Intervista a Domenico Gramazio

Domenico Gramazio è nato 35 anni fa a Foggia ed è giornalista professionista dal 2017. In possesso di laurea magistrale in Scienze della Comunicazione, conseguita all’Università di Salerno nel 2011, ha mosso i primi passi nel giornalismo a Salerno, città dove si è trasferito per studio dal 2004 e dove vive tutt’ora. Pubblicista dopo l’esperienza presso il quotidiano Il Nuovo Salernitano diretto dall’attuale deputato Gino Casciello, ha conseguito altre esperienze nel mondo dell’informazione. Quella più importante resta presso la redazione Metropolis, quotidiano a diffusione regionale tra le province di Napoli e Salerno, in cui ha trovato lavoro stabilmente dal 2012 al 2016. Dal 2017 è entrato a far parte del quotidiano La Città: prima come collaboratore esterno, poi come redattore web ed infine come redattore del quotidiano leader dell’informazione in provincia di Salerno.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

 Assolutamente sì. La diffusione e lo sviluppo di una cultura della solidarietà e dell’integrazione delle persone diversamente abili penso che debba essere una priorità per noi giornalisti.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia dello scafatese Ferdinando Muollo, da mandante di un omicidio di camorra, condannato a 12 anni e 6 mesi con sentenza passata in giudicato, a coordinatore degli aiuti, con l’aziende di famiglia, a ospedali e associazioni per fronteggiare l’emergenza coronavirus.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 Le storie. Raccontare quello che la gente non conosce e che possa dare un segnale di speranza.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Sempre sul quotidiano “La Città” (www.lacittadisalerno.it).

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Oggi quello che magari era un tabù oggi viene sdoganato senza problemi. E dunque anche la comunicazione sociale ha tratto benefici in questo.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Il limite è nell’evitare che il lettore venga turbato da termini inopportuni nel contesto in cui ci si va a muovere.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Sempre.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 La risposta è nel mezzo. Sono un po’ l’una e un po’ l’altra. Perché in primis rispondono a gruppi aziendali e dunque si muovono in certi canoni. Del resto, però, l’informazione ha la sua vocazione che non può essere snaturata dalle logiche di mercato. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Essere onesti con se stessi e con i lettori, cercando di scrivere sempre quello che si vede con i propri occhi. Avvicinandosi sempre più alla realtà dei fatti, senza snaturarla. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Attraverso una ricerca su google.

 

 

Intervista a Filippo Gozzo

Filippo Gozzo nasce il 14 maggio 1996 a Ferrara. Appassionato di sport, soprattutto di calcio, scopre il giornalismo al liceo, quando partecipa alla redazione del giornalino d’istituto. Nel 2018 si laurea in Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio all’Università Ca’ Foscari di Venezia, con una tesi sulle presidenze Chávez e Maduro in Venezuela. Nel 2020 ottiene la laurea magistrale in Politiche Europee e Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con una tesi sulle relazioni diplomatiche tra le dittature sudamericane degli anni ’70 e la presidenza Nixon negli Stati Uniti. Sempre nello stesso anno svolge un periodo di stage presso le trasmissioni di cronaca e informazione di Telelombardia. Vive da 3 anni a Milano e oggi è giornalista praticante. Frequenta la Scuola di Giornalismo Walter Tobagi e scrive sul suo blog personale di approfondimento sportivo “Var Sport”.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Non è una sfida, è un impegno sociale. Se si scrive di questo tema in modo naturale, sentito e coinvolto, non è mai un peso o una difficoltà.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Probabilmente proprio il caso che presento per il Premio. È stata una fortuna poter parlare con chi, ogni giorno, sostiene, aiuta a crescere, coinvolge ragazzi con disabilità cognitive e gli trasmette la passione per lo sport e l’importanza del gruppo. È un’esperienza che fa comprendere quanto sia essenziale non dimenticarci degli altri.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 Qualsiasi cosa che incida sulla vita delle persone, sia in senso positivo che in quello negativo. Ci devono essere limiti, ma non si può privare il lettore della conoscenza di ciò che lo circonda.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Non a sufficienza. Spesso si privilegiano altri argomenti e la Comunicazione Sociale viene relegata in fondo ai quotidiani. Per fortuna esistono riviste che mettono in risalto tematiche sociali.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Con l’arrivo dei Mass e New Media è cambiato il modo di fare comunicazione sociale. L’impatto visivo delle tematiche affrontate rende l’argomento più “emotivamente” interessante, profondo e comprensibile. L’utilizzo di campagne pubblicitarie influisce in modo sempre maggiore sullo sviluppo di determinati argomenti, comportamenti e atteggiamenti. Porta all’attenzione del lettore o dell’ascoltatore tematiche che possono sembrare lontane se non lo coinvolgono direttamente.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

