Intervista a Filippo Gozzo

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È sicuramente una sfida dal punto di vista giornalistico, ma non è un peso perché le tematiche trattate sono di rilevanza fondamentale per la società.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Senza dubbio quello che presento per il Premio. Poter parlare e raccontare la storia di un’atleta italiana come Arjola Trimi è stata una fortuna e un’esperienza importante, perché lei racchiude in sé la passione per lo sport e l’importanza di credere sempre in sé stessi nonostante le difficoltà, che possano essere fisiche o di vita.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Se incide sulla vita delle persone, sia in senso positivo che negativo, allora deve essere oggetto di informazione. Ci devono essere limiti, ma non si può privare il lettore della conoscenza di ciò che lo circonda.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Non a sufficienza, perché spesso si privilegiano argomenti più “leggeri” e di facile consumo. Per parlare di Comunicazione Sociale esistono termini appropriati, più sensibili e indicati. È sempre fondamentale il rispetto dei soggetti di cui si sta raccontando la storia.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente. A volte spunti originali possono offrire una visione d’insieme, anche alternativa, di una notizia già trattata.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Sono prodotti commerciali che svolgono un servizio pubblico. Dovrebbe in linea di massima prevalere il servizio pubblico, ma se gli interessi economici che derivano dal prodotto influenzano il servizio che la testata svolge a livello sociale, allora prevale la componente economica.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista deve informare il lettore nel modo più completo e coerente possibile. Ha il compito di mettere a conoscenza, limitando all’essenziale le opinioni personali e riducendo al minimo i giudizi. Questi però sono elementi che non si possono eliminare totalmente e deve essere il giornalista a capire quando e in che modalità una sua opinione possa essere utile ed efficace.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Ho partecipato alla V edizione nel 2021.

Intervista a Fabio Giuffrida

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È una sfida per il nome che porta questo concorso, per la storia di Alessandra Bisceglia, per la sua forza, la sua determinazione, il suo coraggio. Bisceglia ha trasformato una passione, quella per il giornalismo, in un lavoro, andando contro tutto e tutti, contro ostacoli che sembravano essere insormontabili. Lei è stata l’esempio che volere è potere e che niente è impossibile.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

A colpirmi di più, in questi anni, è stata la storia che ho proposto per questo concorso. “PizzAut” nasce grazie alla forza di un uomo, di un padre che ha aperto, alle porte di Milano, una pizzeria gestita da ragazzi autistici per dare loro un futuro libero e dignitoso. Ragazzi che prima erano tenuti ai margini della società, ai quali lo Stato pensa poco o nulla (soprattutto dopo la maggiore età) e che il proprietario di “PizzAut” ha riabilitato trattandoli semplicemente come persone, come lavoratori con precisi diritti e doveri. La condizione dei ragazzi autistici non deve essere un ostacolo ma deve costituire un valore aggiunto, una marcia in più. Non è un caso che “PizzAut” ha avuto un’eco mediatica incredibile e che la pizza – e lo dico senza pietismo alcuno – è tra le migliori in assoluto.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Veicolare buone notizie fa bene a tutti. È bene parlare sia dei gravi fatti di cronaca sia delle storie comuni, della gente normale, di chi ogni giorno ce la fa, di chi affronta la vita, nonostante le difficoltò, con grande forza. La disabilità o la malattia più in generale va raccontata non con pietismo ma con grande normalità. Le buone pratiche di integrazione vanno messe in luce per far conoscere a chi giustamente non lo sa che una malattia non può frenare un sogno, che non può essere un limite e che ci sono diverse strade tutte percorribili, tutte raggiungibili. L’informazione, tra l’altro, deve veicolare l’importanza dell’evidenza scientifica e dell’equità nell’accesso alle cure.

4. La comunicazione sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Negli ultimi anni c’è sempre più comunicazione sociale sui giornali. Parlarne è giusto ma bisogna usare le parole “giuste”, senza pressappochismo e soprattutto senza trattare il malato o il diversamente abile come un extraterrestre o come un “fenomeno” di cui parlare perché “ci fa pena”. Ecco, questo è quello che non bisogna fare perché restituirebbe un’immagine distorta delle cose. La parola chiave deve essere sempre: normalità.

