Intervista a Lorenzo Rampa

Nato a Monza, classe 1993. Brianzolo nello spirito, ma con la Sardegna nel cuore, cresciuto a pane, libri e pallone, da sempre fanatico della cultura pop. Un’insaziabile curiosità ed una profonda passione per le storie lo hanno condotto all’amore per il giornalismo, sbocciato definitivamente dopo uno stage presso il Giornale di Monza. Accantonando gli studi per una carriera da biologo marino, si è laureato in Scienze della Comunicazione a Pavia. Il richiamo del mare tuttavia permane, facendosi immergere ogni volta che ne ha l’occasione. Nel resto del suo tempo libero si divide tra lo scrivere romanzi, il video making e l’ossessione per documentari.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente sì. Personalmente sono alla mia prima esperienza in assoluto in un bando di questo genere ed è la prima volta che affronto un articolo di taglio scientifico. Penso che di per sé l’ambito della scienza rappresenti una sfida nella sfida, inoltre, trattare di temi delicati e poco conosciuti come quello delle malattie rare è sempre complesso. Ma proprio per questo ritengo che sia fondamentale sensibilizzare su simili questioni, dandovi risalto, con un occhio di riguardo per un’informazione più esatta e precisa possibile, dogma imprescindibile quando si trattano argomenti scientifici. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La scelta della malattia rara del Cheratocono non è casuale. Avendolo sperimentato sulla mia pelle, sono stato fortunato ad aver incontrato persone competenti che mi hanno saputo aiutare per tempo. Prima di allora non avevo mai sentito parlare di una malattia simile, che, anche se rara, colpisce sempre più giovani e giovanissimi e purtroppo gode di pochissima visibilità nazionale. Non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se il mio oculista non avesse riconosciuto il problema. Ho scelto di raccontare questa subdola e silenziosa malattia proprio perché i controlli e la prevenzione sono decisivi, e possono evitare che la vita di tanti giovani venga sconvolta irreversibilmente. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

L’informazione può e deve essere prima di tutto utilità sociale. La divulgazione di un argomento di interesse pubblico è sempre utile e rilevante per i lettori nel contesto del presente. Se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, non fa rumore. Allo stesso modo se un’ingiustizia o una disgrazia avvengono senza che nessuno vi assista e, soprattutto, ne parli, si può davvero dire che siano mai accadute? In una società basata su principi a tutela dei suoi membri più deboli o più sfortunati, diventa anche indispensabile dare voce alle storie di pochi, che possono essere d’esempio per molti e sensibilizzano la comunità. Così come sono altrettanto meritevoli di essere oggetto di informazione le possibili iniziative, campagne e raccolte generate dal loro racconto. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Ritengo che, fortunatamente, la comunicazione sociale sia ancora un tema abbastanza ricorrente sulle testate nazionali principali. Anche se, a mio avviso, potrebbe e dovrebbe avere ancor più risalto. E non sempre, purtroppo, questo tipo di comunicazione viene riportata con grande cura e attenzione o con sufficiente approfondimento. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

L’arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione e dei media digitali ha stravolto completamente la realtà di tutto il mondo, intaccando ogni aspetto della comunicazione nella società moderna. La grande rapida diffusione dei social network ha giovato alla comunicazione sociale, garantendo un facile accesso ad una platea enorme e una maggior possibilità di sensibilizzare le persone. Ma allo stesso tempo, sono sorti anche molti aspetti negativi, come la tendenza al sensazionalismo, alla frettolosità, alla mancanza di verifiche e all’eccessivo uso della componente emotiva. Il tutto a discapito dei principi di completezza e accuratezza. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Più che parole corrette, penso si possa parlare di parole chiave o meglio requisiti imprescindibili, di cui il concetto di comunicazione non può fare a meno. Efficacia, chiarezza, completezza, correttezza, tempestività e contestualità, ma soprattutto utilità, ovvero deve essere ben chiaro lo scopo della comunicazione, che deve sempre stimolare l’interesse del proprio interlocutore. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono  essere sempre nuove?