L’importante è che i concetti siano giusti e affrontati nel modo più corretto possibile. Certo è che esistono termini appropriati, più sensibili e indicati per parlare di alcuni argomenti. Ma fondamentale è il rispetto dei soggetti di cui si sta raccontando la storia. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. A volte si possono affrontare le stesse notizie da angolature differenti, attraverso spunti originali che possano fornire una visione d’insieme, anche alternativa, della notizia trattata. In ogni notizia ci sarebbe sempre qualcosa in più da dire di quello che si scrive e si racconta. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate sono prodotti commerciali che svolgono un servizio pubblico. Il problema sorge quando gli interessi economici che derivano dal prodotto influenzano il servizio che la testata svolge a livello sociale. In questi casi prevale la componente economica rispetto a quella sociale.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Un buon giornalista ha il compito di informare il lettore in modo completo, semplice, coerente ed efficace. Deve essere bravo a mettere a conoscenza il pubblico di quello che potrebbe interessargli. I giudizi, le opinioni, le idee sono innate nel mestiere del giornalista, non si può pretendere che comunichi in modo totalmente asettico. Ma deve saper discernere tra un’opinione d’interesse o meno del lettore. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite una comunicazione della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano.

 

Intervista a Gloria Giavaldi

Pubblicista appassionata, da sempre interessata al sociale, crede nel giornalismo capace di produrre risultati concreti. Scrive storie e raccoglie pezzi di vite coraggiose. Vivendola tutti i giorni sulla propria pelle, ama descrivere la diversità con spirito di verità, convinta che il cambiamento culturale tanto richiesto passi necessariamente dalle parole. Attualmente collabora con la testata web Crem@online, partecipa al progetto Sogna Forte del noto giornalista Iacopo Melio e svolge attività di comunicazione e ufficio stampa per alcune associazioni operanti nel settore della disabilità.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

 No, è un piacere ed un impegno nel quale credo molto. Per me significa provare a raccontare uno spaccato di vita quotidiana che sperimento tutti i giorni sulla pelle. Nonostante questo, penso che ogni storia mi offra l’occasione per crescere e migliorare, dal punto di vista umano, prima che professionale. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

 Ogni storia è importante, perché differente ed unica. Tutte, però, sono accomunate dal coraggio di riuscire, di andare avanti abbracciando gli ostacoli. È questo il più grande insegnamento che ogni giorno porto con me.  Quella di Francesca e Jacopo, che ho scelto di candidare al concorso, mi ha colpito per la delicata schiettezza con cui ci accompagna alla scoperta di un amore silenzioso ma vero, che lega le persone oltre ogni differenza.   

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

 Il nostro è un lavoro a servizio della verità. Raccontare la verità nell’ambito della comunicazione sociale significa scavare, andare oltre il pregiudizio per far emergere la ricchezza della diversità, lontano da ogni forma di pietismo. Non esistono solo le difficoltà o i meritati successi sportivi degli atleti paralimpici, ma anche storie di ordinaria determinazione rispetto alle quali è un dovere non restare indifferenti.  