5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Tendenzialmente devono essere  nuove per aggiungere dettagli e spunti di riflessione in più al dibattito pubblico. Ma, attenzione, non sempre è giusto che vada così. Soprattutto nella comunicazione sociale, è bene raccontare un fatto e poi tornare sulla storia dando spazio ai protagonisti così da veicolare meglio l’informazione. Un conto è scrivere “ha aperto la prima pizzeria gestita da ragazzi autistici”, un altro è far parlare direttamente i ragazzi che la gestiscono. Una testimonianza è sempre un valore aggiunto.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Viviamo in un’epoca in cui, grazie all’avvento di internet, c’è molta diversificazione. Le testate sono tutte aziende, hanno tutte un bilancio da far quadrare e degli sponsor da trovare per garantire l’indipendenza dei giornalisti. Quindi sono da una parte prodotti commerciali, dall’altra sempre servizi pubblici. Con grande piacere ho notato che negli ultimi anni le testate giornalistiche stanno prendono posizione su molti temi sensibili, contribuendo attivamente a migliorare il dibattito del nostro Paese e invitando i lettori alla riflessione critica e costruttiva. I giornali devono essere sempre al servizio dei lettori.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Raccontare la vita, la società che cambia, dare spazio agli ultimi, a chi spesso non ha voce. Fare il giornalista è una missione, è aiutare chi grida giustizia ed è un esercizio di verità e libertà. Un buon giornalista è colui che non ha pregiudizi, che non si pone limiti, che sa di non sapere, che ascolta tutti, che racconta i fatti così come sono e che aiuta a migliorare la nostra società. Un buon giornalista è quello che si “sporca”, che va in strada, che è curioso, che si pone mille domande, che invita i lettori a esplorare nuovi mondi. È colui che mantiene sempre la schiena dritta senza avere paura sapendo, tra l’altro, di avere un compito importantissimo. L’informazione non è un gioco.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite l’associazione GVPress a cui sono iscritto per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei videomaker in Italia.

Intervista a Giada Giorgi

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È la stessa sfida a cui il giornalismo oggi deve rispondere, fare luce su realtà che solo in apparenza possono sembrare specifiche o di nicchia ma che in verità comprendono molte più persone e molti più bisogni di quanto si immagini. Quindi sí, è una sfida stimolante e più che mai attuale.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia di Francesco Mercurio. Un ragazzo sordocieco che ha deciso di farmi assistere a uno dei suoi massimi momenti di libertà, un volo in deltaplano. La cosa che mi ha più segnato però è stata la sua capacità di abbattere ogni retorica: “Smettetela di chiamare la disabilità “un dono”, la disabilità è un problema che ha bisogno di soluzioni”.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Il diritto negato a molti esseri umani di avere un posto nel mondo alla pari degli altri.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

La Comunicazione Sociale non trova abbastanza spazio sulle testate giornalistiche. E quando succede viene spesso associata a racconti pietistici che poco contribuiscono all’idea di un’informazione costruttiva. Esiste un linguaggio adatto fatto di parole pesate e non “etichettanti”,  superficiali o “drammatizzanti”.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Le notizie da divulgare devono avere senza dubbio il carattere dell’attualità, cercando di andare sempre un po’ più oltre a quello che si è già detto o scoperto. Ma al di là della novità dei contenuti quello che più importa è l’emancipazione del racconto. A volte i problemi irrisolti della società rimangono purtroppo gli stessi, quello che siamo chiamati a fare come giornalisti è riuscire a proporre punti di vista e spunti sempre nuovi.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Voglio continuare a pensare che la mia professione sia ancora un servizio. L’informazione online, così come viene intesa attualmente,  ha purtroppo contribuito a rendere le testate giornalistiche delle grandi vetrine dove chi espone la merce più abbagliante riesce ad avere la meglio. Il rischio è che dietro l’abbaglio ci sia poca sostanza e pochi contenuti.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Significa essere un veicolo di informazione verificata per tutti quelli che la cercano. Un ponte tra la realtà e il lettore, nel tentativo di offrire un servizio concreto.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite i social network

          

 

