Intervista a Francesco Sinigaglia

Francesco Sinigaglia ha 25 anni. Dottore con lode in Lettere, Filologia Moderna e Scienze dello Spettacolo e produzione multimediale, regista, drammaturgo e giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Puglia dal 2018. Dottorato di Ricerca in Lettere, Lingue e Arti (XXXV ciclo), presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Regista: Fuori (2016), Benedetto. Il papa di Gesù (2018). Pubblica: I volti della violenza a teatro: Dal Cinquecento a Dacia Maraini (TraLeRighe Libri Editore, Lucca, 2017); Otello nel laboratorio di Stanislavskij. Introduzione al metodo delle azioni fisiche (TraLeRighe Libri Editore, Lucca, agosto 2018).

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Certamente sì. Qualsiasi partecipazione a un premio è una sfida: non tanto con gli altri ma con i tempi perché scrivere per il giornale equivale a raccontare velocemente e con le parole giuste il presente. Questo caratterizza un buon giornalista.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Fare “comunicazione sociale” è un’altra delle sfide del giornalismo contemporaneo: il giornalista non solo deve essere abile nel convincere il suo lettore ad andare oltre il titolo, ma, attraverso una scrittura accattivante e sincera, deve dimostrare di saper trasmettere un messaggio. L’impegno del giornalista, in più, deve essere condiviso dalla testata che spesso e purtroppo, a causa della velocità dei cambiamenti e dei social networks, preferisce orientare la comunicazione verso orizzonti più semplici in grado di produrre numeri vuoti.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte? 

Le parole non si scelgono ma obbediscono alla logica di un pensiero: gli antichi sostenevano che tutto è già stato scritto; noi, invece, abbiamo il semplice compito di registrare la realtà fattuale. I temi attuali e concreti rientrano in un universo solidale in grado di insegnare e coinvolgere: i partecipanti devono tentare di intervenire a sostegno delle tematiche di cui si parlava.

Le notizie devono essere sempre nuove? 

Le notizie non devono essere nuove: devono informare. Queste hanno il dovere di rendere edotti i lettori. Non devono essere parziali, non devono essere gonfiate. Le notizie sono notizie, non storie. Le notizie appartengono alla materia ricostruttiva e per questo non bisogna correre il rischio di anteporre un servizio a un’etica commerciale.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La risposta sta nello scopo di fondazione della testata più che nel giornalista: il giornalista, poi, decide da che parte stare. Ognuno ha il suo compito. Bisogna, comunque, tenere presente che i giornalisti che afferiscono all’area del “prodotto commerciale” non deve essere sottovalutato o disdegnato: è un lavoratore come tutti gli altri con interessi e obiettivi differenti dal giornalista di “servizio”.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Un buon giornalista è colui che è presente, è in grado di leggere la contemporaneità e stare al passo con i ritmi frenetici del web.  Un buon giornalista, inoltre, ha il dovere morale di padroneggiare fluentemente la lingua che adopera per il suo lavoro. Infine, deve essere in grado di intercettare la notizia e verificare la certezza della fonte. Il giornalista si deve muovere. Come detto, deve essere rapido.

 

Intervista a Valerio Sforna

Valerio Sforna è nato ad Assisi il 22 giugno 1989. Vive a Brufa, una piccola frazione del comune di Torgiano, situata nella media valle del Tevere in provincia di Perugia, terra di vini e di ceramiche. Ha frequentato il liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Perugia, diplomandosi con 80/100. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Perugia, dove si laurea nel 2015 con una tesi di diritto pubblico comparato sul sistema elettorale e partitico degli Stati Uniti d’America. Dopo la laurea, intraprende il tirocinio presso il tribunale di Perugia per ottenere l’accesso al concorso in magistratura, ma nel 2018 abbandona la carriera giuridica per inseguire il sogno della sua vita: fare il giornalista. Superato l’esame di ammissione, si iscrive all’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino, che tutt’ora frequenta. Esteri e ciclismo le sue passioni. Ha svolto il tirocinio nella redazione de La Nazione Umbria, mentre ad aprile sarà a Radio Popolare a Milano per concludere il suo percorso nella Scuola di Giornalismo. Ama il cinema, i fumetti e la bici da corsa.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Sì, anche perché le materie di cui tratto di solito sono diverse.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non molto, si preferisce rincorrere la notizia di grido del momento, senza riflettere sulle conseguenze di quello che si scrive.

  Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole vanno sempre scelte. Mai affidarsi all’emozione del momento. Le parole sono uno strumento potentissimo, da maneggiare con estrema cura.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

La parola notizia porta dentro di sé un concetto di novità. Questo è innegabile. Ma in un certo senso la nuova frontiera del cosiddetto “slow journalism” ci offre altri modi per trattare, e magari ripensare, la notizia.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La maggior parte delle testate sono dei prodotti commerciali. Ma esistono ancora dei giornali che, “in direzione ostinata e contraria”, cercano di fare informazione e servizio pubblico.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Un buon giornalista oggi è colui che pensa, si ferma un attimo e riflette prima di scrivere.

Intervista a Giorgio Saracino

Giorgio Saracino, 25 anni, giornalista praticante e pubblicista. Laureato in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho frequentato la scuola di Giornalismo della Fondazione Basso. Quindi una prima collaborazione con il Nuovo Corriere Laziale, poi gli stage nelle grandi redazioni nazionali: prima tre mesi a SkySport24, poi Radio Vaticana, Left, Report (Rai Tre). Quindi l’iscrizione al Master in Giornalismo della Lumsa, e un altro stage a NewsMediaset. Qualche collaborazione, una un po’ più lunga a Il Tempo, dove ho scritto di cronaca. Amo la videocamera, girare e montare.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Partecipare a un Premio Giornalistico che ha come obiettivo la promozione dell’integrazione e dell’inclusione sociale è senz’altro una sfida. E oltre a essere una sfida, credo che sia un impegno che in molti si dovrebbero assumere. Perché dare voce a chi ne ha bisogna, oltre a essere un gesto nobile, è necessario per un giornalista.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo che la Comunicazione Sociale non trovi lo spazio che meriterebbe sulle testate giornalistiche italiane. Molto spesso si è troppo impegnati nella ricerca del retroscena, del gossip, della nera o di altri argomenti ancor meno interessanti. Quando invece esistono realtà sociali che meritano di essere raccontate, affinché diventino anche modelli di ispirazione per quanti vivono nella stessa situazione. Racconti che possono anche diventare denunce che puntino poi a far adoperare – da chi competente in materia – misure di sostegno e salvaguardia maggiori. Sensibilizzare per migliorare.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Penso che le parole si scelgano sempre. È importante trattare di determinati argomenti, ma è altrettanto importante – se non di più – farlo con i termini e le espressioni adatte. Mai offensivi, mai pietistici o sensazionalistici. Credo che sia fondamentale trattare di questi temi – ma come anche di altri – con la naturalezza e la spontaneità che meritano.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Le notizie non devono essere sempre nuove, anche se sembra una contraddizione, vista anche l’etimologia del termine stesso, “nuovo”. Le notizie, i servizi, gli articoli, gli approfondimenti, devono essere sempre tanti: se un tema merita di essere approfondito più volte, magari su piattaforme diverse, per far sì che arrivi al maggior numero di persone di età, fasce e target diversi, ben venga. Temi come quelli sociali meritano di essere ripetuti e declinati nel maggior numero di modi.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate sono prodotti commerciali, da sempre. Anche quelle del servizio pubblico devono avere a che fare con un bilancio. Certo è che questo non toglie che argomenti che si considera possano monetizzare di meno, lo facciano veramente. Mi spiego: chi dice che l’approfondimento su temi sociali non attiri il lettore o lo spettatore medio e che quindi non possa far produrre all’azienda denaro e profitti? Io penso che invece questo tipo di informazione piaccia alla gente, che sarebbe ben felice di dedicare qualche minuto ai temi di rilevanza sociale. Quindi, anche chi mira esclusivamente ai guadagni, potrebbe puntare sulla comunicazione e l’informazione sociale.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Io ho già partecipato al premo lo scorso anno, classificandomi al secondo posto nella sezione Radio-Tv. Son rimasto colpito dalla storia di Alessandra Bisceglia e dalla mission del Premio. Motivo per cui ho deciso di parteciparvi nuovamente. E non nascondo che credo che continuerò a farlo anche in futuro.

