Intervista Ludovica Criscitiello

Ludovica Criscitiello è giornalista professionista dal 2011 e videomaker da due anni. Vive a Firenze dove scrive articoli, gira e monta video per La Nazione. Ha lavorato come addetto stampa a Roma per alcune associazioni e si muove da sempre nel campo della comunicazione. Si è laureata in Comunicazione d’Impresa e ha fatto il master di giornalismo a Napoli per iscriversi all’albo dei professionisti. A questo ha aggiunto anche i video perché si è convinta che una buona dose di immagini unita alla scrittura può fare davvero tanto. Trai temi di cui adora parlare, quelli sulla diversità e l’inclusione hanno la precedenza. Crede che lo scopo per fare del buon giornalismo sia quello di dare voce a chi, come Elisa Vavassori, nel suo piccolo fa qualcosa di grande, che può insegnare e ispirare anche altri. Raccontare storie che valgano la pena: è questa la mission di un giornalista.

 

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Credo che sia una sfida riuscire a saper raccontare con le parole giuste e la sensibilità adeguata temi così delicati. Come mi ha detto una volta una persona che ho intervistato “Determinate situazioni vanno raccontate con il cuore”.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

In realtà è stata proprio la storia di Elisa Vavassori a colpirmi tanto. Sono l’impegno e la determinazione di questa persona ad essermi rimasti dentro perché nonostante la vita le abbia reso le cose davvero difficili, lei è riuscita a imporsi e a decidere del suo destino, molto più di tante persone (inclusa me stessa). E quando ho letto del premio ho pensato di proporre proprio questa perché ci tenevo a far conoscere Elisa.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Per me informare significa soprattutto denunciare quello che non va perché è attraverso gli organi di stampa che le istituzioni possono ricevere gli input giusti per poter agire di conseguenza. Ma significa anche al contempo mettere in luce gli aspetti positivi di qualunque realtà come quella di una ragazza che nonostante la malattia trova il coraggio di reagire e aiutare chi ha il suo stesso problema. O di chi vive in contesti di criminalità e delinquenza ma ha scelto una strada diversa.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Molto poco e infatti con Luce! che è questo canale nuovo della Nazione si cerca di dare spazio proprio a temi che normalmente vengono messi da parte: l’inclusione e la diversità in tutti gli ambiti.

5. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Se utilizzati bene possono favorire la diffusione di una maggiore consapevolezza su questi temi.

6. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Si certo. Spesso noi giornalisti ce ne dimentichiamo, ma per indicare determinate categorie ad esempio esistono parole che devono essere usate per garantirne il rispetto come la locuzione “persone con disabilità” perché, come mi ha spiegato anche Elisa, i disabili sono prima di tutto persone. Come ogni potere anche quello delle parole è potente e, se usato nel modo sbagliato, inculca idee sbagliate nella mente delle persone.

7. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente, è possibile anche trattare argomenti di cui si è già parlato partendo da punti di vista differenti.

8. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Dovrebbero essere servizi pubblici, ma spesso purtroppo prevalgono interessi privati per motivi puramente economici e politici.

9. Che significa essere un buon giornalista?

Scegliere temi di cui non si parla per dare loro il giusto spazio e verificare sempre la veridicità di quello che si scrive per evitare di arrecare danni.

10. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Lo conosco da molti anni ma aspettavo la storia giusta per partecipare.

Intervista a Caterina Caparello

Giornalista pubblicista dal 2015, nel 2012 si è laureata in Lettere Classiche presso l’Università La Sapienza di Roma. Dopo il trasferimento a Pavia, nel 2017, ha collaborato con la testata locale La Provincia Pavese occupandosi di cronaca, cultura e sport. Nel frattempo, si è occupata di tennis e basket presso delle riviste online e cartacee nazionali specializzate. Attualmente collabora da freelance con il Corriere della Sera nella sezione Cronaca Milano e Il Bello dell’Italia assieme ai blog La 27esima ora, Marilyn, Giornalisti nel pallone e Invisibili. Sempre da freelance, collabora anche con il quotidiano Domani e il magazine di basket femminile Pink Basket.  

