel mio territorio, volevo proporre dei miei recenti lavori ad altri premi e ho ricercato i
    premi più importanti in ambito giornalistico su internet. Mi è interessato questo premio e ho deciso di partecipare.

Intervista a Simona Berterame

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?
    Assolutamente sì, può essere uno stimolo per cercare di fare sempre meglio e cercare di raccontare un argomento magari poco conosciuto.
  2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
    Trovo veramente difficile scegliere una sola storia tra tante quindi scelgo un argomento: i disturbi alimentari. Ho ascoltato e raccontato tantissime storie di ragazze e ragazzi con Dca e trovo che oggi sia ancora più necessario fare informazione su queste patologie, sempre più diffuse tra i giovanissimi.
  3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?
    Sì, la vera sfida è riuscire a rimanere professionali e non farsi coinvolgere troppo dalle storie che incontriamo. Questo non vuol dire essere freddi e insensibili ma solo riuscire a non farsi travolgere dalla sofferenza
  4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
    Sicuramente sì, lo spazio potrebbe essere maggiore e spesso l’argomento non è trattato con la delicatezza e la competenza necessaria ma il tema viene trattato. Lo spazio c’è anche in un’informazione spesso troppo monotematica, basta trovare la giusta chiave.
  5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?
    Non sempre. Anche le storie “datate” meritano spesso una possibilità, dandogli magari un taglio diverso o più in generale per aumentare la platea di persone che conosceranno l’argomento. Le ricorrenze e gli anniversari sono occasioni per stimolare la memoria storica soprattutto rivolgendosi ai più giovani
  6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
    Le testate dovrebbero essere servizi pubblici ma inutile nascondere che un l’elemento commerciale c’è e si fa sentire molto spesso.
    La sfida più grande è riuscire a fare coesistere questi due elementi cercando di far prevalere sempre l’importanza dell’informazione su tutto, anche sul profitto.
  7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?
    Anche in questo caso la linea tra allarmismo e sottovalutazione è sottile e la bravura del cronista sta tutta nel riuscire a bilanciare al meglio tutti gli elementi per dare un prodotto finale più completo possibile, senza cadere nella trappola del racconto sensazionalista
  8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
    Conosco e seguo questo Premio da diverso tempo e l’ho scoperto su Facebook

Intervista a Laura Alteri

  1. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema così specifico?
    Certamente. Mettendo in risalto il buon lavoro dei giornalisti su temi come le malattie rare, la disabilità e la lotta alle discriminazioni dei fragili, un premio giornalistico focalizza maggiormente l’attenzione dei media e dei lettori su un argomento specifico. Diventa così una cassa di risonanza per quei temi sociali molte volte trascurati a favore del sensazionalismo e della cronaca nera.
  2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
    Oltre all’Orto psichiatrico, di cui parlo nell’articolo candidato al Premio, un’altra storia positiva che mi ha segnato è quella di Sofia, una quattordicenne paraplegica che aveva bisogno urgentemente di un ascensore nel suo palazzo. Grazie al tam tam generato dal mio articolo che raccontava il disagio che lei viveva quotidianamente, i genitori di Sofia sono riusciti ad avviare una raccolta fondi e a raggiungere la quota necessaria all’acquisto dell’ascensore. Presto la giovane avrà finalmente la possibilità di uscire da casa.
  3. È possibile raccontare la sofferenza senza rinunciare all’oggettività?
    Non è sempre semplice separare l’emotività dal nostro dovere di cronaca. La capacità di un bravo giornalista però deve essere proprio quella di saper raccontare i fatti con lucidità, ma con la giusta dose di sensibilità. Nella comunicazione giornalistica è importante raccontare la realtà in modo onesto, ma è anche giusto trasmettere le emozioni e sensibilizzare i lettori attraverso le nostre parole.
  4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
    In quei giornali che sono concentrati su sensazionalismo e clickbait, un tema sociale probabilmente avrebbe uno spazio ridotto. Fortunatamente però non è la regola ovunque: i temi sociali vengono infatti trattati dai giornalisti che hanno a cuore la diffusione di notizie giuste e inclusive. È il giornalista stesso che fa la differenza quando lavora seguendo la sua sensibilità dando maggiore risalto a tematiche che avvicinano la comunità.
  5. Secondo te bisogna raccontare notizie sempre nuove?
    Compito del giornalista è quello di essere sempre aggiornato e in prima linea sulle tematiche di maggiore interesse pubblico. È importante però ritornare anche su notizie già diffuse, per completarne il racconto nel modo più puntuale e preciso possibile. Ovviamente, sempre nel rispetto della verità, perciò senza cercare le notizie dove non ci sono o peggio aggiungendo elementi non reali.
  6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
    Dipende dalla testata. C’è chi segue una linea editoriale palesemente più commerciale, dando spazio ai trend del momento, e chi invece segue un altro percorso più incentrato sull’informazione pubblica.
  7. È possibile fare informazione su tematiche sensibili senza creare allarmismi?
    Dipende dal modo in cui viene riportata una notizia e dalle parole che il giornalista sceglie di usare. Si può raccontare una storia, anche difficile, senza calcare troppo la mano su dettagli che possono scatenare preoccupazioni e reazioni esagerate nei lettori. L’importante è attenersi ai fatti, sempre.
  8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
    Ho trovato le informazioni sul Premio direttamente sul sito FNSI Federazione Nazionale Stampa Italiana.

Saluti istituzionali – Guido D’Ubaldo, presidente ODG Lazio

“Per me un piacere ed un onore essere qui nell’Università che ospita una scuola di giornalismo che è un’eccellenza qui nella regione Lazio, assieme alla scuola di giornalismo della Luiss. Abbiamo un ottimo rapporto con la Lumsa così come con la Luiss. Mi fa piacere che questo ricordo di Alessandra Bisceglia sia anche un corso di formazione, perché questa è una delle principali sfide che ho assunto da presidente dell’Ordine del Lazio: quella di cercare di ampliare l’offerta formativa per i colleghi e portare il maggior numero di loro a fare la formazione. Quello che mi piace ricordare di Alessandra Bisceglia – che non ho avuto modo di conoscere ma di cui mi sono fatto raccontare la storia – è che al di là della sua fragilità, Alessandra Bisceglia era una giovane giornalista che ce l’ha fatta. Oggi i tanti giovani che si avvicinano a questa professione rischiano di non farcela, perché la contrazione del mondo del lavoro, l’erosione dei posti di lavoro, le redazioni dei giornali che si svuotano portano sembra meno ricambio generazionale. Ecco, perché, questi giovani inseguono un sogno che diventa sempre più difficile. La passione di Alessandra Bisceglia deve essere un esempio per questi ragazzi che si accingono a percorrere una strada tortuosa ricca di ostacoli e che probabilmente li porterà ad avere una situazione professionale compiuta soltanto avanti con gli anni. Quando abbiamo cominciato noi, forse, era possibile riuscirci prima, era possibile frequentare le redazioni dei giornali come una palestra per fare esperienza. Ecco, Alessandra Bisceglia è una giovane giornalista che ce l’ha fatta: questo deve essere un esempio per i giovani, perché è molto difficile.  Immaginate poi, quanto sia stato difficile per lei per la sua fragilità. Grazie alla sua passione, però, ce ’ha fatta. Credo, quindi, che anche per i giovani che frequentano la scuola di giornalismo alla Lumsa, quello di Alessandra Bisceglia debba essere un esempio da seguire”.