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma non abbastanza. Viene considerata ancora una tematica ‘di nicchia’. Mi auguro che la situazione possa cambiare, convinta come sono che il cambiamento culturale tanto richiesto passi necessariamente dalle parole. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

 Entrambi hanno contribuito alla diffusione di storie ed esperienze, ma credo che la strada da fare sia ancora molta. Al momento la disabilità viene concepita ancora come una ‘cosa degli altri’, degna di reale considerazione solo quando ci riguarda da vicino. Spesso le narrazioni proposte sono superficiali, dense di parole ‘sbagliate’, che non descrivono le persone, ma la loro disabilità. E le persone non sono (solo) la loro disabilità.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Assolutamente sì, sono quelle che rispettano le persone e descrivono la realtà per ciò che è, senza cadere nel pietismo, né nell’abilismo. Sono quelle che raccontano la verità. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

No. Le storie sono sempre nuove anche quando non presentano una notizia attuale. Basta non stancarsi di guardarle da una prospettiva sempre nuova. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

 Svolgono un servizio pubblico fondamentale, del quale a volte manca la consapevolezza. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

 Un buon giornalista è curioso, attento, appassionato. Pesa le parole, evita il sensazionalismo. È obiettivo, empatico e ama ascoltare. Non resta in superficie, mira al fondo o, spesso agli angoli: lì si nascondono le storie migliori. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 Ho conosciuto questa bella iniziativa capitando per caso sul sito web.

Intervista a Sara Fiumefreddo

Sara Fiumefreddo, 20 anni, nata e residente a Molfetta (BA), il 01/02/2001, ha frequentato il Liceo Classico Leonardo da Vinci di Molfetta, dove ha potuto approfondire la cultura umanistica in tutti i suoi aspetti, per poi iscriversi, nell’anno accademico 2019/2020, al corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione all’Università degli studi di Bari Aldo Moro. Dal 2016 ha collaborato con il periodico mensile Quindici Molfetta e con il quotidiano Quindici on-line. A giugno 2020 è diventata giornalista pubblicista.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Partecipare ad un Premio Giornalistico di un tema così specifico rappresenta una sfida, ma soprattutto un arricchimento.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia che ho raccontato che mi ha segnata maggiormente riguarda la testimonianza di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino e ospite di un’assemblea di istituto organizzata dal mio istituto superiore, il Liceo Classico “Leonardo da Vinci” di Molfetta.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Oggetto d’informazione è tutto ciò che ha rilevanza sociale e risponde al criterio dell’interesse pubblico. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

A mio parere sì. Negli ultimi anni, in linea con le politiche europee, si dà sempre più spazio a questo aspetto della Comunicazione. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

I mass media e i new media possono rappresentare un’ottima opportunità per la diffusione ad ampio respiro di notizie sociali. Un abuso degli stessi è una delle principali cause di disinformazione.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Nella Comunicazione esistono parole per trattare la verità.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

In generale, la risposta è affermativa, specie se si tratta di testate telematiche che devono pubblicare le notizie in tempo reale. La risposta può variare per quel che concerne i periodici.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Non tutte. La serietà e la qualità dell’informazione si distinguono ancora.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Essere un buon giornalista significa coltivare l’amore per la professione, e in particolare per la verità, in qualsiasi circostanza.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio attraverso una ricerca sui motori di ricerca inerente a premi destinati ai giornalisti.

 

Intervista a Beppe Facchini

Beppe Facchini, giornalista professionista freelance. Corrispondente da Bologna per Fanpage.it e RiciclaTv, direttore responsabile di Teatro Magazine e collaboratore del Corriere della Sera-Bologna e La7 (per la trasmissione Tagadà). In passato ha diretto Parmanews24 ed ha collaborato con la Gazzetta di Parma, AlaNews, Agenzia Vista, ParmaSera, Pubblico, Fps Media, Radio Città Fujiko, Pagina99 e L’altra Molfetta. Autore del libro “Elvio Ubaldi, la politica nel destino” (2014 Parma, Ed. Battei), vincitore nel 2015 del Premio Marco Nozza, giornalismo investigativo e d’informazione critica.

  

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Decisamente si, si tratta di temi spesso poco trattati, anche se da qualche tempo le cose pare che stiano cambiando. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Sinceramente non saprei scegliere. Ho avuto la fortuna e la possibilità di raccontare tante storie forti. In quest’ultimo anno accedere nelle terapie intensive, in piena emergenza sanitaria, è stata probabilmente una delle esperienze più forti da quando ho cominciato a fare questo lavoro.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

La diversità, intesa come risorsa.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Fortunatamente sempre di più, anche se il modo di raccontarla forse è ancora migliorabile.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Spesso sono effetti positivi, rendono più veloce il diffondersi di storie incoraggianti e buone pratiche.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Si, le stesse dei un corretto giornalismo. Spesso dimenticate. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Sarebbe sempre meglio così.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Vorrei poter dire che sono sempre servizi pubblici, ma purtroppo non è così.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Essere sempre curiosi, corretti e chiari.