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Assolutamente. È una sfida che mi porta ad una riflessione: veniamo costantemente bombardati da notizie che arrivano da tutte le parti, le apprendiamo superficialmente e poi, il giorno dopo, passiamo automaticamente ad altre con le stesse modalità. Premi come questo, invece, portano a fermarsi, ad analizzare determinate tematiche e a farle davvero nostre. Ma soprattutto a divulgarle meglio.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sicuramente la storia che ho presentato per il Premio è fra queste. Mi riguarda da vicino, specie sapendo come, da calabrese, la mia sia una regione data per scontata. Assieme a lei, l’intervista alla meravigliosa giocatrice di pallacanestro in carrozzina, Beatrice Ion, oppure il report sulle aberranti mutilazioni genitali femminili che ancora oggi subiscono giovanissime donne, divulgato dall’Associazione AIDOS. Sono storie e casi di cui sento il bisogno di parlare ancora.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

La società e i suoi bisogni devono essere sempre al centro dell’informazione, perché riguarda ogni singolo individuo. Noi siamo la società. Parlare con le persone e raccontare le problematiche sociali è fondamentale. Personalmente, mi occupo anche dei diritti delle donne e delle questioni di genere nello sport, tematiche che vengono facilmente messe da parte e dimenticate, subito dopo le giornate a loro dedicate. Ecco, sono necessari dei riflettori continui.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Esistono testate che dedicano delle sezioni apposite. Al di fuori di queste, è un tema che si trova spesso associato alla denuncia e immediatamente ignorate. La Comunicazione sociale invece deve essere continuamente alimentata, deve servire sì ad aprire gli occhi su quello che non va, ma anche (e soprattutto) ad avvicinare le persone verso realtà di cui, senza un’onesta e vera informazione, non si saprebbe nulla. Conoscere associazioni, ricerche scientifiche e iniziative, allontana il pensiero di essere soli.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Tutto sta nel come viene presentata la Comunicazione sociale. Mass media e new media possono dare davvero una grossa mano, a patto che il linguaggio sia onesto e rispettoso, che porti verso una reale conoscenza e non a vie patetiche o sensazionalistiche senza fondamento. La Comunicazione sociale è una tematica seria, da cui dipende non solo il lavoro, ma anche il futuro di donne, uomini, bambine e bambini.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Bisogna usare ovunque le parole giuste. In qualsiasi ambito della vita. È vero che le parole feriscono più della spada ed è anche vero che la lingua, come il tempo, è in continuo mutamento. Proprio per questo, sin dalle scuole di ogni ordine e grado, sono necessarie parole che portino all’inclusività, alla parità e al rispetto.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Il principio di notizia “fresca” è tra i concetti fondamentali del giornalismo. Ma la novità spesso sta anche nel ritornare su quelle notizie che servono da sentinella. Tornare su una notizia, soprattutto nell’ambito della Comunicazione sociale, significa ribadirne la presenza. Il giornalista deve conoscere il nuovo, ma anche controllare il precedente.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Ci troviamo davanti a un periodo di profonda crisi, anche identitaria, del giornalismo. Il lato economico è importante perché il giornalismo è un lavoro (e spesso lo dimentica anche chi è del settore), ma quello che sta cambiando è l’approccio al lavoro, che deve essere volto ad un’informazione corretta e coerente. Le testate sono quindi sia prodotti commerciali che servizi pubblici, proprio perché devono garantire la dignità di chi lavora e la qualità per chi legge.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Significa avere la consapevolezza delle proprie responsabilità. Troppo spesso assistiamo a scenari in cui sono assenti sia l’onestà intellettuale che le responsabilità di chi scrive. Occuparsi di una qualsiasi tematica, nel giornalismo, significa fare di tutto affinché si possa dare la più corretta informazione possibile. Lavorare con le parole non significa giocarci o trattarle con superficialità.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Conoscevo già il Premio nelle sue precedenti edizioni, tramite vari Ordini regionali, e gli articoli presentati. È un piacere e un’emozione l’essermi candidata.

 

Intervista a Gabriella Cantafio

Gabriella Cantafio è nata a Crotone il 28 agosto 1986. Laureata in Comunicazione Sociale presso l’Università degli Studi di Messina con Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media presso l’Università di Roma Tor Vergata. Giornalista, scrive di attualità e cultura su testate nazionali (Vanity Fair, Il Foglio, Il Giornale sezione OFF, Il Fatto Quotidiano). Collabora con aziende dei settori food e luxury (maison orafa Gerardo Sacco e Mulinum, la più grande startup agricola nata sul web) in qualità di addetto stampa. Dal 2012, collabora con il mondo associazionistico, nello specifico con il Consorzio di cooperative sociali Jobel di Crotone, alternando contratti a progetto a collaborazioni volontarie, sempre nell’ambito della comunicazione. Appassionata di libri, organizza eventi culturali. Giurata del Premio Letterario Caccuri nelle edizioni 2017-2018.

