Autore: redazione
Intervista a Giovanni Landi
Giovanni Landi è nato ad Agropoli (SA) il 31 luglio 1990. Da luglio 2018 è giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia, che ha durata biennale. Si è classificato primo al concorso nazionale di acceso alla Scuola. Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l’Università di Perugia in data 14 ottobre 2014 con votazione 110 e lode. Nello stesso mese ha ottenuto una borsa di studio per un dottorato di ricerca, conseguendo il titolo di Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche presso l’Università di Perugia in data 18 aprile 2018, con menzione di eccellenza. È iscritto all’albo dei praticante dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria dal 16 gennaio 2019. Ha svolto un tirocinio giornalistico di due mesi presso il quotidiano La Nazione – Umbria (maggio-giugno 2019) e uno di un mese presso la sede Rai dell’Umbria (settembre 2019). Ha svolto esperienze Erasmus a Southampton, Parigi e Londra. Parla fluentemente inglese e francese.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Più che una sfida, lo considero un momento di soddisfazione personale. Nella mia breve carriera giornalistica ho sempre guardato con grande attenzione al tema della disabilità, e in particolare a quello della malattia mentale. Al di là dell’esito della selezione, avere un mio lavoro nella lista dei partecipanti è già un modo per approfondire quell’interesse e quell’impegno.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Non si può dire che il mondo dei media ignori o trascuri questo tema. Tuttavia è un argomento che meriterebbe più spazio: anche se si tratta di un insieme di minoranze, il giornalismo può avere un ruolo determinante nello spingere le istituzioni, la sanità e l’opinione pubblica a mostrare più attenzione verso di esse.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Le parole si scelgono. Ogni volta. Volta per volta. Soprattutto per tematiche considerate “delicate” e “sensibili”, è fondamentale valutare ogni situazione al fine di utilizzare il linguaggio più idoneo. L’obiettivo è non essere né superficiali né paternalisti o stucchevoli, ma giusti.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Non necessariamente. Anche trattare un argomento già ampiamente battuto può essere utile. Per esempio se lo si tratta con – appunto – un linguaggio diverso o attraverso un differente punto di vista.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Sono entrambe. Ma il lato commerciale non dovrebbe mai prevalere su quello di “servizio”. Perché la stampa non è un’impresa come le altre: ha il compito e la missione di informare e tenere vivo e aperto il dibattito pubblico sull’attualità. Se fosse dominata solamente dal profitto, inevitabilmente disattenderebbe questi obiettivi.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Un buon giornalista è chi riesce a sorprendere, a incuriosire, a rintracciare storie interessanti ma poco conosciute. È chi riesce a trattare argomenti complessi in maniera sempre comprensibile e allo stesso tempo originale, non scontata. È chi in ogni lavoro, insieme alla firma, mette la sua cifra. Soprattutto, è chi si pone sempre dalla parte della verità – anche quando è relativa – e del potenziale lettore.