Intervista a Greta Dircetti

Greta Dircetti è nata a Padova nel 1995 e si è laureata in Governo delle amministrazioni all’università di Padova, in triennale e in Mass media e Politica all’università di Bologna, in magistrale. È una giornalista praticante del XV biennio della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia e dal 2017 collabora con Il Giornale di Vicenza per la cronaca. Ha seguito anche le pagine di economia e spettacolo. È stata stagista presso l’associazione Scambi Europei per la parte social e per il comune di Bassano del Grappa come ufficio stampa. Ha seguito la campagna elettorale del comune di Forlì per la parte di comunicazione e gestione dei social. È membro del consiglio direttivo dell’associazione Fuori Onda, formata da ragazzi sotto i 30 anni che si occupano di fare divulgazione nelle scuole, ma organizzano anche eventi pubblici in cinema e teatri per coinvolgere la cittadinanza.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente è una sfida, ma allo stesso tempo è una facilitazione perché con una tematica molto vasta ed eterogenea ci si potrebbe perdere e non centrare il focus. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia che ho scelto di raccontare mi ha colpita molto per la vicinanza all’ente. Conoscevo la Fondazione e le persone che ci gravitano attorno e non è stato semplice scegliere una sola storia, perché ce n’erano davvero molto che avrei voluto far conoscere. Questo rispetto al Premio. Rispetto ad altri articoli e servizi che ho realizzato invece, non ne saprei scegliere uno soltanto. Ogni storia che ho raccontato mi ha lasciato qualcosa e quello che mi colpisce è sempre la fiducia o non fiducia che gli intervistati hanno nei confronti del giornalista. Non è tanto difficile scrivere una storia, quanto far in modo che l’interlocutore si fidi di te e si senta libero di parlare. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto può essere oggetto di informazione, perché ci sono moltissime sfaccettature di una sola notizia, informazione e avvenimento. Qualcosa rientra in cronaca, sport o spettacolo, tutto può essere declinato anche perché se considerassimo notiziabile solo ciò che è utile allo spettatore/lettore, la scelta di cosa pubblicare sarebbe troppo soggettiva. Questo non significa però che tutto abbia la stessa importanza o che certi tempi non vadano trattati con particolare tatto e attenzione. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

La comunicazione sociale non fa notizia, come ad esempio la cronaca, perciò lo spazio che le viene dedicato è marginale, a meno che non si inserisca o abbia un aggancio nella cronaca stessa. La comunicazione sociale è spesso declinata come pezzo speciale o approfondimento. Ha una sua collocazione specifica e uno spazio più o meno marginale all’interno delle testate, dipende dal tipo di testata e, come detto, dall’aggancio o meno con la cronaca. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Effetti positivi e negativi come per qualunque mezzo di comunicazione. Non è tanto lo strumento in sé, ma come lo si utilizza. M.M e N.M hanno sicuramente avvicinato lo spettatore/lettore a realtà che prima erano poco conosciute o del tutto sconosciute. Hanno utilizzato forme narrative e chiavi di lettura inedite, grazie alla flessibilità dello strumento: video, documentari, un mondo web in fermento, una comunicazione immediata. Le logiche di quello che è notiziabile sono però rimaste le stesse del pre-digital, perciò la comunicazione sociale si trova comunque ad avere problemi di spazi dove potersi inserire. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Esistono parole adeguate al contesto che stiamo raccontando. Ogni notizia ha il suo linguaggio specifico ed è importante conoscerlo. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Dipende dallo scopo ultimo. Se l’obiettivo è quello di sensibilizzare su una questione specifica che esiste già da tempo, la notizia non potrà essere nuova. Può però essere trattata in modo nuovo, per aggiungere qualcosa alla narrazione, non stancare chi la fruisce e mantenere alta la soglia di attenzione su quel tema, su quella problematica. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Credo che dipenda dalla testata. Alcune sono dichiaratamente schierate a livello politico, altre a livello commerciale e di branding, non conta la notizia in sè, ma l’azienda che chiede di pubblicarla. Penso che sia legittimo farlo da parte di una testata, purchè venga reso palese al lettore. L’importante è che il lettore non venga ingannato e che la testata sia coerente con la linea che ha scelto. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Saper trovare una storia e raccontarla nel modo più veritiero e coinvolgente possibile, ma non limitarsi a questa e trovare la notizia dentro la storia. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Me ne ha parlato la direttrice della mia scuola di giornalismo.