I media e la notizia della fragilità: come darla, diffonderla, rafforzarla

Paola Severini Melograni, giornalista e conduttrice Rai

I media e la notizia della fragilità: come darla, diffonderla, rafforzarla

Salve a tutti, mi volevo scusare ma vengo direttamente dalla trasmissione. Difatti dalla maglietta con la scritta si capisce che ho appena registrato e che vedrete il programma, spero, domenica mattina. Mi voglio scusare, perché avrei voluto assolutamente ascoltare questi colleghi così bravi, ho fatto in tempo a sentire uno dei miei direttori che è Roberto Natale. La nostra trasmissione gode di una serie di direttori, abbiamo il direttore Antonio Di Bella per l’approfondimento, il direttore della rete che è Franco Di Mare, il vicedirettore che si chiama Corsini che è quello che ci segue. Ve lo dico perché è veramente molto complesso gestire un tema così delicato come il nostro dei fragili in Rai, con una trasmissione che è specializzata in questo contesto. Da tanti anni faccio la radio, la collega Pertici è andata via ma la ringrazio, perché francamente non ero ancora riuscita a capire esattamente come funzionasse il magico mondo dei podcast e mi rendo conto che le trasmissioni in radio che faccio da quando ero ragazzina, quasi da 40 anni sono in realtà dei podcast, perché lavoro da sempre sulla voce e perché cerco di stabilire un certo tipo di rapporto con gli ascoltatori. Quello che noi facciamo è un grande servizio sociale. Ho tamponato il fatto di stare in trasmissione ma non seguire voi perché ho mandato la mia bravissima assistente che domani mi farà un riassunto preciso di tutte le relazioni di oggi, vedo che già è preoccupata. Roberto Natale ha parlato della pornografia del dolore e di quello che può fare o deve fare il telespettatore o l’ascoltatore a cui noi ci rivolgiamo e questo è qualcosa contro cui la nostra squadra fa una battaglia da tantissimi anni, perché la televisione italiana pubblica nella sua rincorsa cominciata al momento della televisione commerciale non utilizza qualunque possibilità e qualunque momento per mettersi in gara con risultati spaventosi.  La pornografia del dolore si verifica quando sentiamo il racconto dell’intervista al papà del piccolo Matteo, quando vediamo dopo qualche tragedia il nostro collega che infila il microfono sotto il naso del padre, del figlio, della moglie, della sorella: quella è pornografia del dolore. Pornografia del dolore è anche non saper gestire i temi importanti che sono tanti e che sono delicatissimi. Vorrei a questo proposito raccontarvi   una vicenda, perché è bene che voi comprendiate oltre a vederla e seguirla nelle nostre trasmissioni, anche la realtà che ci circonda.