Intervista a Federica Ginesu
Federica Ginesu, giornalista freelance, si occupa di donne, questioni di genere, discriminazioni e comunicazione sociale. Attualmente collabora con il settimanale Grazia e il progetto web de Il Sole 24 ore Alley Oop. Ha pubblicato per La Donna Sarda, Elle, Gente e iO Donna. È coautrice dei due libri “Sardegna al Femminile. Storie di donne speciali” e dell’ebook “Donne di Futuro” de Il Sole 24 ore. Ha vinto il premio giornalistico Gianni Massa per la parità di genere, il premio giornalistico Jessie White per un’inchiesta sociale, il premio Monti – Giovannini e il premio “Giornalista dell’anno” Umberto Rosa per la categoria Salute e Innovazione. È socia della rete Giulia Giornaliste Sardegna.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Ogni articolo è una sfida, ogni volta mi metto in gioco. Mai dare niente per scontato, penso sia uno dei pilastri del giornalismo. L’articolo con cui partecipo al Premio, lo confesso, mi ha messo alla prova. Racconto la storia di una donna che ha reagito agli ostacoli della vita superandoli con forza e tenacia attraverso lo sport. Un messaggio sociale importante, ma anche una vicenda umana in cui risplende il coraggio, la voglia di non arrendersi e una grandissima determinazione. Una lezione di vita per tutti.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
La comunicazione sociale è uno dei campi che prediligo. Mi permette di rispondere a quella vocazione che è nel dna del giornalismo: dare voce a chi non ce l’ha. Non sempre è possibile farlo per varie ragioni. Per chi come me è freelance è dura, significa proporre alle testate e cercare gli spazi giusti, non sempre si trovano. Questo certamente non mi impedisce di continuare a credere fortemente nelle storie che hanno un alto valore sociale e nel loro potere divulgativo. È così che emergono problemi o questioni che balzano all’attenzione dell’opinione pubblica. L’effetto può essere dirompente e meraviglioso: le storie, ne sono convinta, cambiano il mondo.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Nella comunicazione sociale le parole sono fondamentali, bisogna sceglierle con cura, attenzione e sensibilità. Anche quando in parte sono già scelte, perché legate a qualche patologia o figlie del mondo scientifico. Credo infatti che il giornalismo debba arrivare a tutti, come diceva Indro Montanelli: «scrivi in modo che ti possa leggere anche il lattaio dell’Ohio». Quindi, a mio avviso, un articolo deve essere chiaro, comprensibile anche quando affronta argomenti tecnici, capita in questo campo, sia quando con l’essenziale si deve arrivare al cuore. Le parole sono gli strumenti per arrivare a due risultati: informazione quindi, ma anche tutti i valori che possono sprigionare i protagonisti e le protagoniste delle storie della comunicazione sociale: solidarietà, integrazione, risolutezza.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Le notizie non devono essere per forza nuove. Lavoro con le news, ma amo anche dedicarmi agli approfondimenti e alle inchieste. Sono articoli che richiedono tempo e consentono di sviscerare un argomento, di rivelare dimensioni, di sollevare questioni che portano, a volte, a nuove notizie.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Il giornalismo in Italia si è un po’ perso per strada. Devo essere onesta. Sotto alcuni aspetti sta investendo più sulla pubblicità che porta introiti sicuri che sul buon giornalismo ossia sulle inchieste o sulla comunicazione sociale, sullo stabilizzare i precari con il loro carico di talento e professionalità. I titoli online fuorvianti e acchiappalike, le false notizie divulgate in fretta senza verificarle sono alcuni dei problemi generati dalla logica dei profitti. C’è però ancora chi resiste e risponde a quei valori di correttezza, deontologia ed etica che sono i pilastri di questo mondo. Spero che il giornalismo inverta presto la rotta perché al nostro Paese non servono prodotti commerciali, ma un’informazione libera, indipendente e integra.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
In questi giorni ho rivisto il film “The Post” in cui viene raccontata la storia dei Pentagon Papers, i documenti top secret del Ministero della Difesa Usa che riguardavano la gestione della guerra del Vietnam.
Nel gruppo di redazione del Washington Post che lavorò alla pubblicazione dei documenti c’era la giornalista Meg Greenfield, premio Pulitzer nel 1978 . Di lei fu scritto: “Curiosa, saggia, onesta, abile e brillante, dotata di un grande intuito. Integra, indipendente e appassionata”
Ecco la definizione di una buona giornalista.