Intervista a Giulia Diamanti

Giornalista professionista. Scrive principalmente per Primopiano. Si occupa anche di storie – quelle delle persone – e di economia, ma solo quella circolare.
È dipendente da tastiera, ma la narrazione che preferisce è quella raccontata attraverso l’obiettivo di una macchina. La videocamera le fa lo stesso effetto di una calamita al frigo: non riesce a staccarsi.
Laurea in Comunicazione-Lettere e Filosofia, Master in Giornalismo (Iulm).
Stage: Tgcom24 e La Repubblica. Collaborazioni: le più disparate.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Per chi decide di approcciarsi a questo mestiere la sfida avviene ogni giorno. Provare a raccontare tematiche specifiche utilizzando termini semplici senza cadere in ragionamenti semplicistici o, al contrario, usando vocaboli tecnici scongiurando il rischio dell’incomprensibilità da tecnicismo, è sicuramente insidioso. Quando il tema è quello della salute allora le precauzioni non sono mai abbastanza. Ci sono almeno due responsabilità alle quali un giornalista che si occupa di comunicazione sulle malattie rare non può venire meno: evitare sensazionalismi e fornire un’informazione il più completa possibile che non crei false aspettative. Infine, l’ultima sfida è nascosta nei valori notizia. Se la rilevanza di un fatto è tanto maggiore quanto più grande è il numero di persone che la notizia coinvolge direttamente, allora come rendere notiziabile una storia sulle malattie rare che – per fortuna – non riguardano la maggioranza della popolazione? Semplice, perché la malattia sfiora ognuno di noi. In altre parole non sei malato raro finché non lo diventi.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia che mi è rimasta più impressa per la forza della protagonista è stata quella di Lola Delnevo, climber costretta in sedia a rotelle dopo essersi rotta la colonna vertebrale in un incidente durante una scalata in Trentino. Lola ha il sorriso stampato sulla faccia e anche se le gambe non collaborano, non ha smesso di vivere la montagna come un tempo. Ha terminato l’ascesa a El Capitan in California ed è tornata a sciare, facendosi aiutare dagli amici. Come un Fitzcarraldo moderno ha spostato le montagne con la forza dei suoi sogni.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto PUO’ essere oggetto di informazione. Quello che non DEVE venire meno è il servizio pubblico. Il giornalista non deve mai dimenticare che il suo fine ultimo è l’utilità sociale e l’obbligo della verità per rispetto del lettore.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

L’obiettivo della comunicazione sociale è sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un problema sociale. Il giornalista deve guidare la comunità in realtà sociali meno appetibili e più scomode e che perciò non sempre trovano spazio sulle testate.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Il sistema dei Mass Media e New Media è talvolta accusato di veicolare messaggi e manipolare, anziché informare. Il compito del giornalista è quello di portare i fatti a conoscenza dell’opinione pubblica. Solo così, il lettore, adeguatamente informato, può costruirsi una propria opinione.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Non esistono parole giuste o sbagliate nel giornalismo. Esistono quelle corrette. Joseph Pulitzer ha detto che le tre cose più importanti nel giornalismo sono: l’esattezza, l’esattezza, l’esattezza. Essere puntuali nella scelta dei vocaboli, maneggiarli con cura come si fa con la merce preziosa. Essere artigiani della parola non significa compiacersi del proprio esercizio di stile, ma vuol dire non cadere nel pressappochismo.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Le notizie da divulgare e raccontare non necessariamente devono essere nuove, ossia appena sfornate come un fatto di cronaca con la data di scadenza già predefinita. Ma devono avere all’interno una componente di novità: “la notizia è l’uomo che morde il cane, non viceversa”, avrebbe detto John B. Bogart, caporedattore del New York Sun.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Oggi le testate sono più assimilabili a prodotti commerciali, che a servizi pubblici. La crisi del giornalismo è ormai un mantra e per “salvarsi” le testate hanno messo da parte quei valori alla base della professione, a scapito dell’immagine del giornalista sempre più screditata. Il giornalismo delle marchette e dell’embed social del personaggio noto di turno riuscirà forse a sopravvivere, ma è con la credibilità, la qualità e l’affidabilità che l’informazione potrà vivere ancora a lungo.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