 

Intervista a Giacomo Puletti

Giacomo Puletti, ha 23 anni ed è di Città di Castello (PG). Ha un blog personale, fattichiari.wordpress.com, dove scrive soprattutto di politica interna ed estera. È giornalista praticante all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, dove è entrato dopo essersi laureato in Scienze Politiche, Sociali e Internazionali all’Alma Mater di Bologna ed essermi diplomato al Liceo Classico di Città di Castello. Già stagista al Giorno a Milano, ha collaborato con il Festival del giornalismo culturale e ha scritto per il Corriere dello Sport negli anni dell’università; da aprile a giugno 2020 sarà in stage a Rainews24 a Roma.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Le tematiche sociali, soprattutto quelle legate alle malattie rare, rappresentano per i giornalisti una sfida da cogliere in tutte le sue sfaccettature. A me è venuto spontaneo affrontare questo tema per partecipare alla quarta edizione del premio “Alessandra Bisceglia”, perché ritengo fondamentale che l’opinione pubblica sia informata sulle storie di chi affronta ogni giorno la malattia con coraggio e forza di volontà e sulle cure messe in campo per sconfiggere il dolore.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo che la comunicazione sociale trovi spazio nelle testate ma troppo spesso nelle pagine “periferiche” dei giornali o senza la necessaria evidenza nelle testate online. Credo che raccontare storie di “vita vera” legate alle tematiche sociali debba essere orgoglio di vanto per un media, e di conseguenza dovrebbero avere maggiore visibilità.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole sono uno strumento molto importante nella vita di tutti i giorni, sia in quanto cittadini sia, ancora di più, come giornalisti delegati alla corretta informazione dell’opinione pubblica. Per questo ritengo che le parole, in un tema come quello del premio giornalistico Alessandra Bisceglia, debbano essere scelte con cura per evitare di cadere nella retorica e in luoghi comuni che non saprebbero rendere appieno la sensibilità umana che spesso si nasconde dietro storie di profonda rilevanza sociale.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Ritengo che le notizie, in quanto tali, debbano essere sempre nuove. Tuttavia, occorre distinguere tra notizie e storie, in quanto quest’ultime possono essere raccontate anche se “vecchie” o “fredde” nel caso in cui si voglia far emergere una tematica degna di essere raccontata. È questo il caso di molte storie che riguardano il sociale, le quali spesso restano nascoste sotto la polvere finché qualcuno non si prende il merito e la profonda responsabilità di farle emergere portando in superficie il dolore e la speranza.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate, per definizione ontologica di giornalismo, dovrebbero essere sempre un servizio pubblico, ma purtroppo si avvicinano ogni giorno di più ad essere servizi commerciali. Tuttavia, credo che occorra prestare attenzione a evitare le generalizzazioni, perché esistono ancora testate che si prodigano per fornire un servizio utile ai cittadini e che in quanto tali meritano stima e riconoscenza da parte dei colleghi.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Penso che la competenza e la professionalità che Lucia Goracci dimostra nei suoi servizi televisivi o radiofonici dalle zone di guerra non abbiano eguali nel panorama giornalistico italiano.

Intervista a Alice Possidente

Alice Possidente, dopo il diploma di maturità scientifica, conseguito nel 2011, dalla Basilicata si trasferisce a Bologna, dove si iscrive alla facoltà di Lettere moderne. Nel 2014, attraverso il programma Erasmus placement, svolge in Scozia un tirocinio di tre mesi presso L’Istituto Italiano di Cultura di Edimburgo. Si laurea nel novembre 2015 con una tesi in letteratura italiana dal titolo “Viaggio nella letteratura lucana”.
Sempre a Bologna, si iscrive alla magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa; dopo sei mesi di Erasmus in Spagna, a Valencia, si laurea a marzo 2018 con una tesi in comunicazione pubblica dal titolo “Quel che resta del talk show politico: un’analisi di #cartabianca e Gazebo”.
A novembre del 2018 si trasferisce a Urbino, per frequentare l’Istituto di Formazione al Giornalismo. Da settembre a novembre 2019 ha svolto un tirocinio presso il giornale on line tpi.it.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Scrivere è sempre una sfida, una bella sfida. Scrivere di comunicazione sociale, a volte, può essere difficile per via della delicatezza dei temi da trattare ma è sempre appagante.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non sempre.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole vanno sempre scelte. È una delle parti più importanti e delicate del nostro lavoro, qualunque sia il tema trattato.

Le notizie devono essere sempre nuove?