Intervista a Greta Ubbiali
Greta Ubbiali, classe 1988, giornalista e conduttrice radiofonica. Originaria di Bergamo, dopo essersi laureata in lingue straniere moderne all’Università di Bologna, nel 2012 inizia a lavorare per alcune radio di Milano. In seguito, cominciano le collaborazioni con testate web e giornali locali. Tra il 2018 e il 2019 partecipa alla stesura degli ebook “Donne di futuro” e “Un’impresa da donna” di Alley Oop, blog del Sole 24 Ore. Oggi vive a Torino e si occupa di economia, finanza e trend della generazione Millennial.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Sì, molto. Le sfide però sono sempre positive per me perché mi mettono a confronto con situazioni nuove da cui ho sempre qualcosa da imparare. In particolare raccontare il mondo delle ricerca scientifica che sta dietro le malattie rare ha significato per me conoscere meglio una realtà per cui nutro molto rispetto: quello della ricerca italiana.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Purtroppo non quanto ne avrebbe bisogno perché si dà maggiore spazio ad altri argomenti più all’ordine del giorno. Una corretta informazione e sensibilizzazione sui temi sociali però sul lungo periodo aumenterebbe anche la qualità del dibattito pubblico.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Da una parte si scelgono. Sul fronte della narrazione della notizia la scelta delle parole può fare la differenza nel coinvolgimento del lettore, per esempio. Dall’altra però ci sono delle terminologie – penso al linguaggio clinico per esempio – che bisogna rispettare e adottare con rigore nei casi che lo richiedono come quello delle malattie rare. Solo così si può restituire una rappresentazione del fatto più vicina alla verità possibile ma comunque comprensibile al lettore.
Le notizie devono essere sempre nuove?
No, non penso. Anzi credo che che la rincorsa all’ultimo aggiornamento o alla breaking news non faccia sempre bene all’informazione. Bisognerebbe lasciare più spazio all’approfondimento e all’analisi, al cosiddetto “giornalismo lento”. Questo può significare anche andare a rispolverare notizie del passato, ragionarci ancora ma con nuove prospettive per “unire i puntini”. Così nascono contenuti che sono nuovi, ma soprattutto utili.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Dovrebbero essere servizi pubblici perché informare è un dovere ma è anche un diritto del cittadino, sappiamo però che i prodotti editoriali devono sottostare alle regole del mercato. Penso comunque debbano sempre preservare la loro autorevolezza. Una caratteristica importante, che i lettori riconoscono e premiano nel tempo. In periodi di trasformazione, come quello attuale, la stima che le testate hanno saputo costruire negli anni può fare la differenza garantendo la fedeltà del lettore.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
È un o una professionista che nel portare avanti il suo lavoro non dimentica mai le regole deontologiche. Che rispetta sempre il lato umano della notizia, soprattutto quando il tema che affronta riguarda la salute. Un buon giornalista è una donna o un uomo che si approccia alle fonti e ai suoi intervistati con rispetto. E lo stesso rispetto lo porta anche nei confronti dei lettori.
Intervista a Sofia Gadici
Sofia Gadici è nata a Fiuggi, in provincia di Frosinone nel 1992. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali all’Università degli studi di Roma tre e in Comunicazione pubblica digitale e d’impresa all’Università degli studi di Perugia. Attualmente è una giornalista praticante presso la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia. Da maggio 2019 collabora con il Visual desk del gruppo editoriale Gedi: produce materiali audiovisivi per le piattaforma web di Repubblica, la Stampa, Huffington post e Mashable Italia.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
È stata sicuramente una sfida. Questo tema mi ha dato l’opportunità di confrontarmi con un mondo ancora da raccontare: ho avuto la possibilità di dar voce a chi spesso non viene ascoltato. Per realizzare il mio articolo ho conosciuto persone speciali che dedicano la propria via ai più bisognosi e che con la loro esperienza possono essere d’esempio per gli altri.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
È un tema non sufficientemente trattato. Alcuni casi emblematici salgono agli onori della cronaca, ma raramente il tema viene approfondito come dovrebbe.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Le parole devo essere sempre scelte. Se c’è la possibilità di toccare con mano un’esperienza, come è successo a me, il lavoro è più semplice perché la percezione è così nitida da ispirare gran parte delle parole. Ma un tema come questo necessita di essere raccontato con attenzione e rispetto.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Non necessariamente. Spesso uno stesso argomento può essere trattato da diversi e sconosciuti punti di vista.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Prodotti commerciali che fanno del servizio pubblico una veste con cui proclamare la propria onestà.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Paolo Borrometi, uno degli ultimi giornalisti di inchiesta in Italia che dedica la propria vita alla verità, nonostante i rischi che questo comporta.