 Si, o quantomeno devono avere un modo nuovo di concepire gli argomenti trattati, devono aggiungere qualcosa e dare una nuova visione delle cose. Stimolare l’interesse del lettore è uno dei punti chiave di cui una notizia non può fare a meno. A volte è necessario ribadire o insistere su certe notizie, per esempio nel caso in cui politica e opinione pubblica si dimostrino restii ad affrontare inchieste o ingiustizie, col rischio che passino velocemente in secondo piano. La stampa in questi casi può fare la differenza, ricordando ai cittadini i fatti accaduti e dando loro visibilità con costanza nel tempo. Così facendo viene mantenuta la coscienza e soprattutto la memoria delle persone e si può evitare che gravi fatti scomodi vengano insabbiati per volere di attori esterni influenti. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Credo che la stampa del presente sia un compromesso tra i due estremi. Se è vero che da un lato è la pubblicità a mantenere economicamente in piedi queste realtà nel nostro Paese, l’obbligo morale della funzione di servizio pubblico ai cittadini rimane il concetto fondamentale del giornalismo, senza il quale si perderebbe sia lo scopo che il significato. In ogni testata principale, spesso si possono trovare esempi in entrambi i sensi, i quali convivono in un compromesso figlio dei cambiamenti dei tempi moderni, giunti soprattutto con l’avvento dell’era digitale. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

 Significa applicare l’etica del dubbio, chiedersi sempre il perché delle cose e domandarsi il motivo per cui le si racconta. Bisogna essere curiosi, approfondire e sviscerare le notizie fino all’osso, saper notare quel dettaglio fondamentale che altrimenti passerebbe inosservato. Posto che l’obbiettività assoluta è un’utopia irrealizzabile per definizione stessa del pensiero umano, un buon giornalista ha l’obbligo morale verso l’atto di fede del lettore e deve sempre cercare di raccontare la verità sostanziale dei fatti, con tutte le opportune verifiche del caso. Lo scopo ultimo di un buon giornalista è quello di tenere bene aperti gli occhi dell’opinione pubblica sul presente e mantenere sveglia la coscienza collettiva con un pensiero critico verso la realtà. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

 La mia scuola di giornalismo, Walter Tobagi, mi ha segnalato via mail il bando e da quello spunto ho approfondito l’argomento, vista anche la natura degli argomenti trattati, che già attirava il mio interesse.

 

Intervista a Luca Pons

Luca Pons ha 24 anni e da quasi 20 vuole fare il giornalista. Ha iniziato in prima elementare con una visita alla redazione del Corriere di Saluzzo, città del Cuneese in cui è cresciuto. Con il passare degli anni questa ambizione ha segnato il suo percorso di studi, dal liceo classico alla facoltà di Scienze politiche a Torino, fino al Master in giornalismo che attualmente frequenta. Con il tempo ha sviluppato un’idea più concreta e precisa di cosa voglia dire “fare giornalismo” per lui: parlare di politica, cioè di comunità, e trasformare un mondo articolato e complesso in fatti e storie, che permettano ad un pubblico di conoscere meglio realtà vicine o lontane. Per questo, è attirato dal racconto della marginalità, intesa in varie forme, e dal suo rapporto con la comunità. Da questo interesse è nato il servizio che invia per la sua candidatura. In un periodo di crisi e ricorrente emergenza, non voleva che fossero dimenticate le condizioni di giovani ragazzi e ragazze con disabilità. Avendo trovato il bando ed essendosi informato sulla storia di Alessandra Bisceglia, ha sentito che questo servizio potesse contribuire in piccola parte la sua vita e soprattutto il suo lavoro.

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?
È una sfida ma soprattutto uno stimolo. Permette a storie significative di emergere e ricevere il giusto spazio. Inoltre, in un contesto giornalistico sempre frenetico e a caccia dell’ultima o migliore notizia, partecipare a un Premio giornalistico con un tema così definito permette di “fare un punto” sul proprio lavoro, capire in che direzione si muove, dare il giusto peso ad alcuni servizi o articoli rispetto ad altri.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
Nella mia – finora – breve esperienza giornalistica, ho potuto incontrare alcune storie davvero significative e umane, che, al di là della retorica, mi hanno fatto riconsiderare e mettere a fuoco il ruolo della comunicazione giornalistica in una società contemporanea. Tra queste, la storia che mi ha toccato più personalmente è quella di Margherita, che ho raccontato nel mio servizio. L’incontro con la madre Lucia, oltre che con varie associazioni che lavorano con persone con disabilità a Torino, segnerà sicuramente l’indirizzo del mio lavoro anche per il futuro.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Ciò che è rilevante, ciò che è utile e ciò che è dimenticato. Penso che si debba informare il proprio pubblico di elementi che “tornano utili nella cabina elettorale”, come si usa dire, ma anche di storie che contribuiscano a far prendere coscienza della propria comunità, inclusi gli aspetti della stessa che possono parere più lontani o addirittura inesistenti.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
Dipende dalle testate, ma tendenzialmente penso che si fatichi a uscire da una narrazione pietistica o assistenzialistica. Non è facile trovare storie raccontate con la pulizia e la dignità necessarie, e che pure riescano a trasmettere la forte carica emotiva che spesso la comunicazione sociale è in grado di contenere.

5. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?
Ritengo che la comunicazione web e social sia uno strumento che possa portare a un livello di empatia e comprensione di storie marginalizzate che non ha precedenti. Tuttavia, allo stesso tempo accentua quella tendenza a cercare la “notizia ultima e migliore”, ormai pressoché in tempo reale, e per questo rischia di soffocare la comunicazione sociale nellasua forma più ragionata, utile ed efficace. È un equilibrio complesso che va esplorato e sperimentato.

6. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?
Esistono, e non solo: è componente necessaria della professionalità giornalistica essere attivamente aggiornati e attenti al tema del lessico adatto a parlare, per esempio, di disabilità. Un professionista o una professionista che per lavoro usino il linguaggio, non possono fare a meno di prestare attenzione alle eventuali evoluzioni terminologiche, indicate non da un qualche “linguaggio giornalistico” quasi sempre vecchio e inadatto, ma dalle stesse comunità di cui si parla.

7. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
Penso di no, ma devono essere sempre rilevanti. Una notizia, a mio avviso, è rilevante se informa e/o se pone un interrogativo alla comunità di riferimento. Si può arrivare a una notizia “con calma”, e riuscire comunque a trasmetterla in modo rilevante. Anzi, un approccio non frettoloso alla comunicazione può aiutare proprio a individuare gli aspetti più rilevanti.

8. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Penso che le testate siano sempre stati prodotti commerciali, dalla loro nascita. L’equilibrio tra necessità editoriali e necessità giornalistiche non può essere ignorato, altrimenti si rischia di scivolare nella retorica e parlare del nulla. Tuttavia, questo deve essere: un equilibrio. Non si può rinunciare alla funzione pubblica del giornalismo, mai. Penso che oggi si continui la stessa tensione tra le due cose che esisteva ieri, forse in una chiave diversa, perché anche il mondo delle comunicazioni è cambiato.

9. Che significa essere un buon giornalista?
Nella mia opinione, significa ambire a raccontare storie e fatti raccolti con scrupolo in una chiave che permetta alla comunità di riferimento di essere maggiormente informata su se stessa e sul mondo che abita, senza cercare di attirare visibilità con grossolane semplificazioni. Può sembrare una banalità, ma penso che sia una definizione in cui non è semplice rientrare.

10. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
Il bando mi è stato inoltrato dalla segreteria del master in giornalismo che frequento e, leggendo di un tema così particolare e significativo, ho colto subito l’occasione.

Intervista a Daniele Polidoro

Daniele Polidoro. Nato a Chieti. Classe 1992. Laureato in Mediazione Linguistica e Comunicazione Interculturale presso l’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio. Dopo il master di giornalismo presso la Scuola Walter Tobagi di Milano, ha lavorato a Calciomercato.com, El Mundo Deportes, Sky Sport e La Gazzetta dello Sport. Attualmente collabora con Tgcom24 e Wired.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sì, una sfida importante non solo dal punto di vista professionale ma anche da quello umano. Nell’ultimo anno e mezzo ci si è dovuti scontrare con una realtà molto dura su un tema delicato che ha toccato la salute fisica e psicologica di tutti noi. È importante scegliere le informazioni, capirle, assimilarle, e poi “tradurle” nella maniera più chiara e semplice possibile.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

 La storia della scuola calcio “Insuperabili”, pensata per dare la possibilità di giocare a calcio ragazzi con disabilità. Il calcio dovrebbe essere lo sport di tutti, ma non sempre è così. Per questo, vedere la gioia di quei ragazzi nel riappropriarsi di un qualcosa che sentivano proprio è stato molto bello.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Le storie. Alle volte si tende a “spersonalizzare” i protagonisti delle vicende ma, in alcuni casi, sarebbe approfondire anche il lato umano di una vicenda che si racconta. La storia personale di ognuno di noi è frutto di esperienze belle e brutte che meritano di essere conosciuto, ovviamente quando servono a sensibilizzare per una causa comune.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

In parte e in forma non sempre corretta. Se ne potrebbe e dovrebbe parlare di più.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