Una vicenda che mi coinvolge a livello personale, ci ho messo 40 anni per arrivare a fare questa battaglia perché la vedevo, la trasmissione doveva essere così ma non ero compresa o non mi sapevo spiegare o non riuscivo a trovare dei referenti, la trasmissione scatta dopo anni e anni di radio e di piccole produzioni che erano un contorno  ma non erano questo obiettivo, e questo obiettivo guardate è un obiettivo cari colleghi è davvero molto difficile, perché quando noi facciamo parlare attraverso una tavoletta di plexiglass trasparente Caudio Imprudente all’una e mezza di notte, vuol dire che abbiamo compreso che questa è la strada giusta. Ma non ci siamo improvvisati, abbiamo fatto tanti errori, è stato un percorso molto difficile, vi racconto questa vicenda che parte dal 2016. Sanremo 2016, faccio una grande battaglia per portare Ezio Bosso, sapevo che avrebbe cambiato la percezione, ne ero convinta proprio perché ero partita con questo lavoro tanto tanto tempo prima e avevo avuto anche grandi maestri oggi, ho avuto in trasmissione il vecchio assistente di Domenico Modugno con cui abbiamo aperto in malinconia, Agrigento, Fermo e ci rivedevamo appunto dopo 40 anni. So che ho imparato anche da Domenico Modugno, dal suo modo di porsi. Ezio Bosso cambia il paradigma e noi abbiamo un enorme successo, 13 milioni di ascoltatori in tutto il mondo. L’anno dopo riusciamo a portare i Ladri di Carrozzelle che è un’altra di quelle realtà italiane che non esistono proprio da nessun’altra parte del mondo e facciamo 10 milioni e mezzo. Poi però, come succede spesso in queste strutture così elefantiache che come la Rai non è uno che prende il buon esempio e continua in quella strada, no cambia tutta la struttura la squadra di Sanremo, cambia la squadra, cambiano gli agenti, cambia la visione e chi la fa subito dopo di noi 2018 – andatevi a vedere chi l’ha fatta che ancora c’è – decide di insistere su quel tema senza avere gli strumenti e la competenza per farlo, perché la comunicazione in generale ma la televisione soprattutto sono degli strumenti delicatissimi  che possono diventare delle pistole cariche con le quali ci si può anche suicidare, non è che uno spara sempre nei confronti degli altri. Qual è stato il ragionamento? Abbiamo portato Ezio Bosso che stava male ma aveva tutto quel fascino del personaggio, della musica classica di lui da solo davanti al pianoforte, l’anno dopo i Ladri di Carrozzelle gruppo rock ma in realtà sì il cantante è cieco, però danno una sensazione di enorme vitalità. Come facciamo a superare il percorso? Non hanno fatto la domanda come facciamo a proseguire il percorso !!! No, volevano fare di più a tutti i costi, violentando il telespettatore e che cosa hanno fatto? C’era un morto, una specie di salma, un cadavere, quindi hanno scelto una persona con sma 2 quindi gravissimo che parlava attraverso un sintetizzatore vocale e che era praticamente steso e che si chiama Paolo Palumbo e che io chiaramente essendo il mio lavoro un supermarket delle disgrazie comunque lo conosco da sempre, da quando Paolo Palumbo ha avuto la prima difficoltà, lo conosco da quando camminava poi è andato in carrozzina, quindi ho visto tutta l’evoluzione e avevano detto che Paolo Palumbo aveva scritto una canzone e l’avrebbe cantata con il sintetizzatore vocale. Paolo Palumbo faceva il cuoco, faceva l’aiuto cuoco non ha mai scritto una canzone. Dietro Paolo Palumbo c’era un gruppo di delinquenti, compreso la sua famiglia, che peraltro poi sono stati condannati perché hanno truffato il mondo universo attraverso un palcoscenico che è il palcoscenico della Rai, perché Sanremo è il palcoscenico e io però lo sapevo, avevo avvisato l’amministratore delegato di allora perché avevo visto lo scontro di Palumbo in radio quando ancora parlava perché aveva scritto un libro molto intelligente intitolato Sapori a colori, perché aveva avuto la pec per cui voi sapete bene che non si può più avvertire, si può guardare il colore e sentire il profumo e può essere una cosa che aveva un senso ma da qui a scrivere la canzone e andare a Sanremo voglio dire, è come un altro mondo, un’altra cosa. Quando questi signori vengono condannati, questo succede alla fine del 2018 ho sperato che la cosa fosse finita così ma questo comportamento di ricerca a tutti i costi di una percentuale anche di mezzo di share per cui sono disposti a tutto e lo vediamo in certe trasmissioni televisive che abbiamo visto durante il Covid, poi lo abbiamo visto durante la guerra per cui si poteva invitare tutti, anzi, chi ne sapeva di meno come il discorso dell’edicolante di chi mi ha preceduto era più giusto perché faceva di più la sceneggiata napoletana. Un mese fa apro un grande quotidiano e trovo una pagina dedicata a Paolo Palumbo che fa un nuovo disco, praticamente lui oramai è praticamente morto, non so quanto gli resterà ma la squadra di delinquenti intorno a lui è ritornata alla carica e chiedevano una raccolta fondi, io chiamo la collega  e le dico, basta che vai immediatamente su internet e vedi tutto quello che c’è dietro mi raccomando fai una rettifica, questa cosa poi viene a cascata e succede di tutto, lei mi ha detto ci ho parlato, ma scusa tu stai a Cagliari il quotidiano è di Milano, avrete capito appunto di che quotidiano si tratta non è un quotidiano qualunque  e non è piccolo, e lui mi dice Paola io ci ho parlato, una voce meccanica può essere qualsiasi cosa. Questo è il grande problema chiaramente è uscito su tutti i giornali del gruppo, qui c’è un grande direttore avanti a me, non perché io ogni tanto scriva su Avvenire ma perché questa cosa non sarebbe mai successa, e non sarebbe mai successa perché Marco Tarquini ma anche tutta la sua squadra prima di fare una cosa di una tale leggerezza e con una tale violenza intono, e torno alla violenza della pornografia del dolore, ci avrebbe pensato dieci volte e avrebbe fatto una verifica ormai i nostri colleghi non verificano nulla. Noi non mandiamo in onda niente che non sia perfettamente certo. L’altro giorno è uscita una cosa sulla stampa importante su una cura della SLA, io dei dubbio li ho ancora e ho chiamato Silvio Garattini e ho fatto fare una ricerca da Mario Negri e ho detto fermati finché non siamo certi noi in televisione, perché in televisione è qualcosa di molto forte impattante nella vita della gente ti entra dentro casa, tu devi essere certissimo, sicuro attentissimo e devi sempre pensare al danno prima del vantaggio per te e questo negli ultimi tempi non è successo, il caso di Paolo Palumbo è qualcosa che mi ha di nuovo sconvolto ora si è bloccato, magari fra due anni non so se sarà ancora vivo ma ci sarà un altro Paolo Palumbo e qualcuno che cavalcherà questa cosa, ve lo dico perché vedo anche dei colleghi e vedo anche dei giovani perché questo nostro mondo è così tanto sensibile e delicato che se non si è competenti e attenti, san Giovanni Bosco diceva che il bene bisogna farlo bene, perché se no diventa male , bisogna saperle le cose avere un po’ di competenza. Roberto Natale ha raccontato nel 1980 il lavoro cominciato dalla comunità di Capodarco che è un lavoro che ha giunto fino a noi e così tante realtà del nostro mondo del terzo settore, purtroppo questo tema viene affrontato da tutti con una superficialità assoluta, una showgirl non lo può affrontare questo tema, non può parlare di salute, di sanità di guerra, non può fare l’opinionista, sarebbe l’ora che la televisione pubblica prendesse una decisione in questo senso, non possiamo infliggere delle cose assolutamente grottesche a chi paga il canone, non lo possiamo fare e io cerco sempre quando torno a casa la sera a farmi proprio l’esame di coscienza, come si dicevano una volta, ho fatto a volte degli errori ad oggi, oggi abbiamo avuto un padre medico in registrazione e per questo non ero da voi con una figlia autistica gravissima che sta cercando di fare un lavoro su cousing l’abbiamo detto con molta attenzione io vedevo che lui era stanco, che era addolorato la figlia la notte era stata male, si può gestire un intervista, un rapporto, una relazione perché la nostra relazione con gli ascoltatori in mille modi, dobbiamo cercare di non  rischiare e veramente di fare il bene bene perché abbiamo una grandissima opportunità, noi abbiamo l’onore di fare questo lavoro ma è anche un grande onere farlo e una grandissima responsabilità. Bisognerebbe avere un controllo diverso, purtroppo ci sono organi di controllo che non controllano e non dicono una parola, ci sono delle strutture nel nostro mondo, c’è l’ordine dei giornalisti, ho visto che qui c’era non so se c’è ancora il presidente dell’ordine del Lazio e il presidente dell’ordine nazionale io vorrei che facessero sentire di più la loro voce, certe cose le possono dire e fare i giornalisti che hanno una formazione adatta per farlo, tutti i nostri corsi di aggiornamento mah lasciano il tempo che trovano. Prima di tutto ci vogliono delle regole di buon senso e poi mai dare delle notizie non verificate, vecchio discorso del mio primo direttore che era Antonio Pirelli, se io mi fossi mai azzardata di dare una notizia non verificata mi avrebbe licenziato in tronco, sul momento, come si fa a fare una cosa di questo genere? Scusate per oggi, dopo aver parlato con questo genitore, ogni volta che incontro i genitori mi sento sempre coinvolta, dico ma farò abbastanza? Sarà sufficiente il messaggio che noi mandiamo? Sarà giusta la strada che prendiamo? Poi mi confronto con tutta la nostra squadra ragioniamo e molto spesso buttiamo il lavoro fatto se non è all’altezza di quello che vogliamo raccontare e soprattutto se c’è anche in piccolo rischio di confondere le persone non può andare in onda. Questa è la mia visione. Avremmo potuto giocare in un altro modo la nostra partita è sicuramente alzare molto di più l’indice di ascolto, siamo nello sgabuzzino delle scope e ogni tanto lo dico negli angoletti in orari impossibili, facciamo quello che possiamo in quegli orari, quando avremo l’opportunità di andare in prima serata ci comporteremo comunque sempre così perché queste sono le nostre regole e la nostra visione, noi non abbiamo bisogno di un pubblico indignato come striscia la notizia o di attaccare dalla mattina alla sera tutto quello che avviene, noi vogliamo raccontare le cose positive per cercare di dare un modello positivo, crediamo ancora in un ruolo pedagogico della televisione pubblica crediamo ancora che come diceva un grande intellettuale che era Popper, la televisione insegna sempre non è solo una cattiva maestra ma insegna quando fare cose buone e cose cattive e quindi noi cerchiamo di insegnare il positivo e di fare in modo che la nostra impostazione sia in qualche maniera presa a modello. Siamo arrivati all’oggi dopo un lunghissimo percorso ora ci aspetta la sfida più difficile quella di un paese in difficoltà, un paese che cambia completamente governo, che cambia impostazione avremo un autunno di gente con difficoltà economiche e i nostri ragazzi fragili e le loro famiglie sono quelli che vivono in una condizione di massimo svantaggio, dobbiamo essere la loro servizio e cercare di farlo insieme, questo è l’appello che io rivolgo ai miei colleghi della carta stampata, dateci una mano cercateci di starci vicino non soltanto indicandoci le storie che secondo me vale la pena che siano raccontate in televisione quindi amplificate la soprattutto raccontando anche un po’ lo sforzo che noi facciamo quotidianamente e credeteci è una sfida quotidiana pesantissima, faticosissima riceviamo centinai di mail al giorno e dobbiamo cercare di rispondere a tutti dateci una mano e soprattutto se sbagliamo in qualche modo, se impostiamo male la nostra visione indicatecelo correggeteci perché nessuno ha la certezza in mano è che io non vorrei mai più vedere le cose che vedo distribuite in questo modo da persone che non hanno nè la competenza e soprattutto che non hanno la nostra visione che è una visione, qui siamo in una situazione di un certo tipo, un premio dedicato ad una ragazza che è morta a 28 anni e che aveva quella visione io non l’ho potuta conoscere ma l’ho conosciuta attraverso i suoi amici e ha lasciato una testimonianza importantissima, cerchiamo di seguire quel tipo di testimonianza, la testimonianza di Alessandra Bisceglia”.