Intervista ad Angela Zurzolo
Angela Zurzolo è giornalista pubblicista, attualmente iscritta, tramite procedura di ricongiungimento, all’albo dei praticanti.
Storyteller e video-giornalista, ha conseguito un diploma di master grazie a una borsa di studio del Sole24Ore in “Informazione multimediale e giornalismo politico-economico”.
Laureata in Lettere di Scienze Umanistiche alla Sapienza, ha più di 10 anni di esperienze professionali all’attivo, tra cui:
– WeWorld-GVC Onlus (ong operante nella cooperazione allo sviluppo in oltre 25 paesi del mondo)
– communication officer;
– Ministero Affari Esteri (ufficio comunicazione DGPCC);
– Osservatorio Iraq Medio Oriente e Nord Africa, il giornale di Un Ponte Per…
– Rondine Onlus (ufficio comunicazione e stampa dell’associazione www.rondine.org. Progetto Venti di pace su Caucaso. Visite ai campi profughi, alle case dei civili e alle istituzioni religiose, alle università e ai governi, in Azerbaijan, Armenia, Turchia, Georgia);
– Cooptelling, i miei foto e video reportage sulla cooperazione;
– Alleanza delle cooperative italiane;
– Legacoop Nazionale, ufficio comunicazione e stampa.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Confrontarsi con il giudizio di una giuria su un lavoro di reportage illustrato che tratta un tema così specifico e delicato intimorisce ma credo sia necessario, così come lo è il feedback dei lettori, affinché il cerchio della paura si chiuda. Di quale cerchio sto parlando? È iniziato quando mi sono ritrovata di fronte questa madre di una giovane donna che ha pronunciato per la prima volta la parola “sindrome del chiavistello”, e non si è mai dissolta. È la paura, la certezza, dell’inadeguatezza delle parole di fronte a un simile dolore. Dal momento in cui ho raccolto quella testimonianza, così come le altre, si è aperto un cerchio che comprende la responsabilità del dover tradurre un’esperienza per la maggior parte inconcepibile in storia condivisa. Condivisa ed attuale. Perché oggi, mentre un intero paese si chiude dentro casa per paura del coronavirus, non posso non pensare al fatto che per descrivere la condizione di questa ragazza e per definire quella di chi vive rinchiuso in casa stiamo utilizzando termini affini: lockdown e locked-in. E per quanto distanti anni luce queste esperienze non sono incomunicabili e non lo sono perché, per quanto il dolore e la paura possano dividerci e vederci protagonisti su fronti totalmente opposti, non c’è distanza che l’empatia non possa coprire per avvicinare chi sperimenta in piccola misura una condizione e chi invece la vive in maniera permanente. In questo senso, tutte le storie che narro ambiscono a essere riraccontate: raccontate ancora nel tempo, nello spazio, da me, da voci diverse, dai diretti testimoni di quella esperienza. Perché è un circolo ermeneutico che non si chiude mai e che è infinitamente perfettibile ma nel quale ognuno di noi è necessario e indispensabile. Perciò il giudizio della commissione sarà senz’altro da stimolo per migliorare questo processo.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Le rispondo con un’altra domanda: siamo in grado di fare comunicazione sociale e di farla bene? Io credo che ci siano diversi professionisti in grado di occuparsene bene ma che spesso le testate non li riconoscano perché i nostri media sono inquinati da troppo altro. E tuttavia la comunicazione sociale ha una forza e una tale capacità di arrivare che consente di superare quelli che sono i comuni ostacoli costituiti dalla notiziabilità e dalle logiche del mainstreaming. La mia ambizione piú grande è quella di riuscire a rispettare l’etica professionale e lo stile della comunicazione sociale per rendere quelle esperienze di vita che non sono attenzionate da nessuno ciò che davvero sono: Testimonianze uniche e irripetibili che meritano ascolto e comprensione.