L’avvento del digitale da un lato ha aiutato ad aumentare la platea di lettori, ma dall’altro ha portato anche la ricerca di un sensazionalismo che stona con il giornalismo.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Sì, quelle che rispettano le vicende e i protagonisti delle storie trattate. È compito dei giornalisti sceglierle con accortezza.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

No. Una notizia diventa nuova ogni volta che si arricchisce di un elemento che la rende nuovamente importante per l’interesse collettivo.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Inevitabilmente una via di mezzo.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Raccontare la verità, verificare le fonti, analizzare gli elementi da ricostruire e raccontarli in maniera accessibile a tutti.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Ho partecipato alla seconda edizione, classificandomi al secondo posto con l’articolo sopra citato.

 

Intervista a Marta Occhipinti

Giornalista pubblicista e cultural free lance journalist, ha collaborato per diverse testate giornalistiche. Oggi, scrive per le pagine culturali del quotidiano la Repubblica. Laureata in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma, cura diversi uffici stampa nel campo di arte, società e beni culturali. Da sempre impegnata nel sociale, scrive di giornalismo comunitario, occupandosi di migranti e temi multiculturali. Nel 2020, riceve il Premio Giornalisti Under 35 al Festival del giornalismo culturale.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

L’intera professione giornalistica è una sfida per chi ama questo mestiere. Ma, di certo scrivere di integrazione sociale e cercare di restituire storie di resilienza è oltre che una sfida in più, un impagabile paga di valori. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Non saprei. Ogni storia, ogni volto, ogni racconto restituito sulla pagina scritta si porta con sé tutto un mondo difficile da dimenticare. Ci sono particolari di migranti, loro mani, occhi, volti di ragazzi, storie di recupero post tumore, che non dimenticherò. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

La realtà di un caso o una storia premiante in valori che diventa esempio per tanti o argomento su cui riflettere. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma non in tutte allo stesso modo. Ciò dipende ovviamente dall’agenda e dalla direzione editoriale di una testata, come sappiamo. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Spesso la teatralizzazione o la esasperazione. Spesso si parla di comunicazione sociale in modo assistenzialistico, ma non è quello che serve. La comunicazione sociale vuole giornalisti leali, imparziali e cacciatori di valori. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Le parole giuste si trovano sempre. La parola che preferisco è lealtà. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non sempre, alcune magari sono sotto i nostri occhi da tanto tempo, ma diventano nuove per noi quando le scopriamo. Non è mai troppo tardi per raccontare una storia o sviscerare reportage. Ciò che è nuovo, deve esserlo sempre agli occhi del cronista, principale stakeholder dell’opinione pubblica. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Credo ancora nel servizio pubblico. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Rispettare la deontologia, divulgare notizie secondo la verità sostanziale dei fatti, essere scomodi. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Mi tengo sempre aggiornata sui premi giornalistici per under35. Dunque, via internet, al momento della pubblicazione del bando di partecipazione.

Intervista a Federica Nannetti

Federica Nannetti, 25 anni di Bologna. Laureata in Lettere Moderne ma con il sogno di diventare giornalista fin dai banchi di scuola superiore, quando ha partecipato al concorso Repubblica@Scuola. Da ottobre 2019 frequenta il Master in Giornalismo della sua città, grazie al quale sta coltivando sempre più l’attenzione verso temi sociali e culturali. Allo stesso tempo, però, sta portando avanti l’altra sua grande passione: il pattinaggio artistico. Ha iniziato a praticare questo sport a soli quattro anni e oggi continua a trasmettere la sua dedizione allenando le nuove generazioni delle rotelle.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Considero una sfida tutto ciò che mi mette un po’ di adrenalina, un po’ di agitazione, un po’ di timore; e quindi sì, anche questa è stata una delle tante sfide alle quali mi sono messa di fronte. Sfide senza le quali, però, la vita non sarebbe ugualmente interessante. 

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nel raccontare la storia di singole persone mi sono trovata a raccontare, in realtà, la storia di un gruppo, quasi di un corpo unico. E, allora, è proprio questo che mi ha colpito di più: la capacità di creare una rete, un legame talmente saldo da diventare un’unica realtà pur mantenendo le rispettive peculiarità. Il lavoro di squadra e la pianificazione dietro le quinte che tante volte rimane nascosta ai più sono il valore aggiunto. 