Il podcast e l’ascolto delle fragilità: perché la voce vince sull’immagine

Laura Pertici, giornalista del quotidiano la Repubblica

“La parola è per metà di colui che parla e per metà di colui che ascolta”

Michel Eyquem de Montaigne

“Qual è la scala delle fragilità? È dettata dalla gravità dello stato di chi ha bisogno d’aiuto, indubbiamente. Ma sappiamo anche che dipende nella società dal numero di persone che reclamano una qualche attenzione oltre che la nostra assistenza. Dipende dalla concentrazione di questi singoli in un luogo che evidentemente dobbiamo sentire vicino perché la nostra reazione sia, se non immediata, almeno efficace. Questi sono dati di realtà, magari non ci piacciono, non ci descrivono in modo edificante, ma sono lì, sotto ai nostri occhi, e anche se vogliamo far finta di non vedere, non scompaiano. Piuttosto negarli, negare la verità, ritarda la sua correzione, ritarda il tempo di una cura.

Perché partire da una scala delle fragilità per parlare di malattie rare e pensare ad Alessandra? Perché al tempo della pandemia (quindi di un virus tanto contagioso e così globalizzato da non rendere “sicuro” neanche un luogo remoto della Terra se comunque più di qualcuno ci può arrivare), e in special modo al tempo della guerra, le fragilità cui può prestare attenzione un Paese evoluto – perché se lo può permettere, perché le sensibilità possono connettersi alla ricerca di soluzioni o di stati di sollievo – all’improvviso rischiano di diventare invisibili, trasparenti. E solo quindi la dedizione di professionisti, oltre che dei più vicini, i cari di chi soffre; la conoscenza; la consapevolezza che la rarità non è meno grave e uno spazio per ciascuno va trovato, possono fare la differenza.

Il mio intervento però non è così facile da inquadrare in questo contesto, perché pensare ai podcast come parte di un cammino, può sembrare straniante. Curioso, sì. Ma poco aderente, poco attinente. E se (nonostante tutto) può anche essere vero, ciò su cui voglio sollecitare la vostra attenzione è solo l’esperienza fatta negli ultimi due anni e mezzo. A partire quindi sì dall’esplosione del Covid in Italia e quindi nel mondo. Passando per la guerra pure. Ma cercando un modo per non fare sentire lontani o sperduti. Con un lavoro giornalistico, in una redazione – quella di Repubblica – nella quale però come tutti ci siamo dovuti velocemente adattare alla realtà che cambiava all’improvviso. Costringendoci all’immobilità, all’isolamento, mentre cresceva a dismisura la fame di informazione.

I podcast quindi. Avevamo già cominciato a sperimentare dei format nel 2019 a Repubblica. Si stava affermando questo strumento in tutto il mondo, si partiva dall’enorme successo di “Serial” – qui siamo nell’ambito del giornalismo investigativo, negli Stati Uniti, un lavoro che inizia nel 2014 e diventa un super-caso, grazie al consumo di massa, come quello di una serie tv, tra l’altro la scorsa settimana è stato scarcerato l’uomo di cui raccontava la storia, era stato condannato per l’omicidio della sua ragazza quando aveva 17 anni, grazie a questo podcast il caso era stato riaperto – comunque, non perdiamoci, dicevamo i podcast.

Tre anni fa in Italia erano in netta crescita, li ascoltavano circa 12 milioni di persone, in prevalenza donne, in prevalenza giovani. Oggi siamo a circa 16 milioni di ascoltatori. Sono sempre i millennials i maggiori consumatori (il 77 cento di loro ha un’età fra i 19 ed i 24 anni, secondo l’ultimo rapporto Nielsen). Ma rispetto allo scorso anno c’è un deciso aumento di persone fra i 55 ed i 69 anni, tra gli users, in quella fascia quasi sei persone su dieci ascoltano podcast. Tutti sono comunque abituati ad essere molto connessi. E infatti, se agli albori del podcast si ascoltava in prevalenza nel tragitto da casa al lavoro o a scuola, mentre si faceva sport ora – la pandemia sì che ha cambiato le cose – ci si predispone all’ascolto soprattutto a casa, sebbene capiti poi di avviare un podcast un po’ ovunque, visto che è un’operazione semplice e ha bisogno al massimo di uno smartphone e due cuffiette. E il tempo che vi si dedica – nel mentre si può fare molto altro – in media è di ben 23 minuti.

Tutto questo ve lo racconto soprattutto per farvi capire che – date queste premesse – si poteva sperare che fosse uno strumento utile a raccontare il Covid o la guerra. Ma non potevamo immaginare, in redazione, che la risposta degli utenti fosse così positiva. Che il nostro lavoro giornalistico poteva ancora cambiare, in fondo tornare all’antico, al fascino della radio, avendo spazi per la profondità, nell’era in cui è tutto volatile, velocissimo, e un titolo (che costa fatica) vale un tempo molto limitato, perché su tutti si impone il tempo reale. La notizia successiva, a rullo, 24 ore su 24. Ovunque. Dai social, ai siti, alle tv, ai giornali che con tenacia arrancano dietro.