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Quando ho scritto questo reportage non pensavo di partecipare al PGAB ma le parole non sono mai già scelte. Si scelgono e si continuano a scegliere sempre. Ci si continua ad interrogare sempre su di esse. E soprattutto viene voglia di sceglierle ancora. E scrivere e riscrivere, ancora e ancora anche la stessa storia, per dimostrare che la voce di chi rischia di rimanere indietro ha energie inesauribili e risorse che raccontano di una umanità capace di scorgere coraggio e resistenza anche nella piú dura delle condizioni.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Ho inconsapevolmente anticipato un po’ la sua domanda. Le notizie devono essere sempre nuove. Eppure spesso fanno i conti con un sistema dell’informazione monotematico che lascia indietro temi importanti per poi ritrovarsi privo di strumenti e di esperienza a confrontarsi, magari solo nell’emergenza, con temi difficili e che riguardano tutti, come quello della salute, della disabilità, etc… Ciò produce spesso disorientamento e una informazione approssimativa, incapace di dare punti di riferimento e di offrire al pubblico la possibilità di creare autonomamente una chiave interpretativa individuale e collettiva dei fatti e degli avvenimenti.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Mi piace non generalizzare perché rimane pur vero che esistono ancora oggi testate e testate. Stanno, peró, innegabilmente ibridandosi sempre piú.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Un buon giornalista è colui o colei che sceglie di raccontare anche quando è scomodo farlo; colui o colei che sceglie cosa scrivere e cosa non scrivere, anche a dispetto degli esiti che ciò possa avere sulla sua personale carriera; colui o colei che sceglie come raccontare, sempre nel rispetto della volontà e della dignità degli intervistati e delle persone coinvolte. In ultimo, un buon giornalista è colui che sparisce nelle storie altrui e riemerge solo per dar loro senso e un quadro di insieme.
Intervista a Luca Zanini
Gaetano Luca Zanini è nato a Caserta, ma è cresciuto all’ombra del Vesuvio, a Portici, in provincia di Napoli. Dal 2014 è giornalista pubblicista, ma da sempre ama scrivere e scoprire il perché delle cose. Mentre coltivava la passione per la politica estera e per la tecnologia, si è laureato in Lettere Moderne alla “Federico II” di Napoli e poi ha continuato il mio percorso di studi a Roma, conseguendo la laurea in Editoria e Giornalismo a “Roma Tre”. Nel mezzo, un’esperienza di tre mesi a Londra per frequentare il master in giornalismo della London School of Journalism. Ha scritto di cronaca e politica locale per Il Mattino di Napoli, finché non ha vinto una borsa di studio per la Scuola di Giornalismo della Luiss. Qui ha avuto l’opportunità di fare prima uno stage alla redazione romana de La Stampa e poi a quella del Messaggero, con cui attualmente collabora.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
La vera sfida è stata soprattutto quella di rendere comprensibili alcuni termini scientifici che senza un’adeguata contestualizzazione sarebbero risultati incomprensibili a un pubblico più vasto rispetto a quello degli addetti ai lavori. L’altra faccia della medaglia, però, è il rischio di semplificare troppo e risultare imprecisi. La difficoltà di trattare tematiche così specifiche sta proprio nel trovare un giusto bilanciamento tra semplicità e accuratezza.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
La comunicazione sociale è un tema troppo spesso relegato alle testate di settore e trascurato invece dalle testate generaliste nonostante offra numerosi spunti di riflessione e storie interessanti. Proprio per questo credo che i temi che gravitano attorno alla comunicazione sociale dovrebbero trovare più spazio non solo nelle testate giornalistiche ma anche nel dibattito nazionale.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
“Le parole sono importanti” diceva il protagonista di un celebre film. Le parole hanno sempre un peso specifico che va al di là delle nostre intenzioni: quando le usiamo, comunichiamo anche valori, disvalori e le nostre sovrastrutture mentali pregresse, a volte anche inconsciamente. Quindi le parole vanno sempre scelte con attenzione, a maggior ragione quando si tratta di tematiche collegate alla comunicazione sociale.
Le notizie devono essere sempre nuove?