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Ovviamente deve essere oggetto di informazione tutto ciò che è di interesse pubblico, ma anche tutte quelle storie e quelle vicende più spesso nell’ombra che valgono la pena di essere conosciute per il loro valore etico e sociale. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Probabilmente non abbastanza. Molte storie meriterebbero di avere maggior visibilità, mentre l’impressione è quella di un’attenzione rivolta ai temi sociali solo in alcuni luoghi prestabiliti o occasioni specifiche. 

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Un po’ come in tutti gli ambiti penso vi siano effetti positivi ma anche negativi. Se, da una parte, hanno il merito di far conoscere alcune realtà che altrimenti potrebbero essere più difficilmente raggiungibili (io stessa ho potuto approfondire alcuni dettagli della mia storia grazie ai nuovi media e ai social), dall’altro sono in parte coinvolti in una dinamica di diffusione d’odio e di violenza. Atteggiamenti, questi ultimi, molto spesso rivolti ai soggetti più fragili. 

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Le parole vanno sempre scelte con cura, pazienza e riflessione, ma questo non solo nell’ambito della comunicazione sociale. Ogni occasione e ogni frangente ha un proprio linguaggio più adatto e, pertanto, è giusto scavare fino in fondo per la scelta migliore. 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

La tempestività non può essere messa da parte, specialmente se si lavora per un quotidiano o per un telegiornale (o giornale radio) ma, allo stesso tempo, il buon giornalismo è fatto anche di approfondimenti, di ricerche e di inchieste. Non è nemmeno detto che da una notizia già data non possano venire fuori dettagli nuovi. Ecco perché dovrebbe esserci sempre la giusta dose di curiosità per far affiorare qualcosa di inedito o una prospettiva diversa. 

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Con rammarico è difficile negare come alcune testate siano diventate prodotti commerciali, tuttavia ci sono anche alcuni esempi di buon giornalismo che meritano di essere riconosciuti in quanto tali. 

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Questa è probabilmente la domanda più complessa a cui rispondere. Mi vengono in mente tante caratteristiche e qualità ma, in fin dei conti, quella che le racchiude tutte è il rispetto per il lettore. Un rispetto che non può che essere garantito attraverso l’attenzione e l’osservazione della realtà per restituirne una descrizione il più adeguata possibile e nel perimetro della deontologia. Solo così ogni giornalista, nel proprio piccolo, potrà aiutare ciascun lettore a essere un cittadino libero. 

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio grazie al Master in Giornalismo di Bologna che sto frequentando.

Intervista a Pietro Mecarozzi

Giornalista, autore e jazzofilo. Comincia a la Repubblica Firenze, poi La Nazione, Class, Vice, The Post Internazionale, Momento Italia, Gli Occhi della Guerra, The Vision, La Stampa, il Fatto Quotidiano, L’Espresso e Linkiesta. Un master in giornalismo politico-economico alla Business School de Il Sole 24 Ore, un libro alle spalle e tanta passione per politica, economia, inchieste e data journalism. Nel tempo libero? Charles Mingus, Milan e Dosto.

 

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
Baby gang e baby boss

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Carceri, migranti, criminalità organizzata, soggetti deboli, discriminazioni

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

5. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

6. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?
Quelle vere

7. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
Dipende, ci possono anche essere tagli diversi

8. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Un ibrido

9. Che significa essere un buon giornalista?
Fornire un servizio per la società, scoprire e svelare, fare chiarezza, non
essere autocelebrativi ma dietro alla notizia.

10.Come sei venuto a conoscenza del Premio?
È la seconda partecipazione

Intervista a Alice Martinelli

Toscana, giornalista professionista, è inviata del programma televisivo Le Iene show, dal 2017. Lavora in televisione dal 2014, grazie a Michele Santoro che ha scommesso su di lei inserendola nella squadra del suo Servizio Pubblico, (La7), ma ha cominciato nella carta stampata come cronista per Il Secolo XIX. Ha vinto i premi Lorenzo Perrone – Informare è prevenire (menzione speciale, 2012), Premio Cnog Formazione per l’informazione (2013), Premio Maurizio Rampino (2016), Premio L’Anello Debole del Capodanno Film Festival (2017), Premio Cristiana Matano (2020). Sognatrice curiosa e testarda, riassume tutti i pregi e i difetti del suo segno, il Capricorno: non fatela arrabbiare!