La ricerca Nielsen ‘22 già citata ci spiega che per il 39 per cento degli ascoltatori di podcast pesa moltissimo la tematica, seguita dall’autore o narratore (non è detto che siano la stessa persona, e quando è dichiarato a me personalmente va benissimo, mi risento un po’ quando è facilmente intuibile, ma si costruiscono narrazioni un po’ fantasiose…). Questo dato è centrale perché effettivamente visto che in questo tipo di ascolto la predisposizione, la disponibilità a non andar di corsa, è molto alta, si è aperto uno spazio di informazione d’approfondimento come da un po’ non succedeva. E la voce è stata/è parte – se parliamo di informazione – del successo dei tentativi messi in produzione. Perché una voce, ancora di più di una penna, vibra, trasmette emozioni, e più facilmente si può sentire sincera, quindi in modo molto diretto toglie o aggiunge credibilità al lavoro giornalistico. E può dare magari conforto oltre che nozioni, notizie, informazioni a chi si sente fragile e lontano. E invece diventa vicinissimo”.

COSA ABBIAMO REALIZZATO IN QUEST’ULTIMO ANNO E MEZZO?

Molti Focus, interviste sul Covid, sui vaccini, schede audio sui sintomi, sulle regole da seguire durante la pandemia. E poi abbiamo pubblicato molti podcast dedicati ai fragili. A partire da:

Risvegli

https://www.repubblica.it/podcast/storie/risvegli/stagione1/

In collaborazione con il Centro nazionale rianimatori , la Casa di Luca e il  Centro nazionale trapianti

Noi e loro

https://www.repubblica.it/salute/dossier/noi-e-loro/

Sulla storia dei vaccini, e su anticorpi e vaccini al tempo del Covid 19

La vita comincia ogni giorno

https://www.repubblica.it/salute/dossier/giornata-mondiale-leucemia-mieloide-cronica/2021/09/22/news/podcast_la_vita_comincia_ogni_giorno-317935832/

Niente più cicatrici (questo non è produzione nostra ma lo abbiamo acquistato in esclusiva e ci abbiamo costruito intorno un approfondimento)

https://www.repubblica.it/salute/2021/03/01/news/un_podcast_racconta_storie_di_ragazze_interrotte_fra_ferite_e_cicatrici-288892508/

Io sono qui

https://www.repubblica.it/salute/2022/05/18/news/io_sono_qui_il_podcast_che_racconta_la_vita_dei_pazienti_con_la_colite_ulcerosa-350093311/

La Rai per la Sostenibilità: gli spazi d’informazione durante le grandi emergenze

Roberto Natale, Rai per la Sostenibilità

“La Rai per la Sostenibilità: gli spazi d’informazione durante le grandi emergenze”

“Il motivo formale per il quale sono qui, è perché sono direttore della neonata direzione della Rai per la sostenibilità ESG, dove S sta per “sociale”. Il motivo vero per il quale sono qui è perché anch’io sono stato uno di quelli che ha avuto la fortuna di incrociare Alessandra … e incrociare la luce della quale si è parlato e rimediarci anche una cravatta!!! … Non so se Andrea abbia avuto questa stessa fortuna. Il mio intervento sarà breve – e questo non è certo un male – perché, me ne scuso, alle 17.30 devo essere a viale Mazzini per un impegno improrogabile. Nella ha fatto un riferimento al lavoro sociale Rai e la ringrazio per aver dato modo di incontrarci con lei negli anni scorsi, la struttura della quale sono direttore era ed è quella che gestisce le campagne sociali, la raccolta degli spazi di raccolta fondi, gli sms solidali e gli spot di comunicazione sociale, le campagne di sensibilizzazione. Non voglio fare qui, essendo tifoso accanito del servizio pubblico, uno spot per lo stesso. Dico solo una cosa che parla del servizio pubblico del Paese. Un dato che non ha fatto forse clamore, ma che è importante: la raccolta di fondi lanciata dalla Protezione Civile sugli schermi Rai nel primo anno della pandemia lanciata raccolse 169 milioni di euro. Solo per fare un raffronto, nei terremoti del 2016 che devastarono il Centro Italia si arrivò a 36 milioni di denaro raccolto. Questo è per dire, non del servizio pubblico, ma della generosità di questo Paese e di come i grandi mezzi di comunicazione quando vogliono sappiano supportare queste nobili e dolorose cause. Sono stato però chiamato a parlare degli spazi di informazione durante le emergenze. Me la potrei cavare, in sintesi, dicendo che l’informazione durante le grandi emergenze si comporta bene. In questi due anni è cresciuta la fiducia dell’informazione … Guerra, pure sulla guerra mi sento di dire ci comportiamo bene nell’emergenza. Penso … e non solo guardando al servizio pubblico, alla quantità racconti che ci arrivano, a quanti giovani inviate di guerra: è uno spettacolo nel dramma entusiasmante vedere come stia cambiando pelle la professione e lo dico con tutto il rispetto. Non sopporto la nostalgia di chi dice “Quando c’era Montanelli che ci raccontava la crisi in Ungheria”. Giustissimo, ma ciascuna epoca ha i suoi Santi e i suoi grandi nomi. Guardiamo con fiducia anche a quanto di nuovo sta producendo il giornalismo. Terzo tema, le catastrofi naturali: anche qui, sinteticamente, sulle emergenze ci siamo. Dopo pochi minuti e poche ore siamo lì e raccontiamo. Dov’è il problema? Il problema è negli spazi di informazione durante le grandi emergenze. Il problema purtroppo non è il durante, sono il prima e il dopo. Pandemia. Prima dove eravamo? Alle cifre che diceva Andrea aggiungo solo una cifra che a me continua a bruciare, se non ricordo male 47 miliardi tagliati in 10 anni alla sanità pubblica. Come abbiamo fatto a non accorgercene? Svuotavano la cassaforte di casa e noi fischiettavamo, dove stavamo noi come informazione? È stato detto il PNR adesso c’è … e un piccolo spot per la Rai lo faccio. In questi giorni è stato costituito gruppo Rai per il PNR. Vuol essere un lavoro di lungo periodo, per andare a guardare come i soldi del PNR verranno impiegati, non solo per far parlare le istituzioni ai cittadini. Sarà un lavoro che permetterà anche ai cittadini, alla rappresentanza organizzata, al volontariato, al terzo settore, ai territori di dire la loro sui progetti… A proposito del dopo c’è un gruppo sociale verso il quale sento vergogna: le ragazze afghane. Ad agosto dell’anno scorso dicemmo loro che non le avremmo dimenticate. Lo disse la politica internazionale, lo dicemmo anche noi dell’informazione, che fanno adesso le ragazze afghane? Ci stiamo commuovendo adesso per le ragazze iraniane. Quanto durerà la nostra commozione? Il nostro lavoro è serio se si ricorda di esserci anche dopo. Terzo esempio: catastrofi naturali. In Italia abbiamo ricchezza di esempi: è stata citata la catastrofe delle Marche. Mi è tornata alla mente una bellissima frase che usò qualche anno fa Mattia Feltri: “I giornalisti come i magistrati, anzi come i pubblici ministeri, sono quelli che dopo si sapeva tutto prima”. Certo che le immagini di Senigallia inondata sono di grandissima presa emotiva. Ma è già stato ricordato che nel 2016 era stato varato il piano che avrebbe dovuto evitare una nuova Senigallia allaga. Dove eravamo noi? Perché non lo abbiamo chiesto alla politica competente? Avevamo gli strumenti per farlo … poi è stato detto: “Cosa ce ne facciamo del dolore?”. “Ma non sarà che qualche volta il nostro racconto del dolore pure emotivamente coinvolgente toglie lo spazio a qualche notizia?” Lo dico a bassa voce, perché sono questioni di tanta delicatezza che davvero nessuno può presumere di avere in tasca la soluzione. Ma intervistare a quattro giorni dalla sua scomparsa il padre di Mattia facendogli dire che spera di ritrovarlo vivo quando tutta Italia sapeva che era impossibile, non ha tolto lo spazio a qualche altra informazione vera? Nei giorni scorsi mi è capitato di parlare con un esperto di crisi climatica. Era stato chiamato sui fatti delle Marche in un talk di mezzora. Racconta però che hanno chiesto all’edicolante che si era vista portar via dalla piena la sua edicola, quali fossero le soluzioni per evitare che questo disastro si ripetesse di nuovo. Raccontò che quell’edicolante disse con grande trasporto emotivo cose assolutamente infondate, mentre sarebbe stato il caso di sfruttare quell’occasione in altro modo. Con queste osservazioni chiudo. Bisogna tenere a mente non il durante ma il prima e il dopo. Due sottolineature: una ottimistica e una che è una possibile pista di lavoro. La sottolineatura ottimistica – e comunque colgo l’occasione per ringraziare la famiglia Bisceglia, che fa parte di questo movimento che ha permesso al giornalismo sociale di crescere – è che uno dei vantaggi dei capelli bianchi è che uno si ricorda e misura in decenni. Il primo corso sull’informazione sociale lo facemmo all’Unità di Capodarco redattore sociale, era la fine degli anni Ottanta. Oggi grazie anche al cammino che tutti insieme abbiamo fatto di giornalismo sociale ce n’è; formazione al giornalismo sociale se ne fa; il giornalismo sociale non è più una Cenerentola, anche se la politica ovviamente ci domina. L’ultima osservazione invece è la proposta, che torna al tema dei giovani, che toccava così efficacemente Mirella. Si tratta di una proposta che alcuni di noi hanno provato ad avanzare per decenni, fin qui senza risultato. Quella di una educazione sull’uso critico dei media fatta nelle scuole medie inferiori e medie superiori e forse anche nelle elementari. Ha ragione Mirella: oggi i giovani si informano su tanti siti, io sento parlare di fattanza, roba che non so cosa sia e poi scopro che hanno 4 milioni e mezzo di follower. Noi giornalisti e giornaliste, magari sta cominciando la legislatura, io ho provato a dirlo ai colleghi dell’ordine, al sindacato, al garante della privacy che la settimana scorsa ha fatto un’iniziativa anche su questi temi, dobbiamo provare a inizio legislatura provare chiedere al Ministero dell’istruzione se questi temi della società della comunicazione non possano entrare a scuola. Credo che ci sia modo per esserci e noi giornalisti e giornalisti. Altrimenti è inutile lamentarsi che l’intervista del pur grandissimo Aldo Cazzullo al pur grandissimo Totti faccia quel botto di click che ha fatto”.

Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, si è riunito a marzo il Comitato promotore

Per fare il punto sul lavoro finora svolto e per discutere di eventuali nuove idee e di suggerimenti per proseguire le attività, il 17 marzo scorso si è riunito, in videoconferenza, il Comitato promotore del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia. Tra i punti all’ordine del giorno, le proposte per
una maggiore diffusione del bando, le collaborazioni, i patrocini e media-partnership richiesti, le candidature al concorso e l’organizzazione
dell’evento di premiazione. Il Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia per la comunicazione sociale è giunto alla settima edizione. Il concorso è suddiviso come sempre in tre categorie, ma la loro articolazione è stata quest’anno modificata per andare incontro alle evoluzioni del giornalismo.
Le sezioni sono le seguenti: servizi radio-televisivi; articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici; servizi, articoli, podcast e multimediali sul web. L’importante novità della settima edizione è proprio l’apertura ai podcast, registrazioni scaricabili o ascoltabili sul web o su strumenti tecnologici di uso comune come gli smartphone, che si stanno facendo largo sempre di più nel mondo del giornalismo e della comunicazione.
Per ulteriori dettagli basta cliccare sul seguente link: Bando VII edizione – Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia.

La fragilità come opportunità: nuove risorse messe in campo dalle televisioni durante la pandemia e la guerra – Vincenzo Morgante

Vincenzo Morgante, direttore TV2000
“La fragilità come opportunità: nuove risorse messe in campo dalle televisioni durante la pandemia e la guerra”

IMPATTO DELLE CRISI

“La premessa che vorrei proporre, alle brevi note che sottopongo oggi alla vostra cortese attenzione, è che le situazioni di crisi spaventano e feriscono soprattutto i più fragili, i più deboli, i più vulnerabili. È vero che l’ombra minacciosa causata dal peggioramento delle condizioni e delle aspettative incombe sull’intera comunità chiamata in causa da un veloce mutamento negativo, ma è altrettanto vero che turbamento e smarrimento si impadroniscono in primis di quanti sono consapevoli di avere scarse risorse per fronteggiare ulteriori difficoltà.  

Soggetti non abbienti oppure non in piena salute oppure le cui condizioni lavorative, logistiche, relazionali e psicologiche non sono ottimali vengono sottoposti – quando si prospetta o si manifesta una crisi – a un sostanziale incremento di tensione la cui risultante può essere uno stato di grave disagio sia fisico che morale.

LINEA DELLE EMITTENTI CEI

Faccio questa premessa perché uno dei capisaldi della linea editoriale delle due emittenti di cui mi occupo da alcuni anni (Tv2000 e inBlu2000) è proprio l’attenzione alle fasce più bisognose, più delicate, più sensibili. E qui mi riferisco ai bisogni in modo generale e cioè non solo in termini economici, ma anche in termini di “sensibilità sociale” se mi passate questa espressione. Con “sensibilità sociale” intendo una forte suscettibilità di alcune fasce della popolazione rispetto a cambiamenti, pressioni e criticità, poiché si tratta di persone, di famiglie, di comunità, che vivono sulla soglia ossia in uno stato di equilibrio abbastanza precario e, quindi, soggetto a vacillare e magari a divenire instabile quando sottoposto a mutamenti importanti o a veri e propri sconvolgimenti.