 

 È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Più che una sfida, per me, rappresenta un tassello del mio impegno quotidiano nell’approfondimento e racconto di tematiche sociali.

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Oltre alla bella storia di integrazione e resilienza grazie allo sport, che propongo per il vostro premio, un paio di mesi fa ho avuto l’onore di intervistare Fabio Cantelli, durante il lancio della serie SanPa su Netflix. Ammetto che, piuttosto che un’intervista, è stato un momento di crescita esistenziale, ricco di spunti di riflessione su tematiche quali la dipendenza e la libertà, con pillole di psicologia e filosofia.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

In generale, deve essere oggetto di informazione qualsiasi notizia di interesse pubblico. Nel campo della comunicazione sociale, è molto importante dare un segnale e sensibilizzare su tematiche socio-culturali attuali, magari anche raccogliendo storie/testimonianze significative.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Purtroppo non sempre, però io, a seguito dei miei studi, della mia collaborazione con il mondo associazionistico e della mia innegabile sensibilità, cerco di trovare sempre un piccolo spazio, anche su testate che non si occupano prettamente di comunicazione sociale.

 Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Se utilizzati bene possono aiutare a divulgarla, ma, spesso, rischiano di banalizzarla.

 Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Più che di parole giuste, che sembrano interessare maggiormente in ottica SEO e similari, per trattare la comunicazione c’è bisogno di valori “giusti”.

Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Certo, il compito di noi giornalisti, soprattutto di noi impegnati nell’ambito sociale e culturale, è proprio quello di “scovare” sempre nuove notizie/storie che possano contribuire ad attivare un cambiamento o una presa di coscienza nella società.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Purtroppo, spesso, alcune testate badano troppo al business dei like o delle cosiddette “marchette”, ma fortunatamente esistono ancora testate degne di essere definite tali, basate su etica e onestà intellettuale.

Che significa essere un buon giornalista?

 A mio modesto parere, passione, curiosità, competenza, onestà intellettuale e attendibilità sono i valori fondamentali di un buon giornalista.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Ho appreso del vostro Premio sul sito www.giornalistitalia.it

Intervista a Maria Letizia Camparsi

Maria Letizia Camparsi ha 24 anni nata a Verona, anzi, a Chievo per la precisione. Ha studiato Lettere Moderne all’Università di Bologna e ha frequentato l’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino, dove ha svolto il praticantato. Attualmente collabora come giornalista videomaker per il Fatto Quotidiano. Prima di questo, ha fatto esperienza nelle redazioni di Repubblica, Radio Capital e San Marino RTV.

 

 È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È sicuramente una sfida, ma credo che il giornalismo in generale sia una sfida, vista la tipologia di lavoro e il periodo storico in cui lo stiamo svolgendo. Personalmente, adoro le sfide per cui ho accettato volentieri. E poi, mi piace molto raccontare storie, soprattutto quelle che danno voce a chi solitamente non viene ascoltato.

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Proprio quella con cui mi sono candidata. Mi sono sentita investita di una grande responsabilità: far conoscere la realtà di Porta Pazienza, uno dei progetti più belli di cui sono venuta a conoscenza. Senza fini di lucro, ma con il solo fine di aiutare le persone più svantaggiate a integrarsi, divertirsi e condurre una vita dignitosa e piena di soddisfazione. Tutto questo rischiava di scomparire a causa del Covid e io mi sono sentita in dovere di raccontare la loro storia e magari spingere qualcuno ad aderire alla loro raccolta fondi e permettere loro di reinventarsi.

 Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò che possa arricchire le persone. Le notizie di attualità, raccontate in modo oggettivo, per permettere a tutti di sapere cosa succede nel mondo. Ma anche approfondimenti per capire le ragioni profonde degli eventi e dei cambiamenti. E poi le storie, che raccontano di gente “normale” come noi.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Relativamente. O meglio, dipende dalle testate. Personalmente in tutte le redazioni in cui ho lavorato è stato dato sempre molto spazio alla Comunicazione Sociale, dimostrando una particolare sensibilità, che io ho molto apprezzato. Ho realizzato diversi articoli, servizi e interviste sul tema.

 Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

 C’è un effetto positivo e uno negativo. Quello positivo è che con i nuovi strumenti di comunicazione è possibile raggiungere tantissime persone, molte più di quelle che venivano raggiunte vent’anni fa. Dall’altra parte c’è il rischio che alcune storie di persone svantaggiate vengano strumentalizzate a favore della spettacolarizzazione.

 Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

 Non proprio. Ogni giornalista esprime in qualche modo la sua sensibilità quando scrive, per cui non ci sono delle regole ferree o parole giuste da usare, se non il limite del rispetto.

 Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

 Non per forza. Si può approfondire o analizzare da una nuova prospettiva un tema già trattato, ma che rimane comunque di interesse comune. Oppure si può raccontare l’evolversi di una storia già raccontata.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 Temo che dal punto di vista dei direttori o dei contabili siano soprattutto dei prodotti commerciali che devono vendere. Io difendo ancora la mia visione romantica del giornalismo, che è prima di tutto un servizio pubblico, per la comunità. Mentre realizzo un servizio o scrivo un articolo penso costantemente all’effetto che possa avere su chi lo vedrà o leggerà, se lo arricchirà in qualche modo, se gli servirà. Non scrivo o giro per me, ma per chi mi legge o vede.

 Che significa essere un buon giornalista?

 Significa mantenere la barra dritta e non farsi sbilanciare da pressioni di qualunque tipo. Significa lavorare come la nostra deontologia ci impone. Significa avere il coraggio di raccontare tutto quello che succede, anche se può essere scomodo per qualcuno. Significa tornare a casa alla sera ed essere orgogliosi di quello che si è fatto durante la giornata.

 Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 Grazie alla Scuola di giornalismo che ho frequentato, che ha gentilmente inviato a me e tutti i miei ex colleghi il bando di questo Premio Giornalistico.

 

Intervista a Ilaria Beretta

Ilaria Beretta, 28 anni, è giornalista professionista. Collabora con il bisettimanale d’attualità per bambini Popotus e il quotidiano Avvenire. Responsabile della comunicazione per un istituto religioso, scrive anche per “Mondo e Missione” e “Credere” dando spazio a buone pratiche ed esperienze di solidarietà. Nel 2017 ha vinto il Premio De Carli per l’informazione religiosa e nel 2020 una menzione speciale del Premio Benedetta D’Intino per la comunicazione della disabilità. Ha scritto il libro “Quello che le donne non dicono alla Chiesa” (Àncora, 2019) e ogni settimana registra il podcast per bambini “Le notizie della illy”.

 

È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Assolutamente sì, soprattutto per me che spesso ho a che fare con piccoli lettori, bambini dai 6 anni in su, ai quali sembra già impossibile raccontare l’attualità: figuriamoci un tema delicato come la disabilità…

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Mi ha colpito molto un’intervista fatta qualche anno fa a un’operatrice sociale delle carceri milanesi. Collaborando con marchi di alta moda, ha permesso alle detenute non semplicemente di lavorare e occupare il tempo, ma di diventare sarte specializzate i cui lavori sono richiesti dalle boutique più famose del mondo. Più recentemente ho incontrato e intervistato una religiosa che da quarant’anni in Costa d’Avorio si occupa di bambini con disabilità e soprattutto di cancellare lo stigma che ancora oggi li accompagna.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Personalmente ritengo ci sia un grande bisogno di buone pratiche che diano lo spunto ad altri a fare altrettanto. Siamo abituati allo slogan “bad news is a good news” e naturalmente non nego l’importanza del giornalismo come cane da guardia della democrazia. Tuttavia, l’informazione dovrebbe farsi veicolo anche di un contagio positivo, di storie che hanno il potere di innescare processi di cambiamento.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Negli ultimi anni mi sembra che ci sia un’attenzione maggiore in questo senso, anche se la strada da fare è ancora lunga.

 Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Mi sembra positivo. I nuovi media permettono di entrare in contatto rapidamente con un maggior numero di persone e soprattutto di coinvolgerle: un aspetto particolarmente interessante per chi si occupa di comunicazione sociale e punta a sensibilizzare e a spingere i lettori a collaborare.

 Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

La comunicazione è sempre fatta di parole, pertanto è senz’altro fondamentale conoscerle e saperle trattare. Penso, per esempio, all’importanza di curare la scelta dei vocaboli per non generare allarmismi infondati; oppure ai tanti casi in cui si tratteggia a tinte vivide un fatto che invece, per etica professionale, dovrebbe essere raccontato con più sfumati…

 Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

La notiziabilità di un fatto non si limita solo alla sua attualità temporale. Personalmente ritengo che, nel costante flusso di notizie – spesso in formato flash – in cui siamo immersi, è molto utile divulgare (e dall’altro lato leggere) articoli di sintesi e approfondimento su tematiche o concetti particolarmente importanti.

 Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Entrambe le cose. Da un lato, nella crisi editoriale in cui ci troviamo, è innegabile una certa tendenza ad “acchiappare lettori” con strategie push più simili a quelle usate dal marketing che al linguaggio obiettivo richiesta ai giornalisti. Dall’altra ci sono un buon numero di prodotti giornalistici e singoli cronisti che continuano a fare un grande lavoro di ricerca e racconto: bisogna avere la pazienza di individuarli e seguirli.

 Che significa essere un buon giornalista?

Sforzarsi di capire ogni cosa per bene, senza dare per scontato nessun concetto, prima di raccontarla ad altri, scegliendo lo stile e le parole giuste.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Online, navigando sul sito della Fnsi.

Intervista a Daniele Bartocci

Giornalista marchigiano classe 1989, in oltre 17 anni di giornalismo si occupa di argomenti quali cronaca e sport. Laureato in Economia e Commercio (110 e lode), ha lavorato come telecronista, radiocronista e inviato, rivestendo l’incarico di responsabile ufficio stampa (Jesina Calcio) e collaborando con magazine, settimanali, quotidiani cartacei (Corriere Adriatico) e online. Ha partecipato negli anni a eventi sportivi come Gran Galà Calcio Serie A Milano, Gran Galà Calcio Serie B, Sport Digital Marketing Festival e Olimpiadi del Cuore di Forte dei Marmi. Nel suo cv un Master Sport – Digital Marketing & Communication del Sole 24 Ore. Risulta tra i vincitori del premio Overtime Web Festival 2018 (miglior articolo sport individuali), si conferma nel 2019 e ottiene il premio giornalistico nazionale Mimmo Ferrara 2019 (menzione speciale all’Odg – Napoli). È tra i vincitori del concorso letterario Racconti Sportivi 2019 (Centro Sportivo Italiano – Historica) la cui cerimonia di premiazione si è svolta in occasione della settimana del Salone del Libro di Torino 2019 e al Teatro Arena di Bologna. Si ripete nell’edizione 2020 di Racconti Sportivi. È stato premiato a Maggio 2019 come miglior giornalista under 30 Premio Renato Cesarini 2019. Nominato tra i migliori 30 millennials d’Italia 2019, vincitore del prestigioso Myllennium Award all’Accademia di Francia a Roma in ambito comunicazione sportiva. A settembre 2019 riceve la menzione d’onore al Premio Letterario Città di Ascoli Piceno. Ha all’attivo interventi e docenze in giornalismo e comunicazione in università e master (Roma, Bologna, Ancona, Macerata). A luglio 2020 viene premiato dal Ministro Sport Vincenzo Spadafora al Myllennium Award 2020 (Accademia di Francia – Villa Medici), alla presenza del Presidente Coni Giovanni Malagò, e ottiene il premio speciale di migliore giornalista giovane al Premio Cesarini ad agosto 2020. A Torino vince sempre nel 2020 il Premio Giovanni Arpino – Inedito dedicato alla letteratura sportiva. Vincitore del titolo di miglior blogger sportivo 2020 (Blog dell’Anno 2020) e del premio di giornalismo sportivo Simona Cigana 2020 (Friuli Venezia Giulia). Vince anche la menzione speciale al Premio Internazionale Città di Sarzana e al Premio Santucce Storm Festival sempre in ambito storytelling sportivo. Autore del libro “Happy Hour da fuoriclasse al Bartocci”. 

 

È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente sì, le sfide mi affascinano, per tale motivo ho deciso di partecipare a questo premio così prestigioso legato a tematiche assai delicate. Avendo partecipato nel corso degli anni anche a vari eventi e scritto articoli attinenti alla comunicazione sociale, solidarietà e integrazione sotto vari punti di vista… ho ritenuto opportuno seguire questo premio…

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Probabilmente lo sviluppo sostenibile e i nuovi format applicati alle discipline agonistiche e sportive, anche in tema di eventi e situazioni legati a diversamente abili. Qualche anno fa nelle Marche ad esempio c’è stato un bellissimo evento che ha affrontato in maniera perfetta sport e inclusione sociale ovvero i Giochi Integrati di Scherma  tra atleti normodotati e con disabilità provenienti da tutta Europa.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo tutte quelle tematiche sociali che sul grande schermo sono poco seguite ma che in realtà assumono una fondamentale rilevanza, nonostante non siano appunto sotto i riflettori nazionali.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Lo spazio mediatico riservato a queste tematiche non mi risulta essere esagerato, ma nel complesso buono. Di certo si potrebbe far meglio nei tempi dell’era digitale.

Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Portano inevitabilmente a un nuovo tipo di informazione, una comunicazione bidirezionale e una specifica condivisione di contenuti unita a un tipo di audience digitale spesso ritenuta più consapevole… Il concetto di socializzazione può essere enfatizzato con i nuovi modelli di comunicazione online ma nello stesso tempo occorre stare attenti in quanto si possono venire a creare secondo alcuni, in linea generale, nuove forme di analfabetismo e bullismo.

Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Credo che le parole debbano essere scelte e selezionate, al posto giusto nel momento giusto, ai fini di un’ottimizzazione a 360 gradi.

Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Un giornalista che racconta i fatti in maniera veritiera e senza condizionamenti di varia natura, puntando sull’originalità della news e ottenendo una certa reputation e credibilità, in modo tale che anche gli stessi personaggi siano maggiormente propensi a rilasciare dichiarazioni e interviste.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

È inutile nascondere che esistono testate che mantengono una propria identità strettamente ‘commerciale’, forse dimenticando il ruolo essenziale dell’utente finale. Gli interessi commerciali ‘dominano’ e probabilmente ‘domineranno’ sempre di più nel prossimo futuro. Servizio pubblico in pericolo? No, adesso non esageriamo.

Che significa essere un buon giornalista?

Essere credibili, autorevoli, originali. Essere onesti con se stessi per poterlo essere con i lettori, esercitare l’attività giornalistica con passione e sacrificio, e con la consapevolezza che non si tratta di un privilegio bensì di un servizio da saper esercitare con umiltà e autorevolezza.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite il web, un premio di assoluto prestigio che si ripete ogni anno.

Intervista a Erika Antonelli

 Erika Antonelli ha 29 anni e una laurea magistrale in Interpretariato e traduzione che le ha fatto capire due cose: in tedesco la parola “Heimweh” è intraducibile e io non voglio fare l’insegnante. Prima di iscriversi al master in Giornalismo e Comunicazione multimediale della Luiss (Roma) ha insegnato tedesco e inglese in una scuola di lingue e vissuto tre anni in Austria. A 28 anni è tornata in Italia (vedi “Heimweh” di cui sopra) ed era intrappolata in una professione poco appagante. Ha scelto di iscriversi alla scuola di giornalismo, cosciente che senza borsa di studio non se la sarebbe potuta permettere. Ha vinto la prima e ringrazia il giorno in cui per caso ha letto il bando di iscrizione. Ha fatto uno stage presso CBC, Canadian Broadcasting Corporation. Partecipa a questo premio perché trova che la comunicazione sociale sia la sintesi perfetta del lavoro giornalistico: bisogna scegliere con cura le parole, ma la storia vale la fatica.

 

 È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Certo, perché un premio così specifico ti costringe a focalizzare fin da subito l’obiettivo finale. C’è bisogno che la storia parli sì di malattia, ma anche di buone pratiche e inclusione. È una sfida, perché spesso fa comodo descrivere il malato come una persona per cui si prova compassione, pena. Una narrazione “comoda” ma ingiusta, che questo premio ti stimola a superare.

 Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Forse quello che ho deciso di raccontare per questo premio: la vita di Orlando, un bambino affetto da SMA 2, e della sua mamma. Ho dovuto fare domande difficili, cercando il giusto equilibrio tra il ruolo di giornalista e la sensibilità. È stato un viaggio nel dolore, le speranze e le paure di una famiglia che non avrei mai conosciuto se non avessi scelto di partecipare a questo premio. So che suonerà retorico, forse lo è, ma per me è questa la vera vittoria.

Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Le buone e le cattive pratiche. Non parlo delle news, quelle che consultiamo per aggiornarci sul cellulare o leggiamo sul giornale di carta se abbiamo a disposizione un po’ di tempo in più. Quella è informazione necessaria, a rapido consumo. Parlo di una storia che non invecchi in un giorno, una “dalle gambe lunghe”. Che poi è il tipo di giornalismo che vorrei fare io. Ecco, per queste storie che non invecchiano in un giorno vanno bene iniziative, progetti, persone che possano essere d’ispirazione per chi legge. E, al contempo, il loro contrario: vicende, fatti, esempi di cattive pratiche, che un giornalista deve mettere in luce. Faccio due esempi di cose a cui ho lavorato, per rendere meglio l’idea: il collettivo Donne per strada, nato da un mese per far compagnia a chiunque debba spostarsi durante la notte. E lo sfratto di Vivere La Gioia, una Onlus che a Roma Sud sfamava circa 200 famiglie.

 La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo non trovi uno spazio adeguato, tranne qualche eccezione. Penso per esempio alla sezione del Corriere della Sera, Corriere Buone Notizie. Ritengo sia dovuto alla complessità del tema, che per essere trattato bene deve essere affrontato in tutte le sue sfaccettature.

Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Possono, ritengo, diventare uno strumento. Parlare di una buona pratica, soprattutto in questi tempi, può diventare “virale” e dunque essere d’ispirazione per chi si trova nella stessa situazione. Inoltre, i nuovi media possono anche essere una risorsa per chi vuole raccontare la propria malattia, denunciare una mancanza, dare voce a chi in quel momento non ne ha.

Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Certo che sì, perché le parole sono importanti. E un comunicatore, un giornalista, deve esserne consapevole. Ne è un esempio la sociolinguistica, che in questi tempi si arrovella per creare un linguaggio quanto più possibile inclusivo. È come quando si scrive di un femminicidio e si dice che la vittima è morta “per la gelosia del partner”: non c’è gelosia che tenga a giustificare un omicidio. Lo stesso vale per la comunicazione sociale, perché le parole non sono neutre. “Orlando è inchiodato su una carrozzina”, “Orlando sfreccia sulla sua carrozzina”. Il soggetto è lo stesso, l’immagine che plasmo con le mie parole no.

Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

No, devono essere interessanti. Non credo nel mito del rincorrere la notizia nuova, lo scoop, il retroscena. Preferisco un giornalismo lento, approfondito, che segua gli sviluppi di una storia nel caso siano rilevanti.

Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Prodotti commerciali, temo. Ho l’impressione che ogni testata parli alla sua “bolla” di riferimento, perché uscire dal tracciato è troppo rischioso. Soprattutto se bisogna tenersi stretti i lettori, che con il digitale e i social network sono sempre meno. E questo spesso va a detrimento della figura professionale del giornalista, che non è più “watchdog” ma segugio a caccia di dettagli poco rilevanti.

Che significa essere un buon giornalista?

Secondo me tutto parte dalla curiosità. Un buon giornalista è curioso, “ficca il naso”, va a fondo, segue la sua storia, costi quel che costi. Verifica, tanto. Legge, sempre. Fa le domande giuste. E con la testa non stacca mai. Perché ogni occasione, anche quella più scanzonata, potrebbe fornire lo spunto per un’altra storia.

Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Il Premio l’ho conosciuto grazie all’email che mi ha inviato la segreteria della mia scuola di giornalismo, il master in Giornalismo e Comunicazione multimediale della Luiss (Roma).

V EDIZIONE DEL PREMIO GIORNALISTICO ALESSANDRA BISCEGLIA PER LA COMUNICAZIONE SOCIALE

Ancora aperto il bando per partecipare al Premio giornalistico Alessandra Bisceglia per la comunicazione sociale,
volto a dare seguito a quell’esempio di coraggio, tenacia, profonda motivazione che Alessandra ha testimoniato nella vita, nello studio, sicuramente nella professione giornalistica.

La partecipazione al bando – con scadenza 30 aprile 2021 – è riservata a giornalisti pubblicisti o professionisti iscritti all’Ordine dei Giornalisti, di età non superiore ai 35 anni, nonché a giovani che si preparano a diventare
giornalisti, frequentando Scuole riconosciute dall’Ordine.

Giunto alla sua V edizione, il premio intende quindi riconoscere e stimolare l’impegno profuso dall’informazione al servizio del sociale per entrare nei temi delle malattie rare, delle buone pratiche di integrazione per le persone
diversamente abili e di episodi di alto livello civico in tema di sanità e inclusione sociale, con particolare attenzione all’evidenza scientifica e all’equità nell’accesso alla cura.

