Intervista a Clarissa Rachele Poli

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Sono venuta a conoscenza del Premio tramite la newsletter dell’Ordine dei giornalisti della Toscana. Ho scelto di partecipare poiché ritengo che il lavoro fatto con Alessia, e in generale quello portato avanti con la testata Plaple TV, possa essere da stimolo a tanti che vivono momenti di difficoltà. La scelta editoriale mette l’accento sulla possibile soluzione, sulle storie di chi si impegna ogni giorno, andando oltre la semplice denuncia del problema.

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Credo che gli esempi positivi possono fare la differenza. Ogni progetto, editoriale ma non solo, può contribuire a generare il cambiamento. Se si convince anche una sola persona che è possibile, vale la pena impegnarsi. Non esiste il tanto o il poco, esiste il fare e l’impegnarsi.

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Ci sono state due storie che in particolare mi hanno colpito. Quella di Alessia sicuramente, poichè una ragazza che ha subito e vissuto tanta sofferenza, ma che ha scelto di farne la sua forza e di lasciare nel mondo un’impronta positiva, sorprendendo tutti quelli che hanno cercato di tarparle le ali.

Un’altra storia che mi ha colpito è quella di Francesco, un ragazzo nato senza braccia né gambe, abbandonato alla nascita, oggi artista e imprenditore, che nel tempo libero si diletta anche con la musica. Una determinazione, una tenacia e una gioia che ispirano e non lasciano indifferenti. Come Alessia, non si è lasciato sconfiggere dalla sua storia, ma ha fatto della sua vita un vero capolavoro.

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?

Il tema della sofferenza non è facile ma molto abusato. Credo che sia giusto parlarne, ma in un approccio di vero ascolto delle storie e sempre con un’ottica di rinascita. Credo che il lavoro del giornalista abbia il più bell’obiettivo che esista: far luce sui temi, ma anche essere un mezzo perché  le cose possano cambiare. Ecco, io credo che tutto parta da un vero atteggiamento di ascolto e corretta interpretazione.

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?

Mi è capitato di incontrare storie così forti e difficili da sopportare, figuriamoci raccontare. La fortuna, però, è stata l’aver incontrato persone che di quella sofferenza ne hanno fatto poi la loro forza. La vera testimonianza della luce in fondo al tunnel.

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?

Credo che si possa fare un lavoro molto più approfondito sul tema sociale. Ci soffermiamo troppo sul dramma e poco sulla soluzione da trovare o, a volte, già trovata. Ci sono tante realtà che si impegnano quotidianamente nel sociale e credo che sia giusto dare spazio anche a loro. Senza ovviamente togliere attenzione e rispetto alla sofferenza, ma credo ci si debba rimboccarsi le maniche più che piangersi addosso (parole di Francesco).

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?

È un argomento delicato quello dell’intelligenza artificiale. Dove c’è un vantaggio c’è anche un danno dall’altra parte e viceversa. Credo che sia una grandissima opportunità, ma ancora siamo lontani da quella evoluzione. Credo, e spero, ci arriveremo presto.

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Ho sempre sentito un grande senso di giustizia e di verità. Per me essere un buon giornalista è ricercare giustizia e verità sempre, anche a discapito del proprio tornaconto personale, anche a costo di riconoscere di aver sbagliato.
Credo anche che il giornalismo possa essere veramente mezzo non solo per cambiare e ispirare l’opinione pubblica, ma anche per portare avanti progetti utili ai più.