Tutto questo per dire che il nostro punto di osservazione, dalla cabina di regia delle emittenti radiotelevisive della CEI è già di per sé particolarmente attento ai temi della sofferenza, della fragilità e dell’emergenza. Questi argomenti sono la sostanza stessa del nostro lavoro nel campo della comunicazione, sia perché sono temi basilari rispetto alla nostra “missione” sia perché il nostro pubblico è coinvolto in prima persona da tematiche di questa portata. Naturalmente, il coinvolgimento può essere anche parzialmente indiretto, come nel caso di chi si occupi di assistenza, di volontariato, di supporto, di aiuto e di sostegno.

PANDEMIA E CONSEGUENZE SULLA COMUNICAZIONE

Il Covid19 ha precipitato tutti noi che operiamo nella sfera della comunicazione in una condizione che potremmo, a buon titolo, definire di disabilità professionale. Infatti, abbiamo vissuto una sorta di menomazione, di disallineamento tra ciò che ciascuno di noi – come singolo giornalista e come azienda di informazione – avrebbe voluto fare e ciò che è riuscito effettivamente a fare con i mezzi consentiti e con le possibilità limitate da una situazione che non devo ricordare poiché certamente nessuno di noi l’ha dimenticata.

Questo disequilibrio, questo sfasamento ha avuto luogo non solo durante il lockdown più rigido (quello scattato a marzo 2020), ma anche dopo. E – per certi aspetti – ancora oggi presenta dei trascinamenti e delle conseguenze di lungo periodo. Siamo stati (e siamo ancora per alcuni versi) incapacitati, inabili, limitati.

In qualche modo, siamo stati costretti a metterci nei panni dell’altro, e – visto che parliamo del nostro mestiere di comunicatori – l’altro (nel nostro specifico caso) è stato affrontare il lavoro quotidiano in una cornice sorprendentemente diversa ossia con meno strumenti, meno risorse e meno possibilità rispetto a come ci eravamo ormai abituati durante gli anni della cosiddetta “normalità”.

Se penso alla esperienza di Tv2000 e inBlu2000, le due emittenti della Cei (una televisiva e l’altra radiofonica), la nostra “disabilità professionale” è stata determinata soprattutto dalla impossibilità di incontrare fisicamente le persone, di viaggiare in lungo e in largo, di andare materialmente sui luoghi delle notizie, e di avere ospiti e pubblico nei nostri studi. Tutto ciò ha avuto – a mio parere – un impatto davvero significativo sul nostro modo di raccontare la realtà, di organizzare il lavoro, di rapportarci con il pubblico da casa. 

NECESSITA’ DI ADATTAMENTO ALLA NUOVA SITUAZIONE

Così, davanti allo stravolgimento delle abitudini, abbiamo fatto di necessità virtù: abbiamo spostato il baricentro della nostra organizzazione del lavoro quotidiano, cambiando anche approccio ai temi, ai fatti e alle persone.

Prima che intervenissero le limitazioni sul distanziamento sociale, ospiti e pubblico presenti in studio consentivano, ad esempio, al conduttore, di sviluppare un fitto reticolo di confronti e scambi – magari anche solo empatici, cioè fatti di sguardi ed espressioni rivelatrici del viso – con il risultato (costruttivo) di spunti e occasioni per le successive domande e interlocuzioni.

I collegamenti in videoconferenza ovviamente hanno limitato questo vasto patrimonio di modulazione del rapporto fra conduttore, pubblico e ospiti. Il conduttore, spesso da solo in studio, ha dovuto adattare alla situazione contingente il proprio linguaggio e finanche la propria postura: parlare guardando negli occhi la persona che ti è seduta davanti in carne e ossa è cosa diversa dall’intervistarla mentre sei in piedi in uno studio vuoto e quella persona se ne sta seduta nel salotto della propria abitazione dinanzi a un computer.

Telegiornale, giornale radio e programmi di approfondimento, non potendo inviare i giornalisti sui posti dove accadevano le notizie, hanno messo in campo coraggio informativo, creatività e idee innovative, tra l’altro nel contesto di una narrazione complessa come necessariamente è quella riguardante una pandemia. Con accenti e sfumature diverse, una situazione analoga è quella determinata dalla guerra. Ma è chiaro che se una è una guerra al virus e l’altra è una guerra combattuta fra uomini, siamo comunque sempre dinanzi a fattori di tensione, pericoli e rischi molto accentuati. Comunque, sulla guerra militare tornerò fra un attimo.

ESEMPI DI PROPOSTE INNOVATIVE DIRETTE AL PUBBLICO

Noi di Tv2000 possiamo affermare, a proposito delle iniziative messe in campo per cambiare l’offerta informativa e adattarla alla nuova situazione pandemica, di essere riusciti a dar vita a molti nuovi appuntamenti.

Cominciamo da Tempo Sospeso, il titolo prescelto per identificare gli editoriali quotidiani realizzati per il nostro telegiornale da una firma autorevole e prestigiosa come quella di Ferruccio De Bortoli: in collegamento da casa sua, questo attento ed equilibrato maestro del giornalismo contemporaneo ha consegnato al nostro pubblico una serie di approfondimenti della durata ciascuno di circa tre minuti. Questi commenti, questi appunti sulla pandemia, ci hanno consentito di fornire ogni giorno ai nostri telespettatori un punto di vista preciso, misurato e pacato sui fatti del giorno.

Vorrei citare ancora la rubrica del Tg2000 Giovani costruttori, in onda nell’aprile 2021: abbiamo chiesto agli studenti di cinque importanti università italiane di proporre e sviluppare idee concrete per la ripresa del nostro Paese indebolito socio-economicamente dalla pandemia. L’idea è nata ascoltando le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando nel discorso di fine 2020 ha detto: “Questo è tempo di costruttori”. Abbiamo messo a disposizione dei ragazzi una finestra del nostro telegiornale affinché vestissero i panni dei progettisti e, appunto, dei costruttori.

I giovani sono il nostro futuro, ma anche il nostro presente: perciò abbiamo voluto dare loro voce, con una occasione concreta per farsi sentire, e ci siamo messi in ascolto. Molti giovani oggi sono davvero competenti e preparati, con esperienze anche all’estero. Molti sono in grado di vedere le cose con sguardo nuovo e con la consapevolezza che il futuro dipende anche da loro.

Ecco, questo riguardo e questa attenzione ai giovani è un altro esempio di come gli ultimi accadimenti mondiali abbiano fatto cambiare il nostro lavoro. La chiave è in fondo piuttosto semplice: mettersi sempre di più in ascolto degli altri, come auspicato anche dal presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, pochi giorni fa, proprio durante la presentazione dei nuovi palinsesti di Tv2000 e inBlu2000. 