L’ etimologia della notizia è notus, “conosciuto”. Non necessariamente le notizie devono portare elementi di novità.

  Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate, oggi, sono abbastanza schiacciate dal calo delle vendite. Per sopravvivere spesso tendono a urlare la notizia nella speranza che porti più click (o più copie vendute). Ma non è raro trovare esempi di giornalismo di qualità anche oggi.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Colui che osserva, si incuriosisce, fa domande, indaga dolcemente e non è mai invadente. Colui che riesce a narrare con velocità, precisione e senso etico. È una definizione senza tempo, in realtà, vale per il presente come per il passato e probabilmente varrà anche per il futuro.

Intervista a Anna Piscopo

Anna Piscopo di quasi 30 anni è una giornalista pubblicista, ora praticante al master in giornalismo dell’Università di Bari. “Sono un uomo e tutto quello che ha a che fare con l’essere umano mi riguarda”: questa frase del commediografo romano Terenzio racchiude il suo modo di guardare la vita. Laureata in lettere a Bari, poi in editoria e giornalismo a Roma, ha avuto alcune esperienze come addetto stampa e responsabile della comunicazione di un’associazione di categoria. Tra le sue passioni ci sono la politica, la cronaca, la poesia, la musica, lo sport, il cinema italiano, il mare. Parla il francese e un poco di inglese. Ama unire con le parole mondi che sembrano distanti.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Assolutamente sì.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

Non abbastanza.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Si scelgono tra quelle già scelte. Dobbiamo essere compresi da chi ci legge.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. Devono essere nuovi il modo e lo stile con cui vengono trattate.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Sono prodotti commerciali “travestiti” da servizi pubblici. Bisognerebbe puntare su qualcosa che vada oltre la superficie.

 Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Chi è curioso, empatico e credibile.

Intervista a Federica Nannetti

Federica Nannetti ha 25 anni ed è di Bologna. È laureata in Lettere Moderne ma con il sogno di diventare giornalista fin dai banchi di scuola superiore. In quegli anni, infatti, ha partecipato al concorso Repubblica@Scuola e ho svolto uno stage estivo in un’emittente locale. Da ottobre 2019 frequenta il Master in Giornalismo dell’UNIBO, allo stesso tempo, sta portando avanti l’altra mia grande passione: il pattinaggio artistico. Ha iniziato a praticare questo sport a soli quattro anni e oggi continuo a trasmettere la sua dedizione, allenando le nuove generazioni delle rotelle.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

È stata una sfida soprattutto emotiva. Ho avuto la fortuna di incontrare una terapeuta disponibile ad accompagnarmi nel profondo del tema, facendomi vivere in prima persona il suo lavoro, la sua passione e la sua missione. E proprio per questo le emozioni sono state forti e trascinanti.

  La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

È un tema di primaria importanza e dalla potente valenza umana che, proprio in virtù di questo, dovrebbe avere molta più visibilità sulle testate. Un tema per il quale sarebbero necessari più approfondimenti, pazienza e dedizione, in modo tale da mettere in luce tante storie meritevoli ed esemplari. Non a caso ho scelto di partecipare a questo concorso proprio all’inizio del mio percorso nel mondo del giornalismo.

 Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Ritengo che debbano essere scelte, come sempre del resto, ma con ancora maggior cura. È necessario un giusto equilibrio tra delicatezza, estrema precisione e competenza.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

Indubbiamente la tempestività è una qualità indispensabile nel giornalismo. Al giorno d’oggi, però, il rischio è quello di un’eccessiva corsa alla notizia e di uno scarso controllo delle fonti a discapito della qualità delle informazioni. Ecco perché il principio guida penso debba sempre essere la correttezza e la meticolosità.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

A volte ci si trova sulla soglia limite, ma il giornalismo non può rinunciare a essere un servizio pubblico a favore della popolazione.

  Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Forse non esiste un prototipo del “buon giornalista”. Ma chi pone il diritto di informazione corretta e leale come obiettivo primario, nell’interesse della comunità, ritengo sia sulla strada giusta. Allo stesso tempo è importante avere un forte senso etico-morale, facendo proprie tutte quelle norme deontologiche troppo spesso percepite solo come vincoli troppo stretti.