Intervista a Oriana Gionfriddo

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Certamente è un impegno importante non solo per il tema specifico, ma anche per il registro linguistico da utilizzare che dal mio punto di vista non può essere quello degli argomenti trattati dal resto delle rubriche giornalistiche.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Non riesco a fare un “podio”. Posso dire che entrambe mi hanno colpito perché alcuni aneddoti raccontati dagli intervistati mi hanno fatto tornare alla memoria la mia infanzia, uno in particolare: la mamma che racconta i tentativi di autonomia del figlio autistico. Lei che guarda da lontano il figlio che va a comprare il panino e il proprietario del market – avvisato telefonicamente – lo aspetta davanti l’ingresso. Stessa cosa che faceva la mia famiglia quando io ero bambina. Ecco, può sembrare banale ma quella sensazione mi ha calata dentro la storia.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Informazione è tutto: cronaca, politica, reportage. Quest’ultimo, però, secondo me, è il giornalismo più sincero

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

No, secondo me non esistono. Il mio motto è “scrivi la frase più sincera che sai”

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

No, devono essere vere

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate, soprattutto online, vivono troppi problemi economici e pian pian si stanno trasformando in prodotti commerciali. Il problema, però, non è certo dei colleghi giornalisti o degli editori, ma di un sistema di informazione che, diventando gratuito, non ha saputo dare valore al mestiere di giornalista

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Essere gli occhi e le orecchie degli altri

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sui social

Intervista a Giuseppe Facchini

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È sicuramente una sfida, anche perché si tratta di un premio che cerca di dare spazio e approfondire temi che spesso non trovano la stessa visibilità sui mezzi di informazione “generalisti”, se così vogliamo chiamarli.

  1. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Forse proprio le storie del servizio che ho proposto per questa edizione del premio: la malattia di Huntington (o morbo o corea di Huntington) è una patologia di cui si sa pochissimo, nonostante i casi in Italia non siano così pochi. È una malattia ereditaria, ci sono famiglie che convivono con lei da generazioni ed è assurdo che ancora oggi non ci sia un modo per aiutarle davvero. È una cosa che personalmente mi fa molta rabbia, spero col mio racconto di aver dato una mano alle migliaia di famiglie che cercano delle risposte concrete da troppo tempo. Io, nel mio piccolo, sono disposto a mettercela tutta.

  1. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò che fa più fatica a trovare uno spazio o un canale per farsi conoscere agli altri.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Noi giornalisti, probabilmente, dovremmo fare autocritica sui termini e le parole che spesso usiamo quando trattiamo temi di comunicazione sociale. Rispetto a qualche anno fa, però, qualche passo in avanti si sta facendo, anche per quanto riguarda lo spazio che viene dedicato a certe tematiche.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Tendenzialmente si, ma ci sono argomenti e notizie di cui non è mai abbastanza parlare. Come si dice, “Repetita iuvant”.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Vorrei tanto rispondere “servizi pubblici”, ma non credo sia sempre così. Purtroppo.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Significa avere sempre tanta curiosità e la giusta dose di umiltà nell’approcciarsi ad ogni genere di storia o notizia.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite internet. Non è la mia prima partecipazione, sicuramente potrebbe essere l’ultima, visto che a breve non avrò più l’età per premi e concorsi riservati ai “giovani” 🙂

Intervista a Marco Di Vincenzo

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È una grande e bella sfida, direi. Sensibilizzare l’opinione pubblica su diversi temi, raccontando la vita e le storie delle persone, credo sia una delle cose più appassionanti che un giornalista possa fare.

 2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia di Giulia Vernata, che ho raccontato nel servizio inviato per il concorso, è una delle più belle che ho avuto la fortuna di incontrare. Una ragazza di appena 22 anni che, sofferente sin dalla nascita per una forma piuttosto aggressiva del morbo di Chron, ha trovato nello sport la sua ragione di vita. Durante l’intervista, mi ha raccontato che i medici le avevano dato una prognosi di soli 3 o 4 anni di vita: un colpo durissimo per una ragazzina così giovane. Eppure, ha raccontato che la forza di volontà e la passione l’hanno aiutata a superare tutto. “È la mia vita e mi rende felice”, mi ha detto. Lo sport è stato più forte del dolore e della malattia.

 3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Valgono le regole d’oro per il buon esercizio del diritto di cronaca: verità, continenza, pertinenza. Secondo me bisogna raccontare tutto quello che può interessare davvero il pubblico e tutto quello che può contribuire a migliorare la società, sempre nei limiti del buon gusto e della verità. Occorre, poi, che sia dato più spazio alla buona informazione, raccontando tutti i risvolti positivi delle vicende e mettendo in luce le soluzioni, non solo i problemi.

