Intervista a Mariangela Masiello

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

È certamente una sfida, come lo sono la comunicazione e il giornalismo più in generale. Chiudere un pezzo come questo è stato un po’ come mettere fine a un percorso, a un viaggio che mi ha portata a interfacciarmi con emozioni e persone forti. Alla fine il bello di raccontare una storia è proprio questo, tutto quello che accade nel frattempo e che poi porta al risultato finale, con la speranza di aver dato voce a chi, spesso, non ha i mezzi per farsi ascoltare.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Nel mio percorso professionale ho incontrato tante persone con vissuti spesso problematici o intensi. Le storie di Adele e Debora, che ho raccontato per candidarmi al premio, sono sicuramente tra quelle che mi hanno toccata più nel profondo e che mi hanno spinta a vedere da una nuova prospettiva le cose, mi hanno insegnato a non dar mai nulla per scontato e mi hanno fatto comprendere il potere immenso dell’empatia.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Il bello e il meno bello, storie e vicende che meritano di essere raccontate perché possono essere di ispirazione e che possano spingere a fare o non fare una certa cosa, che portino alla luce il bello e il brutto della società.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Non sempre, purtroppo. Spesso poi quando si parla di comunicazione sociale, la narrazione punta molto su toni stucchevoli, pietismo e patetismo, che bisognerebbe invece evitare.

5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non necessariamente, è sufficiente che siano interessanti, curate e approfondite. Mi piace molto il concetto di slow journalism, il giornalismo lento, che si oppone a tutto ciò che è mainstream e che si offre un po’ come servizio che chi scrive offre al pubblico.

6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Prodotti commerciali, perlopiù. In buona parte anche a causa della profonda crisi che sta vivendo l’editoria.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Un buon giornalista deve essere sempre curioso e “affamato”. Si muove perché spinto da sincera passione e non per semplice inerzia.

8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Conoscevo già il premio, Alessandra e la sua storia.

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