In linea di massima, sì. Ci sono alcuni casi, però, in cui l’elemento di novità è dato da una diversa chiave di lettura di un fenomeno già noto, oppure casi in cui un episodio accaduto in precedenza, assume nuova rilevanza a seguito di eventi successivi.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Le testate giornalistiche, così come i libri o il cinema, si sono sempre collocate a metà strada tra i prodotti commerciali, prodotti culturali e il servizio pubblico. Nonostante siano “sul mercato”, e debbano sottostare alle sue regole interne, non possono essere definiti come prodotti commerciali veri e propri perché svolgono una funzione di arricchimento culturale per chi li acquista. Inoltre il giornale svolge una funzione pubblica fondamentale, perché solo dei cittadini ben informati permettono a una democrazia di funzionare correttamente.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Milena Gabanelli
Intervista a Alessio Viscardi
Alessio Viscardi è un reporter video e fotografo nato e cresciuto nella periferia di Napoli. Ha collaborato con Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera, L’Espresso e le agenzie stampa LaPresse e H24. Ha Diretto il progetto “Cittadini Giornalisti” e ha portato a termine il primo esperimento di giornalismo partecipativo d’inchiesta finanziato dal basso e pubblicato su L’Espresso: “Discarica Vesuvio”. Nel 2015 ha trovato l’elipista da cui era partito l’elicottero del funerale-show dei Casamonica a Roma. Nel 2016 ha mostrato i brogli durante le primarie del Pd a Napoli e durante le elezioni comunali.Vincitore del Premio Giornalistico Enzo Rossi 2019 con il servizio: “Il mare negato di Ostia: così gli stabilimenti hanno occupato le spiagge”. Lavora per Fanpage.it.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
È stata una sfida che cerco di raccogliere tutti i giorni col mio lavoro, dedicando sempre attenzione a temi come il superamento degli ostacoli posti dalla disabilità.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Non su tutte le testate, ma il tema è anche come se ne parla: spesso ci si lascia andare nella denuncia fine a sé stessa e non si mostrano le buone pratiche.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Le parole si scelgono, ma sono -in un certo senso- inevitabili
Le notizie devono essere sempre nuove?
Le notizie nuove possono diventare una trappola che ci porta a correre sempre verso qualcosa, senza avere il tempo di soffermarsi sulle storie e scavare a fondo i temi
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
La maggior parte sono prodotti commerciali che vengono qualsiasi cosa la gente sia disposta a credere
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Ce ne sono parecchi, molti scrivono rischiano in prima persona denunciando mafia, camorra e ‘ndrangheta senza mai salire alla ribalta del giornalismo-vip, penso ad esempio ad Alessia Candito in Calabria.
Intervista a Giulia Taviani
Giulia Taviani ha 22 anni. Nata e cresciuta a Verona, si è trasferisce a Milano a 19 anni. Nel 2019 si laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità alla IULM, dove ora frequento il Master in Giornalismo. A quattro anni ha iniziato a scrivere poesie discutibili, a 20 qualcosa di più serio. Da gennaio 2019 collabora con una testata online chiamata “Periodico Daily” dove scrive di spettacolo, viaggi, attualità e un po’ di sport, anche se è fortemente attratta da ciò che è nascosto agli occhi di tutti. Una passione che le piacerebbe trasformare in un lavoro di reportage o inchiesta, accanto anche alla voglia di creare nuovi contenuti, in particolare video.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Personalmente no. È un tema di cui ho già trattato in passato e a cui mi sento particolarmente vicina. Ritengo che sia un mondo di cui si parli ancora troppo poco, un argomento che purtroppo non trova interesse. E poterne parlare e raccontare cosa siano le malattie rare e cosa queste comportino, mi ha fatto sentire che potevo ridare la giusta importanza a tutti coloro che soffrono di un qualsiasi tipo di malattia rara e a coloro che ogni giorno gli stanno vicino e li aiutano.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Trovo che le testate in generale lascino sempre meno spazio a questo argomento. Che non sono per forza le malattie rare, ma la comunicazione sociale in generale. Forse solo negli ultimi anni si sta tornando a una sorta di sensibilizzazione sui temi sociali. E una motivazione potrebbe essere perché trova poco interesse tra la popolazione stessa.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Credo che le parole in un tema come questo siano già dentro a chi scrive. È difficile inventare da zero un argomento come quello delle malattie rare, è difficile staccarsi dalla notizia, dal racconto. Quindi credo che le parole in questo caso non siano né già scelte né si scelgono, semplicemente arrivano, bisogna solo essere in grado di metterle nell’ordine giusto.