È un momento – ha spiegato il cardinale Zuppi – di grande trasformazione del mondo, delle persone e della Chiesa. Parlo di una Chiesa – ha detto Zuppi – che ascolta e che si rimette a camminare insieme ai tanti compagni di strada ai quali, qualche volta, ha parlato prima di ascoltarli. Talvolta, la Chiesa ha preteso di spiegare ai propri interlocutori chi loro fossero, prima di capire chi essi realmente fossero. A questi soggetti dobbiamo parlare di più e toccare di più i loro cuori – ha sottolineato il cardinale Zuppi – cercando di comprendere tante situazioni diverse, le sofferenze, i disagi e le tante domande in attesa di risposte”.



Bene, a proposito del saper ascoltare (soprattutto i giovani) con l’obbiettivo di poter raccontare meglio la realtà, posso citare un altro esperimento del nostro telegiornale: la rubrica Giovani lettori. Abbiamo chiesto ad alcuni ragazzi, studenti e laureati, di raccontare in un video il loro libro della vita, ossia il libro che ha rivestito un ruolo importante per la loro formazione o comunque il testo che è rimasto impresso nella loro memoria. Anche qui abbiamo valorizzato le idee di ragazze e ragazzi che probabilmente sarebbero rimaste inespresse.

RELAZIONE VIRTUOSA FRA COMUNICATORI E PUBBLICO

La pandemia – cito un fatto che è sotto gli occhi di tutti – ha allargato ulteriormente il divario fra le persone più fragili e le loro esistenze quotidiane, facendo emergere e accrescere enormi criticità, dall’accesso ai diritti elementari a quello riguardante il sostegno e l’assistenza fino alla semplice partecipazione alla vita sociale.

Noi comunicatori abbiamo un compito decisivo per arginare la deriva dell’esclusione attraverso la costruzione di processi di informazione dedicati.

Possiamo fare tanto perché abbiamo un privilegio che altri professionisti non hanno: quello di entrare in relazione quasi confidenziale con gli utenti cioè con i nostri telespettatori e con quanti ci seguono sulle altre piattaforme comunicative. Si tratta di una relazione speciale ed essa ha anche la caratteristica di consolidarsi quando ci si fida reciprocamente. La relazione si rafforza e si radica quando noi diventiamo credibili e acquistiamo autorevolezza perché siamo coerenti rispetto a ciò che comunichiamo e non “diamo fregature” al telespettatore.

Proprio quest’anno abbiamo deciso di cambiare il claim della nostra televisione. Così, abbiamo scelto lo slogan “Autentici per vocazione”.

Questa è da sempre la nostra sostanza ed è ciò su cui continueremo a costruire, mentre siamo impegnati a innovare e rinnovarci. Chi opera nel mondo della comunicazione ha il vantaggio di lavorare in una dimensione straordinaria, ma ha anche una grande responsabilità. Comunicare al pubblico è un servizio fatto di importanza sociale, bellezza e soddisfazione, ma solo se è svolto con responsabilità poiché – quando questa viene meno – l’informazione diventa manipolazione, inganno e autoreferenzialità. Siamo e saremo autentici in quanto responsabili: questa è la nostra vocazione.

GUERRA E OPPORTUNITA’ DI COMUNICAZIONE

Spostiamo ora il focus su un altro settore della comunicazione che ha recentemente mostrato enormi novità e capacità di adattamento. Come sapete, infatti, la dimensione comunicativa digitale ha rivelato al mondo che l’Ucraina resisteva e che lo faceva con convinzione e assoluta determinazione. Ci si aspettava una guerra-lampo con la resa quasi immediata degli aggrediti (fragili e vulnerabili) dinanzi allo spiegamento di forze del colosso russo. Invece, c’è stata la grande sorpresa, da parte dell’Ucraina, di una fierezza e di una volontà ferrea di opporsi al corso del destino. Tutti noi abbiamo saputo di questa non scontata resistenza perché il presidente Volodymyr Zelensky (con il supporto di altri suoi collaboratori) ha comunicato al mondo tramite le tv e tramite i social in modo continuativo, puntuale e inesausto. L’impressionante raffica di messaggi degli ucraini ha, sin dall’inizio, determinato un vero e proprio vantaggio comunicazionale. E questo vantaggio è stata la seconda grande sorpresa che ha accompagnato la prima sorpresa cioè quella della resistenza. Mentre da parte degli aggrediti si palesava una informazione dettagliata, regolare e molto efficace, gli aggressori restavano in un cono d’ombra inquietante e imperscrutabile. In estrema sintesi, possiamo dire che gli ucraini – fragili ed altamente esposti alla furia della macchina militare di Mosca – (dal punto di vista degli armamenti), sono stati invece prontissimi e abilissimi a cogliere tutte le opportunità offerte dai social e dal web, al fine di diffondere informazione e di favorire il consenso alla loro causa e alla loro posizione.

LA FORZA DELLE IMMAGINI

Pensiamo alla innegabile inferiorità dei combattenti ucraini asserragliati nella acciaieria Azovstal e pensiamo, però, a cosa è riuscito a determinare – in termini psicologici e comunicativi – un soldato-fotografo il quale – non potendo fare altro – ha documentato scatto dopo scatto i tre mesi nell’inferno dei sotterranei dell’acciaieria. Ebbene, prima di arrendersi, obbedendo all’ordine ricevuto dal proprio comando, quel soldato-fotografo ha messo tutte le sue immagini in rete raccomandando agli utenti di inviarle ai concorsi fotografici, sperando di vincere e di avere la massima esposizione per la sua documentazione. Ovviamente, un premio speciale lo ha avuto: è il The Polish Grand Press Photo 2022 attribuito in Polonia alle migliori opere fotografiche dell’anno. Tuttavia, il vero premio è stato l’effetto ottenuto dalla massima circolazione dei suoi scatti in tutto il mondo.

Qualcuno ha parlato di una nuova Resistenza imperniata sulle tecnologie che consentono una informazione tempestiva, a volte immediata.

Dietro all’account twitter di Zelensky sicuramente c’è un team di comunicazione digitale molto preparato e soprattutto instancabile e appassionato.

Ma davanti all’account del presidente ucraino sicuramente c’è una moltitudine di persone, un mondo, che vuole sapere, che vuole essere informato (al netto della propaganda, che inevitabilmente c’è e sempre ci sarà).

L’intreccio tra comunicazione e strategie di guerra è in un groviglio sempre più intricato e stringente. I conflitti si combattono sul campo ma soprattutto con le immagini capaci di influenzare l’opinione pubblica di tutto il mondo.

CONSIDERAZIONI FINALI

In conclusione, possiamo osservare come le fragilità, evidenziate in particolare dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina, siano diventate un’opportunità per la televisione e per gli altri mezzi di comunicazione di tornare a essere servizio pubblico in una vasta articolazione di modalità. Un mezzo di servizio potente e credibile che entra ogni giorno nelle case di milioni di persone. Una responsabilità che deve continuare ad essere prioritaria nelle nostre scelte su come fare la televisione del futuro”.