 

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?
Sì, penso sia una grande sfida partecipare a un premio sul tema delle malattie rare e dell’inclusione delle persone diversamente abili. Ma la sfida più grande è quella di raccontare la storia di queste persone con l’equilibrio, la delicatezza e l’attenzione che meritano.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?
La storia di Federico, il ragazzo che ci ha accompagnato nel servizio candidato per questo Premio è sicuramente una di quelle che mi ha, non tanto segnato quanto forse proprio arricchito di più. Federico è un toscanaccio con sindrome di down davvero speciale, non per il suo cromosoma in più ma perché vive la sua vita con un entusiasmo travolgente e si divide tra il teatro e il lavoro da cameriere in un ottimo ristorante di Livorno. Con lui abbiamo cercato di fare un piccolo gioco, per esorcizzare la tristezza dovuta a un tweet di cattivo gusto con cui un suo coetaneo aveva paragonato i bambini down ai social che, in quel momento, non funzionavano. Un po’ come dire che i ragazzi down non funzionano! Eppure Federico funziona eccome e nella nostra “caccia al cattivo” in giro per Lucca ci ha letteralmente conquistato.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?
Tutto ciò che è notizia!

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?
Penso che abbiamo sviluppato molta più sensibilità rispetto al passato nei confronti della Comunicazione Sociale. Basti pensare al filone delle Buone Notizie o a vere e proprie testate con un certo seguito (penso ad esempio a Redattore Sociale), interamente concentrato sulle buone pratiche ma anche sulle “cattive” notizie in ambito sociale.

5. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?
Penso che i nuovi media abbiano permesso alla Comunicazione sociale di trovare più spazio. Anche i social hanno aperto una finestra importante su tematiche un tempo più di nicchia, penso per esempio proprio al racconto dell’universo delle malattie rare che, grazie ai social, alle raccolte fondi, alle pagine di chi combatte per sé stesso o per un suo caro, sono diventate più conosciute anche a livello di grande pubblico. E di conseguenza i media tradizionali si sono allineati.

6. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?
Io penso che le parole “giuste” esistano, ed esistano a prescindere da cosa si comunica. Le parole giuste sono quelle specifiche ma equilibrate, non offensive, non allusive. E questo riguarda non solo la Comunicazione Sociale o la comunicazione intesa in senso generale come parte del “lavoro giornalistico” ma la nostra vita di tutti i giorni.

7. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?
In teoria, la notizia dovrebbe essere “nuova” di per sè ma in realtà, ci sono molte “sfumature” di questa “novità”. A volte la notizia è proprio nel fatto che una cosa risaputa da tempo non è mai cambiata, oppure può essere un fatto vecchio che torna attuale per un qualche motivo. Più che considerare solo la “novità” in senso assoluto, direi che un fatto/accadimento diventa notizia quando e se ha una serie di caratteristiche (tra cui anche la novità) che lo rendono “notiziabile”.

8. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?
Credo che le testate abbiano assolutamente una funzione di servizio pubblico.

9. Che significa essere un buon giornalista?
Un buon giornalista è intellettualmente onesto se con il suo racconto può cambiare in meglio le cose si può dire che abbia fatto anche un buon lavoro.

10. Come sei venuto a conoscenza del Premio?
Sul sito dell’Ordine dei Giornalisti approfondendo sul sito della fondazione Viva Ale.

 

 

 

 

Intervista a Caterina Maggi

Nata il 1 Maggio 1996 a Genova, decide di seguire la vocazione giornalistica dopo la laurea in Lettere e un viaggio in Palestina. Scrive da sempre, ma le interessano le piccole storie di persone comuni, o i racconti di avvenimenti in luoghi remoti. Il suo sogno è diventare corrispondente da Sud America o area MeNa per un quotidiano o televisione.