La caratteristica che fa del giornalista un buon professionista è quella di essere curioso. Ripulendo la parola dalla sua accezione più gossippara di ficcanaso, intendo quell’abilità che spinge ad andare oltre le apparenze, ad analizzare la complessità della realtà, a non accontentarsi. A non limitarsi ad andare dentro la notizia, ma a scovare anche dietro la notizia. Un buon giornalista deve essere chiaro e per farlo deve usare frasi semplici, e deve essere onesto. Il raggiungimento della verità giornalistica a cui è chiamato chi si affaccia al mestiere si ottiene con un certo limite di approssimazione rispetto alla verità assoluta, ma è l’onesta intellettuale ad assottigliare questo scarto.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del premio navigando sui siti dell’Fnsi e dell’Odg che hanno una sezione dedicata ai premi giornalistici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista a Sara Del Dot

Sara Del Dot nasce a Trento il 9 settembre 1991. Si diploma al liceo classico e si sposta a Bologna, dove consegue la laurea triennale in Lettere moderne e successivamente la magistrale in Scienze della comunicazione pubblica e d’impresa. Nel 2016 vince il premio Roberto Morrione per il giornalismo d’inchiesta con un lavoro sull’emergenza abitativa di Bologna. A Milano frequenta il master in Giornalismo presso la Scuola Walter Tobagi, grazie al quale ha occasione di effettuare esperienze lavorative in redazioni come Class Life e News Mediaset. Iscritta all’albo dei professionisti dall’estate del 2019, attualmente lavora per Ohga, testata online di Ciaopeople editore, in cui si occupa di salute, ambiente e di tematiche legate al mondo del sociale.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Partecipare a un premio con un tema così specifico è una sfida, certo, perché spinge a misurarsi con un genere di comunicazione che coinvolge prima di tutto gli esseri umani. Ritengo anche che sia un modo interessante di riunire e conoscere il lavoro di giornalisti che si occupano di questi temi, raccogliendo storie e tematiche edificanti per tutti. Il mondo ne ha davvero bisogno.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Ogni volta che qualcuno mi permette di accedere alla sua storia personale, alla sua vita, alla sua casa, al suo vissuto lascia in me un segno indelebile. Sono questi momenti che rendono il luogo in cui ci muoviamo un posto più accogliente e più umano. Dobbiamo rendere onore a queste possibilità e fare il nostro lavoro nel modo migliore possibile, con tutta la sensibilità di cui disponiamo. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo che prima di tutto venga l’individuo, l’essere umano. L’oggetto di informazione deve essere tutto ciò che può migliorare la sua condizione, sia esso una denuncia o un modello virtuoso da cui prendere ispirazione. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Potrebbe averne sicuramente di più, ma siamo sulla buona strada.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

 La consapevolezza che raccontare situazioni anche di fragilità o di paura, di difficoltà ma anche di speranza significa rappresentare ciò che sta attorno a noi ogni giorno, tutto il giorno, ma che semplicemente spesso non riusciamo (o non vogliamo) vedere.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Le parole sono importantissime! Sono il codice su cui si basano le nostre interazioni e soprattutto la nostra professione. Saper comunicare nel modo giusto significa utilizzare le parole giuste.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Credo che una stessa storia possa essere raccontata in tanti modi diversi. La vera sfida è saperne raccontare ciò che può davvero insegnare e trasmettere qualcosa.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici? 