In questa prospettiva, il premio – promosso dalla Fondazione Alessandra Bisceglia assieme all’Università Lumsa e all’Ordine dei Giornalisti, con il sostegno di importanti enti e istituti – vuole essere un invito a dare spazio a
una comunicazione sociale che fa narrazione e contronarrazione, non solo intercettando i problemi e i disagi vissuti da categorie vulnerabili, ma anche recuperando uno sguardo diverso sulla contemporaneità per non rimanere prigionieri del senso di impotenza verso il virus dell’indifferenza.

È questo un modo per rafforzare la convinzione che il giornalismo può sempre più distinguersi come vettore di innovazione culturale, capace di incidere anche sul modo di vivere la condizione generata dalla malattia e di ridurre
il disagio legato alle sue ricadute sociali.

Come riportato dal bando, il Premio – articolato in tre sezioni (radio-televisiva; agenzie di stampa, quotidiani e periodici; web) – sarà conferito a pezzi giornalistici pubblicati, trasmessi o diffusi nel periodo compreso tra il
21/02/2020 e il 21/04/2021.

Prof.ssa Donatella Pacelli – Docente ordinario di Sociologia generale presso la LUMSA di Roma e Vicepresidente della Fondazione Alessandra Bisceglia ViVa Ale Onlus

BANDO INTEGRALE (PDf)

SCHEDA DI ISCRIZIONE (PDF)

Contatti – Segreteria organizzativa Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia per la Comunicazione Sociale

premioalessandrabisceglia@fondazionevivaale.org

tel. 0972 81515 – mob. +39 339 1601371 

 

Buona Pasqua!

Che tipo di auguri possiamo fare stavolta?

Siamo in un momento speciale della nostra storia. Uno di quei momenti nei quali ci si ritrova da una parte. O dall’altra.

Noi non siamo con chi aspetta solo la fine della pandemia, la fine dell’”incubo”, per ricominciare — di corsa — tutto come prima.
Siamo insieme a chi si sente parte del mondo, del proprio Paese, della propria città, della propria comunità. Dalla parte di chi non vorrebbe danneggiare l’ambiente, di chi non vorrebbe fare debiti, da scaricare su figli e nipoti. Di chi non accumula ricchezze solo per sé, di chi non confida soltanto nella sua personale salvezza.
Siamo con chi pensa che qualsiasi problema, qualsiasi situazione vada affrontata al fianco degli altri. Che non ci si debba accalcare all’uscita, pestando piedi e dando gomitate.
Siamo con chi pensa che il virus non è un caso sfortunato, non è un castigo di Dio, ma invece, probabilmente, il risultato di comportamenti ripetuti e sbagliati, soprattutto nei confronti della natura. Ogni tragedia può servire ad imparare qualcosa, a fermarsi per riflettere, a rivolgersi verso chi è in difficoltà maggiori delle nostre.

Nel nostro piccolo, la Fondazione ViVa Ale — che è già un modo di dedicarsi a chi fatica — non ha mai mollato, in questo anno, dal marzo del 2020. Abbiamo cercato di organizzarci, secondo la nuova realtà. Abbiamo offerto consulenze online, psicologiche e mediche.

L’Equipe multidisciplinare al Campus biomedico di Roma ha discusso i casi più complessi. Abbiamo avviato la promozione, attraverso piccole video interviste agli autori dei capitoli, della “Guida all’armonia possibile”, rivolta ai caregiver, le persone che si occupano di chi non sta bene.

Il Premio Giornalistico, intitolato ad Alessandra, si è svolto regolarmente, con una cerimonia finale che ha consegnato i premi a distanza, ma tutti i giovani premiati sono intervenuti e hanno illustrato con entusiasmo i loro lavori. Nella stessa giornata si è svolto un convegno valido per i percorsi di formazione dei giornalisti.

La pandemia non deve finire affinché tutto riprenda da dove era stato lasciato. Deve finire lasciando questa
lezione: meno attenzione a se stessi, più sguardo sul prossimo e sulla terra dove viviamo.

Buona Pasqua 2021!

 

Andrea Garibaldi – Giornalista, Presidente di Giuria “Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia”

Illustrazione di Giulio Laurenzi – “I colori freddi e le forme geometriche del prato e dello sfondo, di forte impatto grafico, non riescono a bloccare la forza della volontaria della Fondazione. Il calore del cuore arriva sempre, nonostante tutto.”