 4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

La Comunicazione Sociale oggi dovrebbe trovare ancora più spazio sulle testate, specialmente in Italia. In un periodo come questo, dove i giornali e le tv sono inondati dalle notizie in tempo reale sui numeri della guerra in Ucraina e della pandemia, talvolta sarebbe bene ridurre la velocità, fermarsi e riflettere, raccontando anche il lato buono delle cose. Bisognerebbe lasciare più spazio e tempo a quello che viene chiamato constructive journalism. Come detto, non bisogna parlare solo di fatti negativi, ma anche raccontare come le persone, le istituzioni e le comunità agiscono per dare risposta ai problemi sociali. Bisogna raccontare di più il buono e il bello che c’è.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non per forza. Personalmente sono contrario all’approccio da breaking news a cui, sempre più spesso, ci stiamo abituando. Prima le tv all news e ora le notifiche push sugli smartphone ci hanno costretto a rincorrere a tutti i costi la notizia dell’ultima ora. Una gara insensata a chi arriva prima. Penso che sia  bene rallentare e trovare quelle notizie – non per forza nuove – che possono contribuire a renderci persone migliori.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate, oggi, sono sempre più simili a prodotti commerciali, è vero. Credo che sia un effetto, ahinoi, della crisi dell’editoria – soprattutto della carta stampata – e ai problemi legati all’economia del periodo storico che stiamo vivendo. Questo non significa, però, che non esistano giornali o tv indirizzati alla funzione di servizio pubblico.

 7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Per me, essere un buon giornalista significa raccontare le storie delle persone, facendo emergere e illuminando il lato positivo che c’è nella società. Essere un buon redattore significa anche aiutare e stare vicino alla gente. Credo che un giornalista abbia una funzione sociale importantissima, che molto spesso non gli viene riconosciuta. Anzi, talvolta la sua figura è vista in malo modo o del tutto screditata. Non dovrebbe essere così. Il giornalismo non è solo il cane da guardia della democrazia, come si dice, ma anche linfa vitale per il buon funzionamento di una società.

 8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite il web, attraverso il sito del Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Intervista a Fabio Di Todaro

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sì, pur essendomi occupato nella mia carriera prevalentemente di informazione medico-scientifica. Oltre che per una gratificazione professionale, ritengo che i premi rappresentino sempre un’occasione per mettere il proprio operato alla prova.

 2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Ce ne sono diverse e riguardano soprattutto pazienti oncologici (come nel caso della paziente intervistata per la TgR). Di seguito riporto i link dei servizi che ritengo più significativi, in tal senso:

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/mamme-dopo-il-cancro-primo-nato-in-italia-da-trapianto-di-tessuto-ovarico

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/la-storia-di-sabrina-cosi-affronto-il-tumore-al-seno-durante-la-pandemia

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/giovanna-e-il-suo-tumore-mi-piaccio-di-piu-dopo-la-malattia

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/quel-tumore-scoperto-grazie-una-carezza

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/grazie-allimmunoterapia-ho-imparato-a-danzare-col-mio-cancro

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/pediatria/cosi-abbiamo-ricostruito-la-pelle-di-un-bambino-farfalla

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Tutto ciò – anche in ambito medico-scientifico – che risponde ai requisiti del diritto di cronaca fissati a più riprese dalla Corte di Cassazione. Ovvero: l’interesse pubblico di una notizia, la continenza formale con cui la si espone e il rispetto della verità sostanziale dei fatti.

 4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Al di là di alcune realtà editoriali ad hoc (penso a Vita e all’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera), c’è un interesse crescente da parte delle testate a dare spazio a questo genere di informazione. Non ritengo che ci siano parole giuste, purché ci si attenga ai principi sopra enunciati. Le storie vanno raccontate, entrando nella vita delle persone in punta di piedi e restituendo a chi legge tutto ciò che può essere utile. Nessun altro dettaglio superfluo per lui, ma che può essere molto delicato per il protagonista: soprattutto quando si parla di salute.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

La novità è uno dei criteri con cui viene valutata una notizia, per decidere se metterla in pagina (in senso lato: carta, web o tv) o meno. Uno dei criteri, però. Non l’unico.

 6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Ve ne sono di entrambi i tipi. La RAI, per esempio, svolge un servizio pubblico di informazione. Rimanendo all’ambito dell’informazione sulla salute e avendoci lavorato tanti anni, lo stesso posso dire per una realtà non profit come Fondazione Umberto Veronesi. Tecnicamente, tutte le altre testate offrono un prodotto commerciale. Ciò non equivale, naturalmente, a un giudizio sulla qualità dell’informazione offerta.