Intervista a Andrea Lattanzi

Andrea Lattanzi (Carrara, 1987), è un giornalista pubblicista e videomaker che lavora e vive a Milano. Laureato in Scienze della Politica e dei Processi Decisionali si occupa di realizzare contenuti video e documentari per il Gruppo Gedi, in particolare per i siti di Repubblica e La Stampa. Autore del saggio “Librai: si salvi chi può” (GoWare) sulla trasformazione dei mestieri legati all’editoria tradizionale, ha pubblicato nel 2018 il libro “Eravamo tanto amati”, dal quale è tratto l’omonimo documentario sulla fine del Partito Comunista Italiano in Toscana. Appassionato di scienza e viaggi, è tra i fondatori dell’associazione GvPress, che tutela il lavoro dei giornalisti videomaker in Italia.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Assolutamente sì. Difficilmente partecipo a premi ma visti gli oggetti e le finalità del premio Bisceglia, più che una sfida, partecipare è un piacere.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Se parliamo di temi legati alla sanità, sicuramente è stato il lungo travaglio dei primi pazienti covid del marzo 2020, in particolare di coloro che, anche a mesi di distanza dalla malattia, non hanno recuperato al 100% e fanno fatica a riprendersi la loro vita. Più in generale, il caso che mi ha segnato maggiormente è quello legato alla rotta balcanica dell’informazione che ho avuto occasione di raccontare in una serie di servizi e in un documentario che ho realizzato a gennaio di quest’anno.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò che interessa al giornalista in quanto individuo e tutto ciò che interessa al pubblico in quanto audience. Un fatto, se non c’è nessuno disposto a raccontarlo o farselo raccontare, non sarà mai oggetto di informazione. Altresì, laddove vi sia un giornalista e qualcuno disposto ad ascoltarlo. 

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

Sì, ma purtroppo la sua presenza è troppo legata a contingenze di attualità. Pertanto si rischiano semplificazioni dettate da tempi di pubblicazione e necessità di messa in onda.

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Da un lato c’è sicuramente l’amplificazione e la possibile maggior risonanza dei suoi oggetti, dall’altro il rischio è – soprattutto con i nuovi media – che questi oggetti diventino oggetto di scherno, odio, discriminazione. I nuovi media non solo servono a raccontare qualcuno ma ci raccontano chi siamo. E non sempre questo racconto ci fa propriamente onore.

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Una parola è una parola, dipende sempre da chi e come viene utilizzata. Senza entrare nel dibattito sul “politicamente corretto” io penso che prima di tutto vengano le finalità con cui una parola è utilizzata. Può sembrare una logica relativistica, e forse lo è, ma riguarda a spettro più ampio il tema della responsabilità: quando si comunica si deve essere in grado di assumersi il peso delle conseguenze di ciò che si dice. Nel bene o nel male.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Assolutamente no. So che la deontologia presupporrebbe il contrario, nella canonica definizione di notizia, ma con i continui aggiornamenti che si ricevono ogni giorno grazie a Internet è bene che ci sia qualcuno che approfondisca e curi una notizia anche tempo dopo, guardando magari ad altre sfaccettature. L’importante è non spacciare come nuova notizia una notizia che nuova non è. E in questo, soprattutto sui social, le testate non sono particolarmente attente, dimostrando scarso rispetto per i loro lettori e gli utenti di tali social.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

La domanda è molto difficile e richiederebbe una risposta molto complessa e, forse, oltre le mie competenze. Diciamo che le testate sono vincolate dall’ecosistema dei media (Internet+radio+tv+carta stampata) a essere un prodotto commerciale competitivo per assicurarsi accessi/vendite e quindi poter rivendere dati/spazi agli inserzionisti pubblicitari. Questo non preclude la possibilità di essere anche un servizio pubblico, o meglio di fare servizio pubblico ma, chiaramente, vincola molto lo sviluppo di tematiche di scarso richiamo immediato che richiederebbero tempi di fruizione maggiore con meno possibilità di introiti pubblicitari. Se poi si pensa che anche “il” servizio pubblico per eccellenza, cioè le emittenti che fanno capo alla televisione di stato devono, in qualche modo, sottostare a certe logiche, allora si capisce bene quando l’ago della bilancia penda nettamente più a favore del prodotto commerciale che del servizio pubblico.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Raccontare un fatto, una storia o un fenomeno sociale al meglio delle proprie possibilità e con gli strumenti di cui si dispone, attenendosi per quanto possibile a una verità oggettiva ma non disdegnando l’interpretazione di quanto si cerca di portare all’attenzione del pubblico. Pubblico che, però, deve essere messo al corrente di tale interpretazione.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite social media.

Intervista a Emanuele La Veglia

Giornalista professionista classe 1992, ha iniziato a scrivere articoli subito dopo il diploma. Su Ohga racconta storie di persone speciali tra salute e sostenibilità, mentre su Vanity Fair collabora alla rubrica “Donne nel mondo”. Parallelamente si occupa di tecnologia per testate specialistiche e di comunicazione per eventi e blog aziendali. Ama leggere e stare a contatto con la natura. Ex Sky e AdnKronos, ha uno spiccato interesse per le tematiche di inclusione sociale, frutto delle esperienze di volontariato, tra Caritas, Servizio Civile Nazionale e Società Umanitaria. Negli ultimi anni ha vinto tre premi giornalistici, indetti rispettivamente dal Rotary Club, dalla redazione L’altrapagina e dal Festival del Giornalismo Culturale. È laureato con lode in Editoria, culture della comunicazione e della moda all’Università Statale di Milano.

