Intervista ad Annachiara Giordano

  1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Si può definire sfida, in quanto parlare del sociale comporta sempre il dover avere anche la capacità di rispettare e tutelare ciò che si racconta e le persone coinvolte, le quali spesso vivono situazioni complicate e l’attenzione dei media può creare loro delle difficoltà ulteriori.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Mi ha segnato raccontare dell’iniziativa WeMi (Welfare Milano) perché mi ha permesso di registrare una Milano diversa da quella che solitamente si conosce, tutta apericene e alta moda.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo che i media debbano raccontare maggiormente casi di redenzione, di riscatto, soprattutto delle aree periferiche ma non solo. E penso che bisogna farlo concentrandosi sul diffondere le numerose associazioni e realtà sul territorio nazionale che si occupano quotidianamente di assistenza alle persone e di rivalutazione del territorio.

  1. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Sfortunatamente si parla ancora poco di Comunicazione Sociale sulle testate nazionali. Il tema è affrontato soprattutto sulle testate locali, meno diffuse ma più radicate sul territorio. Da quando è scoppiata la pandemia però qualcosa è cambiato e la riscoperta dell’importanza dei rapporti umani ha spinto anche i media a interessarsi al sociale.

  1. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Uno degli elementi fondanti della notizia è proprio la novità, ma credo che sia interessante per il pubblico anche seguire certi episodi e la storia di certe persone in un determinato arco temporale.

  1. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Se un tempo le testate erano totalmente servizio pubblico, oggi che generalmente fanno parte di gruppi aziendali devono fare i conti con il fatturato e ciò sposta la bilancia verso la commercializzazione.

  1. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Credo che essere un buon giornalista significhi sapersi fare da parte nel raccontare la realtà senza pregiudizi e in modo onesto, nei suoi aspetti migliori e in quelli peggiori, ma pur sempre con correttezza e rispetto per gli altri.

  1. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Sono venuta a conoscenza del Premio tramite la Scuola di Giornalismo di Napoli che frequento per realizzare il mio sogno di essere giornalista.

 

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