Intervista a Pietro Mecarozzi

Pietro Mecarozzi, giornalista, autore e jazzofilo. Comincia a la Repubblica Firenze, poi La Nazione, Class, Vice, The post Internazionale, Momento Italia, Gli Occhi della Guerra, The Vision, La Stampa e il Fatto Quotidiano. Ha frequentato il master in giornalismo politico-economico alla Business School de Il Sole 24 Ore. Un libro alle spalle e tanta passione per politica, economia, inchieste e data journalism. Nel tempo libero? Charles Mingus, Milan e Dosto.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Una sfida piacevole e stimolante.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Con fatica, anche se negli ultimi tempi è riuscita a ritagliarsi una sua fetta di lettori. Conquista non da poco, visto il momento storico.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Entrambe le cose.

Le notizie devono essere sempre nuove?
Tendenzialmente sì. L’unica eccezione è nel caso delle inchieste, dove fatti di cronaca, dati e ricerche devono fondersi in un solo prodotto completo, difficilmente inedito in tutti i suoi elementi

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Il giornalismo è un impegno civile, non certo mosso da fini monetari. Le testate, per sopravvivere, devo essere entrambe le cose.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
È una persona limpida, dedita al suo lavoro e coraggiosa. Giorgio Mottola della trasmissione Rai Report.

 

Intervista a Valentina Ersilia Matrascia

Matrascia Valentina Ersilia, classe 1987, romana di nascita e napoletana d’adozione. Praticante giornalista presso la Scuola di Giornalismo di Napoli “Suor Orsola Benincasa”. Dopo gli studi classici, si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale. Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali (tematiche di genere, antimafia sociale, immigrazione, diritti civili). Vincitrice, per l’anno 2019, della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani”.

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

 Confrontarsi con una tematica importante a livello sociale e umano può rappresentare una sfida, con se stessi e con la propria capacità di raccontare la realtà. Partecipare ad un Premio Giornalistico su questi temi è quindi, oltre che una sfida, una responsabilità.

 La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

 La comunicazione sociale non trova nei media nazionali, almeno in quelli generalisti, lo spazio e l’attenzione che meriterebbe. Se non in caso di emergenze o fatti di cronaca. Fortunatamente, però, grazie all’attenzione delle testate tematiche pian piano stanno recuperando spazio nell’agenda setting del Paese e dei media. Non resta che sperare che a questo spazio conquistato corrispondano attenzione e linguaggio adeguato.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Le parole sono figlie delle storie che raccontano e vanno scelte con attenzione e sensibilità in base anche al tema di cui ci si occupa. Le parole sono importanti, “urlava” Nanni Moretti. A maggior ragione se si devono raccontare storie di vita e a maggior ragione per chi fa – o vorrebbe fare – il giornalista.

 Le notizie devono essere sempre nuove?

 Non necessariamente. Le notizie portano a conoscenza del lettore/pubblico di storie, fatti, situazioni e contesti che non conoscevano o che, pur essendo ogni giorno sotto i loro occhi, conoscevano solo parzialmente o in maniera errata o viziata da pregiudizi o preconcetti.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 Le imprese editoriali, per loro stessa definizione, sono prodotti commerciali. Questo non le esime, però, dall’essere – e dal dover essere – strumento “a servizio” del pubblico proprio in virtù della specificità della “merce informazione” che, se correttamente fornita, diventa strumento di democrazia.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

 Oggi, come ieri, un buon giornalista è una persona curiosa che non perde mai la capacità e la voglia di fare e farsi domande. Una persona capace, anche avvalendosi delle competenze e degli strumenti tecnologici, di entrare dentro le storie e, con rispetto e empatia, raccontarle e renderle fruibili ad altri. Un buon giornalista è un professionista capace di rispetto, di guardare al mondo senza farsi influenzare dal pregiudizio e consapevole della responsabilità etica e sociale che il suo lavoro gli conferisce.

Intervista ad Alvise Losi

Alvise Losi, giornalista, viaggiatore, milanese. In ordine sparso. Mi sono formato alla scuola di giornalismo “Walter Tobagi” dell’Università degli Studi di Milano e dal 2012 sono professionista. Ho accumulato esperienza in diversi settori durante i miei primi anni da freelance, grazie a collaborazioni con varie testate, principalmente carta e web, e a esperienze interne ad alcune redazioni. Musica, cultura, enogastronomia, ma anche politica, ambiente e sociale. Nel 2015 ho partecipato al concorso pubblico indetto dalla Rai e nel gennaio 2018 sono stato chiamato a lavorare nella Testata giornalistica regionale siciliana. Mi sono riscoperto giornalista televisivo e ho passato quasi due anni in Sicilia, a Catania. Un’esperienza meravigliosa dal punto di vista umano e professionale, che mi ha consentito di occuparmi di notizie di grande impatto nazionale (come il “caso Diciotti” nell’agosto 2018 o l’alluvione del novembre 2018) ma anche, e soprattutto, delle tante piccole storie di singoli cittadini che possono arrivare ad assumere significati universali. Da febbraio 2020 sono tornato a Milano, come redattore della sede distaccata del Tg3.”