Non penso esista una risposta netta a questa domanda. Sicuramente sono entrambi. La cosa importante è riuscire a equilibrare il ruolo di servizio pubblico con le necessità commerciali per consentire ai contenuti di qualità di emergere sugli altri.

  1. Che significa essere un buon giornalista? 

Dal mio punto di vista, un buon giornalista dà voce a chi non ha voce, racconta la realtà per come è senza forzature, capisce quando qualcosa non va e cerca di dare il suo contributo per migliorare una vita, una realtà, un problema. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Anni fa, tramite passaparola tra giornalisti interessati a questi temi.

Intervista a Giulia Dallagiovanna

Giulia Dallagiovanna si occupa di salute Ohga.it, un magazine attento all’informazione scientifica autorevole e di qualità. Ci è arrivata dopo una laurea in Lingue e Letterature Europee e Americane all’Università di Pavia e un master alla Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano. Ha scritto per TgCom24.it e The Post Internazionale. Adesso approfondisce argomenti di medicina e alimentazione, cercando di integrare le storie delle singole persone con la spiegazione di uno specialista (e viceversa), in modo che chi legge possa farsi un’idea completa e concreta di cosa significhi convivere con malattie poco conosciute, quando non addirittura rare.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

 Sì, sicuramente è una sfida. Non tanto perché il tema è particolarmente specifico, quanto più perché non è semplice raccontare storie di persone affette da malattie rare cercando di comunicare cosa significhi conviverci ogni giorno, cosa provino al di là di qualsiasi pietismo e quali siano i loro reali bisogni. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

 Sicuramente le storie contenute in questo articolo (Una vita di infezioni e ricoveri: la sindrome da Iper IgM e uno studio italiano che dà speranza) mi hanno segnato. Bambini che assumono farmaci quasi quotidianamente e fin dai primi anni di vita, madri che convivono con una terribile domanda “potrebbe essere colpa mia?”, e la consapevolezza che, nei casi più gravi, l’aspettativa di vita potrebbe rivelarsi davvero molto breve. Ma sicuramente quello che più mi ha colpito è stata la dignità e la totale assenza di lamentele con la quale queste due famiglie hanno affrontato e continuano ad affrontare una simile esperienza.  

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Quando si parla di questi argomenti, credo che oggetto di informazione debba essere la malattia in sé: il fatto che esista prima di tutto e poi un esempio concreto di cosa significhi doverci avere a che fare tutti i giorni. É la ragione per cui su Ohga uniamo sempre la voce di uno o più specialisti a quella dei pazienti. Solo così il lettore può rendersi davvero conto di tutto ciò che comporta una diagnosi di malattia rara.  

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Credo che la comunicazione sociale esista e si sia ritagliata uno spazio sulle testate giornalistiche. Ma non è detto che venga sempre portata avanti nel modo migliore. A volte si utilizzano le storie per toccare la parte più emotiva del lettore, con il rischio che si finisca quasi per raccontare una favola, più o meno a lieto fine. Inoltre, la comunicazione sociale deve un po’ sgomitare per farsi spazio tra tutte le altre notizie e gli altri argomenti di una singola testata. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

I Mass Media possono avere un effetto positivo, perché possono fungere come cassa di risonanza proprio per storie o problematiche che altrimenti rischierebbero di non riscuotere sufficiente attenzione. Come ho detto prima, però, il rischio è quello di puntare più sulle emozioni che un racconto o una notizia possono risvegliare, piuttosto che sul problema in sé.  

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione? 

Credo che sia molto importante trovarle, le parole giuste. E che queste dovrebbero adattarsi sempre alla storia o al contesto che vanno a descrivere. Non credo esista una sorta di glossario da seguire, ma sicuramente ci sono termini di cui si tende ad abusare. Un esempio è sicuramente “eroe”. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove? 

Quando si parla di notizie vere e proprie, e quindi di attualità, sì, credo che debbano essere nuove. Ciò non toglie però che non si dovrebbe rincorrere la notizia a scapito del contenuto. E quindi è meglio lasciar passare un giorno in più, ma raccontare meglio un avvenimento, piuttosto che avere fretta di pubblicare e rischiare di risultare troppo superficiali. Purtroppo, non sempre è possibile ragionare in questo modo. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici? 