 7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Raccontare la verità sostanziale dei fatti. Ovvero quella che si riesce a ricostruire dopo aver fatto tutte le verifiche possibili prima di dare una notizia, che in alcuni casi può non combaciare esattamente con quanto realmente accaduto. Soltanto dopo aver lavorato in questo modo, di giorno in giorno, un giornalista può affermare di aver svolto correttamente il proprio lavoro. Indipendentemente dal genere di informazione di cui si occupa: dalla cronaca all’informazione scientifica, dalla moda all’informazione economico-finanziaria.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Attraverso la Rete.

 

Intervista ad Ottavio Cristofaro

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Dietro ogni storia che raccontiamo ci sono sempre delle persone, con le loro vite e le loro famiglie. La vera sfida, in realtà, è quella di restituire quotidianamente una dimensione umana alla nostra attività giornalistica.

 2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Ho avuto la fortuna di raccontare la storia del Capitano dei Carabinieri “Ultimo”, con i suoi risvolti umani e sociali, oltre alle questioni già note più legate ai fatti di cronaca e mafia. Di recente mi sono occupato anche di un reportage all’interno di una ex base militare, che ha giocato un ruolo strategico durante la Guerra Fredda, i cui temi sono di estrema attualità in virtù della guerra in Ucraina.

 3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Compito del giornalista è quello di tenere sempre a mente i criteri di utilità sociale e rilevanza pubblica che dovrebbero guidare l’azione professionale.

 4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Non credo esistano parole più o meno “giuste”. Credo piuttosto che esista una sensibilità a questi temi maggiore in taluni gionalisti e in altrettante talune testate.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Alla base dell’agire giornalistico ci deve essere quella buona dose di curiosità che ti porta a ricercare notizie e storie da raccontare sempre nuove.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

È un tema di grande attualità. Possiamo dire che sono sia prodotti commerciali che servizi pubblici. Bisogna cercare il giusto mix.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista dovrebbe avere la mentalità aperta e pronta a tutto. Ieri come oggi, il giornalista deve interessare il pubblico. Ci sono molti peccati che si possono commettere, nell’esercizio della professione. Tra i più gravi, c’è la noia. Interessare può voler dire spiegare, rispondere, incuriosire, sorprendere, affascinare, magari divertire, a secondo dei casi e delle necessità.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

L’ho conosciuto l’anno scorso, attraverso il sito dell’ordine dei giornalisti della Puglia.

Intervista ad Andrea Caruso

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Non solo per il tema così specifico, ma soprattutto perché il premio pur essendo “solo” alla sua sesta edizione ha subito guadagnato una sua riconoscibilità e prestigio. Quindi, il livello degli elaborati a concorso è molto alto.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Non mi va di menzionare una storia in particolare. Come giornalista, ho sempre cercato di affrontare ogni storia a testa bassa, con rispetto, tatto e sensibilità, impedendo però che l’emotività mi coinvolgesse a tal punto da “contaminare” il lavoro giornalistico. Il rischio altrimenti è di raccontare una storia che facilmente commuoverà chi la legge/ascolta/guarda, ma priva di quel contenuto di informazione che spieghi il perché di quella storia.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo che a prescindere dalla rivoluzione attuata dai social network, l’obiettivo del giornalismo non sia poi tanto cambiato. Lo scopo è sempre quello di portare a una vasta platea la conoscenza di fatti/fenomeni che a giudizio di chi fa questo lavoro abbiano una rilevanza e un interesse pubblico.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Secondo me sì, la comunicazione sociale trova molto più spazio rispetto al passato. Si è compreso il valore delle good news, quando mescolate alle bad news, l’importanza di affrontare temi e storie che toccano da vicino e nel profondo i cittadini molto più di quanto non facciano alcuni temi cari alla politica, ad esempio. Non so se esistano parole giuste, credo però che esistano parole e approcci non “giusti”. Cerco sempre di evitare frasi fatti o artificiosamente letterarie che non aggiungono nulla e danno solo una dimensione “pietistica” a temi come la malattia e la disabilità. Ecco secondo me bisogna evitare l’approccio “oh poverini!”, un’altra cosa che detesto è l’utilizzo di perifrasi pur di non pronunciare la parola “cancro” o “tumore”.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Niente affatto. La notizia a volte è tale perché qualcosa semplicemente “accade”, tante altre volte invece i fatti sono come la parte sommersa di un iceberg e il compito del giornalista in quel caso è di riportarli in superficie. Uno sforzo ulteriore dei giornalisti deve essere orientato non solo a raccontare la notizia ma anche a spiegarla. Il giornalismo e il giornalista non devono commettere l’errore di dare per scontato alcunché. A volte accade di ascoltare in un telegiornale opinioni, commenti, dibattiti intorno a un tema e viene da chiedersi: “sì ok, ma il fatto qual è, perché le cose stanno così?”