 

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente. Nella scelta dell’articolo con cui concorrere, mi sono concentrato su quelli dove emergevano, al tempo stesso, un vissuto personale e la descrizione di una malattia rara. Una storia in cui emergesse la volontà di divulgare e far conoscere gli effetti di una particolare sindrome attraverso iniziative sociali.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Tra quelle di cui ho scritto ci sono alcune storie che mi hanno toccato di più e, a mia volta, ho cercato di restituire ai lettori quello che ho ricevuto. Penso alle testimonianze di ragazzi che hanno realizzato i loro sogni o a delle grandi manifestazioni d’amore. Quando capita una frase, durante mie le interviste, che mi colpisce nel profondo tendo a inserirla sin dal titolo per far entrare subito nel vivo chi legge.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto quello che non si sa ed è necessario che si sappia. Da un riepilogo su un determinato argomento, magari di natura scientifica, fino agli episodi nascosti, che si svolgono lontano dai riflettori e che meritano di essere conosciuti. Oggi l’informazione passa attraverso il giornalismo, ma diventa centrale in tanti altri contesti, dalle aziende alla sfera istituzionale. Il denominatore comune è un aggiornamento costante, con cui ricambiare la fiducia che le persone ripongono negli operatori dell’informazione.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate?

 Esistono agenzie di stampa, siti, e non solo, che hanno come focus proprio il sociale. Il panorama è comunque ampio. In alcune testate specialistiche è più difficile declinare i propri temi verso risvolti sociali, perché spesso gli argomenti trattati sono molto tecnici. D’altra parte, in quelle generaliste l’attualità tende ad occupare parecchio spazio, mettendo in secondo piano il mondo del volontariato o le esigenze dei più deboli. Credo tuttavia che, soprattutto dopo il periodo di lockdown, si sia tornati alla ricerca dell’essenziale, soffermandosi su segnali di speranza e buone notizie.  

  1. Quali gli effetti dei Mass Media e New Media sulla comunicazione sociale?

Possono essere un grande trampolino di lancio. Attraverso i social media un’associazione, anche piccola, può far conoscere in tutta Italia le proprie battaglie, allargando il proprio raggio d’azione. La rete, in generale, può rappresentare un’occasione per veicolare progetti di integrazione, iniziative di solidarietà e traguardi nella ricerca.       

  1. Esistono parole “giuste” per trattare la Comunicazione?

Qualche anno fa all’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ho seguito un corso dal titolo “Tra le parole e i fatti: dove i pregiudizi condizionano la comunicazione”. Esperti del settore hanno esplorato una serie di titoli o articoli dove si rischia di far scattare l’odio e il giudizio, magari inconsapevolmente. Perché, ad esempio, si tende a specificare a tutti i costi la provenienza etnica o geografica di una persona? Dovremmo piuttosto raccontarne le motivazioni, i sogni, le aspettative… 

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

 Personalmente, oriento la mia ricerca verso notizie inedite in base alle fonti di cui dispongo. In ogni caso si può riprendere senza problemi un fatto già noto, optando per un approccio diverso dal solito. Ad essere nuovo sarà così il punto di vista che spesso capovolge quello che crediamo di sapere.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Un prodotto editoriale, a mio parere, assume una funzione diversa a seconda del target a cui è rivolto. Hanno un intento commerciale le testate aziendali e le varie manifestazioni di brand journalism. Il servizio pubblico è svolto in primo luogo dalla Rai, ma la totalità dei giornalisti iscritti all’albo deve impegnarsi nel diffondere la verità e a svolgere un ruolo chiave per la comunità.

  1. Che significa essere un buon giornalista?

Scegliere questa professione influisce sull’intero stile di vita. Non è una questione di buoni o cattivi, ma di alcune accortezze non intervenire pubblicamente se non si è preparati per farlo. Muoversi in coscienziosità, ricordando che si sta rappresentando una categoria che ha illustri predecessori.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Mi sono imbattuto nel bando durante una delle mie rassegne mattutine e ho pensato che era il momento giusto per parteciparvi. Mi muovo da anni nel sociale, sia lato comunicazione che con attività sul campo, e sono sempre attento a recepire alle novità e agli spunti che mi circondano.