Intervista a Chiara Dall’Angelo

1. Come hai saputo del Premio e perché hai deciso di partecipare?

Ho saputo del Premio quando ho ricevuto una email dalla segreteria della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia. Ho subito deciso di partecipare perché la comunicazione sociale è un ambito che mi appassiona e trovo molto utile e soddisfacente raccontare storie che possano sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi. 

2. Un Premio Giornalistico può realmente sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali?

Sì, personalmente ritengo che la comunicazione rivesta un ruolo fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche sociali. Per questo, il Premio Giornalistico Bisceglia contribuisce a selezionare e diffondere alcune storie con questo obiettivo.   

3. Qual è la storia che hai raccontato che ti ha segnato di più?

La storia di Antonio Acciarino, con cui partecipo a questo premio. Sentire dal vivo il suo racconto mi ha impressionato molto: in particolare, ho apprezzato la calma e il sangue freddo con cui Antonio ha affrontato l’incidente che ha subito, e poi la determinazione e la voglia di vivere con cui è riuscito a rialzarsi e a ricominciare di nuovo. Trovo inoltre ammirevole il suo impegno nel divulgare la sua storia perché possa essere d’ispirazione e nell’allenare altri ragazzi disabili, dando loro fiducia e facendo riscoprire loro le infinite possibilità che la vita riserva a ciascuno di noi. 

4. Esiste una ricetta per raccontare la sofferenza con oggettività?

Non credo che possa esistere una “formula magica” per raccontare la sofferenza, anche se ci sono sicuramente dei metodi e dei criteri da utilizzare. Penso che un ingrediente fondamentale sia l’empatia; poi non può mancare la flessibilità, per adattare il modo di raccontare alla storia, caso per caso, cercando di valorizzare il messaggio e i valori che il protagonista di quella storia porta con sé.

5. Hai mai incontrato barriere nel raccontare la sofferenza? Se sì, di che tipo?

Talvolta la sofferenza può essere difficile da raccontare: una delle difficoltà è riuscire ad esprimerla in modo che le persone possano empatizzare, sentirsi coinvolte e quindi recepire meglio il messaggio che quella storia vuole trasmettere. Un’altra difficoltà per il giornalista o il comunicatore è quella di saper gestire a livello emotivo la sofferenza che alcune storie ed esperienze portano con sé, per poterla raccontare al meglio.

6. Il giornalismo moderno dà un adeguato spazio alle tematiche sociali?

A mio avviso no, si potrebbe dedicare molto più spazio a queste tematiche.  

7. L’utilizzo della intelligenza artificiale nel giornalismo è un valore aggiunto o un rischio per la comunicazione sociale?

Dipende: da una parte può essere un aiuto nello svolgimento di alcuni compiti meccanici o ripetitivi che un giornalista si trova a fare, come la trascrizione di un’intervista telefonica. D’altra parte, però, per la comunicazione sociale sono indispensabili sensibilità ed empatia, capacità che solo un essere umano può avere e che non potranno mai essere sostituite da una macchina o algoritmo.    

8. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Sarebbe troppo lungo elencare tutte le caratteristiche necessarie per essere un buon giornalista. In sintesi, credo che i due valori fondamentali per esserlo siano due: la libertà e la verità. Un buon giornalista deve essere libero di raccontare le storie che ritiene interessanti senza condizionamenti esterni o interni alla redazione e fare tutto il possibile per accertare la verità e raccontarla. Anche quando questo può essere pericoloso o difficile.