 

Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?

Più che una sfida la considero una opportunità per dare voce a chi di solito ha meno spazio sui media di far conoscere la condizione propria o dei propri familiari. E, nello specifico, rappresenta anche la possibilità di far conoscere i meriti del nostro servizio sanitario nazionale quando funziona.

La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?

La mia percezione è che fino a pochi anni fa la comunicazione sociale avesse uno spazio ridotto all’interno delle testate, ma che il problema maggiore fosse il suo “isolamento”, quasi dovesse essere trattata a parte rispetto ad altri temi. Invece negli ultimi anni mi pare si stia cercando di trovare il modo di includere elementi sociali all’interno di articoli che, almeno teoricamente, sarebbero incentrati su altri temi. Quindi anche se lo spazio forse non è aumentato, si è fatto però più trasversale, il che è senza dubbio importante.

Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?

Io credo che un giornalista, a prescindere dal tema, non dovrebbe mai avere delle parole “già scelte”. E persino le domande non dovrebbero essere “già scelte”. Le parole si scelgono sulla base di ciò che uno vede e scopre, e dovrebbero essere parole il più possibile trasparenti, nel senso che il sentito del giornalista, per quanto importante, non deve indirizzare ciò che viene raccontato ma, al più, filtrarlo senza però modificarlo. Questo dovrebbe valere per ogni notizia. Ed è ancora più importante sui temi sociali: mai partire da una tesi, al massimo da un’ipotesi.

Le notizie devono essere sempre nuove?

Naturalmente è auspicabile che le notizie varino, anche solo per dare la possibilità al lettore o all’ascoltatore di conoscere più realtà. Ma anche una stessa notizia può diventare nuova. Per esempio se viene raccontata in modi diversi da giornalisti diversi o persino dallo stesso giornalista. Soprattutto una stessa notizia può avere diverse sfaccettature che meritano ognuna il suo spazio.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Lavorando per il servizio pubblico radio-televisivo, è sin troppo facile intuire la mia risposta. Ma pensavo lo stesso quando negli anni passati lavoravo per testate private. A dire il vero, credo che sia il giornalismo stesso a dover essere concepito come servizio pubblico. Certo non si può negare che il mondo oggi imponga serie riflessioni sull’economia dei media, mentre fino a un paio di decenni fa era più semplice far funzionare un’impresa editoriale. Il rischio però è proprio pensarli come prodotti commerciali invece che come progetti imprenditoriali, con un fine culturale che debba mantenere anche un (importante) risvolto commerciale.

Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?

Qualcuno che abbia la passione per raccontare ciò che vede senza influenzarlo con i naturali pre-giudizi che porta con sé. Pre-giudizi nel senso di valutazioni che ognuno ha prima ancora di conoscere una storia: possono quindi essere anche pregiudizi positivi che però non fanno bene alla professione se quella predisposizione positiva a trattare la notizia impedisce di trattarla con oggettività. Perché è vero che l’oggettività stessa è un miraggio, ma proprio come giornalisti dovremmo essere particolarmente consapevoli del nostro ruolo di filtri della realtà e cercare in questo senso di renderci trasparenti senza scomparire. Questo non significa eliminare del tutto l’elemento soggettivo, perché il rischio diventerebbe poi perdere quella componente di passione che aiuta una storia a essere raccontata e, in fondo, a entrare nel cuore e nella mente di chi legge o ascolta. Un buon giornalista è anche qualcuno che sappia stare un passo avanti nel valutare quello che potrebbe succedere, così da provare a spiegarlo, ma mantenga sempre un passo indietro nel non entrare in modo ingombrante nelle notizie che tratta. Ogni tanto è difficile, soprattutto su temi sociali che trascinano chi li vive dentro la storia, ma è necessario provarci.