1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?
Sono venuta a conoscenza del Premio quattro anni fa grazie al Master in Giornalismo dell’Università di Bologna, scuola che ho frequentato tra il 2019 e il 2021. Da allora ho continuato a seguire le attività della Fondazione e a partecipare alle varie edizioni del Premio.
2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?
Assolutamente sì. Probabilmente non sono mai abbastanza le occasioni e gli spazi dedicati alle tematiche sociali, dunque ogni occasione credo sia importante per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Inoltre, un Premio pensato anche e soprattutto per le nuove generazioni di giornalisti penso possa giocare un ruolo fondamentale nel futuro dell’informazione.
3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?
È molto difficile individuare una storia in particolare; sono tante quelle che hanno saputo toccarmi nel profondo. Tutte hanno però un filo rosso che le accomuna, ovvero la forza, la disponibilità e la volontà di fare la propria parte per provare a garantire a tutti gli stessi diritti (sociali, economici, alla cura, all’istruzione, all’educazione).
4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?
Non penso, o almeno io ancora non l’ho trovata. Penso piuttosto ci sia un perimetro deontologico entro cui muoversi e una sensibilità personale che deve far tener conto di una certa soggettività del racconto della notizia o della storia.
5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?
Più che di barriere parlerei di sfide personali. Raccontare la sofferenza vuol dire, almeno dal mio punto di vista, farsene un po’ carico per restituirla in modo adeguato al lettore, senza pietismo ma anche senza eccessivo distacco.
6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?
Mai abbastanza, ma mi sembra di notare una maggior attenzione alla comunicazione sociale rispetto al passato, soprattutto in termini di sua considerazione: mi pare ci sia una presenza un po’ più trasversale e, dunque, una prospettiva diversa con cui leggere le vicende del mondo.
7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?
Come tutte le cose potrebbe avere risvolti sia positivi sia negativi; la sfida sarà gestirla. Al momento non nego diversi timori. Come ha detto Papa Francesco, affinché i programmi di intelligenza artificiale siano strumenti per la costruzione del bene e di un domani migliore, debbono essere sempre ordinati al bene di ogni essere umano. Devono avere un’ispirazione etica.