Le notizie devono essere sempre nuove?
Non credo sia necessario avere sempre l’ultima notizia, quella più recente. Credo che tutte le notizie possano tornare ad avere una vita, la differenza sta nel giornalista, che deve essere in grado di aggiungere sempre un elemento in più, una sfaccettatura nuova. Così da aggiungere dettagli e informazioni alla notizia di partenza.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Dipende dalla testata che viene presa in considerazione. Sicuramente rispetto al passato sono state molto più commercializzate, ciò però non toglie che continuino a fare servizio pubblico.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Penso che per essere un buon giornalista oggi non occorra solo saper scrivere bene ciò che si vede, ma serve saper raccontare tutto il mondo che gira attorno alla notizia. Sapersi immergere in quello che si sta trasmettendo, saperlo raccontare sia per iscritto, che oralmente, che con immagini, video, link ecc. Essere giornalista vuol dire aiutare tutti i lettori a conoscere la realtà delle cose, a scoprire il mondo. Arrivare laddove non riescono ad arrivare loro.
Intervista a Giovanni Sofia
Giovanni Sofia ha 28 anni ed è nato a Messina. Sta completando la Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini”, presso l’università Luiss di Roma, città in cui vive da due anni. È laureato in Giurisprudenza all’ateneo di Messina e ha svolto due stage alla redazione Cronaca di Roma de Il Messaggero. Scrive di sport per il sito Gianlucadimarzio.com, ma con la stessa propensione si dedica, oltre alla carta stampata e al web, a radio e tv. Per la WeSport Srls prepara e monta servizi video, mentre per l’emittente Radio Amore racconta partite di calcio. Ha co-condotto “Contropiede”, programma di approfondimento sportivo su la rete messinese TcfTv e fa parte dell’ufficio stampa della Fondazione di Partecipazione Erasmo, in prima linea sui temi di mobilità e integrazione europea. Parla inglese e spagnolo ed è un grande appassionato di ciclismo.
Partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico è stata una sfida?
Quando ci si approccia a un concorso, ci vuole sempre un po’ di sano spirito agonistico. Dare il massimo per cercare di arrivare il più lontano possibile. Ritengo sia questa l’unica ricetta per non avere rimpianti. Il tema è affascinante, ma mentirei se dicessi che ho inviato l’elaborato soltanto per il gusto di partecipare.
La Comunicazione Sociale: è un tema che trova spazio sulle testate?
Abbastanza, specialmente nell’ultimo periodo. Al netto degli episodi deprecabili, ho notato anche tanto spirito solidale: su questo ha influito molto l’esempio diffuso attraverso i mezzi di comunicazione. Di storie di aggregazione, uguaglianza e integrazione, comunque, non si smette mai di avere bisogno. Ben vengano, allora, articoli, reportage, servizi e premi come questo.
Le parole, in un tema come quello del PGAB, si scelgono o sono già scelte?
Molte vengono da dentro, sono l’immedesimazione nella storia e la voglia di trasmetterla all’esterno a fare la differenza.
Le notizie devono essere sempre nuove?
E’ fondamentale.
Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
La piega sembra più proiettata al profitto, ma ci sono anche prodotti dalla qualità elevata. L’aspetto commerciale, comunque, è difficile da condannare completamente. Viviamo in tempi di magra e i giornali restano aziende composte da lavoratori con famiglie, a cui, comunque vada, bisogna riconoscere uno stipendio alla fine del mese.
Chi è oggi, secondo te, un buon giornalista?
Chi cerca storie nuove e si preoccupa di verificarle.