Secondo me le testate sono e devono continuare a essere servizi pubblici. Purtroppo, però, la logica di mercato esiste anche in questo settore e la necessità di fare numeri a volte può offuscare quella di pubblicare contenuti di qualità.  

  1. Che significa essere un buon giornalista? 

Difficile rispondere a questa domanda. Mi hanno sempre detto che essere un buon giornalista significhi sapersi fare e saper porre le giuste domande. Sono d’accordo con questa affermazione e credo, in generale, che un buon giornalista sia chi guarda a un fatto e si fermi un attimo a riflettere, per saper trovare la giusta distanza con la quale raccontarlo.  

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 Conoscevo già il Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, perché avevo incrociato il bando qualche volta senza mai partecipare. L’ho conosciuto inoltre attraverso la mia collega, Sara Del Dot, che lo scorso anno ha partecipato.

Intervista a Ottavio Cristofaro

Ottavio Cristofaro è laureato in Scienze della Comunicazione e specializzato con Laurea di specializzazione in Comunicazione e Multimedialità presso l’Università degli Studi di Bari con il massimo dei voti. Giornalista e scrittore opera nel campo dell’organizzazione di uffici stampa sia in ambito culturale e con particolare riferimento al campo politico con esperienze nazionali, regionali e locali. È direttore del portale web Lo Stradone ed è stato direttore di Puntoradio. Gode di diverse esperienze da docente formatore, sia presso istituti superiori secondari che presso istituzioni accademiche. È senior advisor per le imprese sotto il profilo della comunicazione aziendale. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche ed è giornalista per La Gazzetta del Mezzogiorno.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

La vera sfida, in realtà, è quella di restituire quotidianamente una dimensione umana alla nostra attività giornalistica. Dietro ogni storia che raccontiamo ci sono sempre delle persone, con le loro vite e le loro famiglie. Quella della dimensione sociale è un’attenzione che il giornalismo deve porre sempre al centro del proprio agire. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Ho avuto la fortuna di raccontare la storia del Capitano dei Carabinieri “Ultimo”, con i suoi risvolti umani e sociali, oltre alle questioni già note più legate ai fatti di cronaca e mafia. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Potenzialmente lo è tutto. Compito del giornalista è quello di tenere sempre a mente i criteri di utilità sociale e rilevanza pubblica che dovrebbero guidare l’azione professionale. Nel settore della comunicazione sociale, invece, il compito è più difficile, in quanto diventa fondamentale la capacità di essere integrati all’interno dei territori, e qui diventa fondamentale il ruolo delle fonti di prima mano. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Credo però che ci sia un cambio di marcia in merito, con un’attenzione maggiore su questi temi, che però necessitano anche di una adeguata formazione continua per gli operatori dell’informazione. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

A mio avviso rappresentano una marcia in più, in quanto hanno la possibilità da un lato di facilitarne la diffusione, dall’altro – soprattutto i social network – contribuiscono ad allargare la platea di fonti da cui poter attingere a questo genere di informazione. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Accuratezza, Brevità, Completezza: è questo l’ABC della comunicazione giornalistica. Per il resto non credo ci siano parole “giuste” o “sbagliate”. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non per forza. L’importante è sempre il racconto di quella notizia, il contesto in cui si svolge e talvolta è importante anche l’autorevolezza di chi le racconta. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Una cosa non esclude l’altra. Possiamo dire che sono sia prodotti commerciali che servizi pubblici. Alcune testate scelgono di essere solo prodotti commerciali, ma credo che nel lungo periodo questa non sia mai la scelta giusta. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Il buon giornalista è una persona curiosa, che sa mettere da parte i pregiudizi personali, disposto a studiare e non smettere mai di imparare. Lo scorso anno ero a una lezione con dei bambini di scuola materna. A loro ho rivolto questa stessa domanda. Mi ha risposto Tommaso, un bambino di quasi 5 anni, il quale mi ha detto che “i giornalisti raccontano il mondo”. La sua purezza e la sua ingenuità mi hanno fatto capire che questa è la definizione più bella che si possa dare a questo mestiere. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

L’ho conosciuto l’anno scorso, attraverso il sito dell’ordine dei giornalisti della Puglia.