 6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Sono prodotti commerciali che svolgono un ruolo di servizio pubblico. Il problema è che l’informazione è un bene di cui difficilmente l’utente/cliente si riesce a quantificarne valore e importanza, anche per colpa dei media stessi. Per vent’anni siamo stati abituati a poter consultare gratuitamente e leggere gratuitamente articoli sui siti web dei maggiori quotidiani italiani e poi sui social network, dunque si è consolidata la credenza che l’informazione debba essere gratuita, qualcosa di “dato”. È molto faticoso giustificare adesso il pagamento di un abbonamento digitale. Aggiungiamo a ciò il calo ineluttabile di vendite dei quotidiani cartacei, e dunque il minor appeal pubblicitario che hanno i giornali, a fronte di un costo di produzione elevato, e si comprende come mai quasi tutti i giornali siano in difficoltà nel mantenere margini di redditività ed equilibri nei bilanci.

 7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Principalmente significa avere curiosità, approcciarsi a volte anche con animo fanciullesco alle questioni, avendo poi il desiderio di condividere una scoperta = la notizia, con un pubblico a cui la si vuol provare a spiegare e raccontare. La maggior pervasività del web e dei social network, e il rumore di fondo che generano, impone anche a un buon giornalista di saper riconoscere e distinguere una notizia da un fattoide, notizie spacciate per tali ma che in realtà non lo sono, per non parlare poi delle vere e proprie bufale.

 8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Lo conosco da anni, probabilmente la prima volta che ne ho sentito parlare è stato grazie alle segnalazioni su siti/testate di settore per i giornalisti oppure proprio grazie all’Ordine dei Giornalisti. È la mia prima partecipazione, perché purtroppo negli anni passati non ho mai avuto un servizio in linea con il tema del concorso.

Intervista a Giorgia Colucci

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Partecipare a un Premio Giornalistico su questo tema è una sfida, perché è sempre una sfida trovare il modo e il tono più giusto e rispettoso per raccontare la disabilità. Vale però la pena di confrontarsi con esso per crescere a livello giornalistico e di società.

 2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia dell’atleta paralimpico Giorgio Napoli mi ha colpito, per la forza del suo protagonista. Consapevole e autoironico, è riuscito a raccontare le sue debolezze e ciò di cui va fiero in maniera normale. Senza eccedere nell’autoesaltazione o nel pietismo.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Oltre alle notizie e ai fatti, anche le storie devono essere oggetto di approfondimento e di informazione. Spesso forniscono punti di vista inusuali sui temi trattati dalla stampa in maniera “fredda” o stereotipata.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

La Comunicazione Sociale trova spazio solo su alcune testate purtroppo. Spesso viene sommersa da altri temi urgenti. Quando ne si parla spesso si eccede nell’esaltazione o nello stereotipo. Bisogna invece cercare di capire, con le persone coinvolte, qual è il modo giusto di parlarne, gli aspetti da mettere in luce, i servizi e i disservizi che al momento siamo in grado di offrire. Solo così è possibile avvicinare il tema ai diversi lettori.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Le notizie possono non essere nuove, ma può essere nuovo il modo in cui se ne parla, o gli aspetti che il giornalista sceglie di raccontare.

 6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Le testate di oggi offrono un servizio pubblico di informazione. Non si può però negare che, anche le più rinomate, siano in parte condizionate dalle logiche del mercato e dalle richieste di editori e inserzionisti.

 7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Per me essere un buon giornalista significa avere rispetto per ciò che si racconta. Ciò si traduce nell’attenersi ai fatti, parlare con i protagonisti, cercare di capire e spiegare al meglio ciò che avviene nel mondo, rimanendo lontani dai pregiudizi. Significa anche lasciarsi stupire dalle storie e dalla realtà.

 8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del premio tramite il Master in giornalismo IULM