Intervista ad Andrea Caruso

1.È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Non solo per il tema così specifico, ma soprattutto perché il premio pur essendo “solo” alla sua sesta edizione ha subito guadagnato una sua riconoscibilità e prestigio. Quindi, il livello degli elaborati a concorso è molto alto.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Non mi va di menzionare una storia in particolare. Come giornalista, ho sempre cercato di affrontare ogni storia a testa bassa, con rispetto, tatto e sensibilità, impedendo però che l’emotività mi coinvolgesse a tal punto da “contaminare” il lavoro giornalistico. Il rischio altrimenti è di raccontare una storia che facilmente commuoverà chi la legge/ascolta/guarda, ma priva di quel contenuto di informazione che spieghi il perché di quella storia.

3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

Credo che a prescindere dalla rivoluzione attuata dai social network, l’obiettivo del giornalismo non sia poi tanto cambiato. Lo scopo è sempre quello di portare a una vasta platea la conoscenza di fatti/fenomeni che a giudizio di chi fa questo lavoro abbiano una rilevanza e un interesse pubblico.

4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Secondo me sì, la comunicazione sociale trova molto più spazio rispetto al passato. Si è compreso il valore delle good news, quando mescolate alle bad news, l’importanza di affrontare temi e storie che toccano da vicino e nel profondo i cittadini molto più di quanto non facciano alcuni temi cari alla politica, ad esempio. Non so se esistano parole giuste, credo però che esistano parole e approcci non “giusti”. Cerco sempre di evitare frasi fatti o artificiosamente letterarie che non aggiungono nulla e danno solo una dimensione “pietistica” a temi come la malattia e la disabilità. Ecco secondo me bisogna evitare l’approccio “oh poverini!”, un’altra cosa che detesto è l’utilizzo di perifrasi pur di non pronunciare la parola “cancro” o “tumore”.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Niente affatto. La notizia a volte è tale perché qualcosa semplicemente “accade”, tante altre volte invece i fatti sono come la parte sommersa di un iceberg e il compito del giornalista in quel caso è di riportarli in superficie. Uno sforzo ulteriore dei giornalisti deve essere orientato non solo a raccontare la notizia ma anche a spiegarla. Il giornalismo e il giornalista non devono commettere l’errore di dare per scontato alcunché. A volte accade di ascoltare in un telegiornale opinioni, commenti, dibattiti intorno a un tema e viene da chiedersi: “sì ok, ma il fatto qual è, perché le cose stanno così?”

 6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Sono prodotti commerciali che svolgono un ruolo di servizio pubblico. Il problema è che l’informazione è un bene di cui difficilmente l’utente/cliente si riesce a quantificarne valore e importanza, anche per colpa dei media stessi. Per vent’anni siamo stati abituati a poter consultare gratuitamente e leggere gratuitamente articoli sui siti web dei maggiori quotidiani italiani e poi sui social network, dunque si è consolidata la credenza che l’informazione debba essere gratuita, qualcosa di “dato”. È molto faticoso giustificare adesso il pagamento di un abbonamento digitale. Aggiungiamo a ciò il calo ineluttabile di vendite dei quotidiani cartacei, e dunque il minor appeal pubblicitario che hanno i giornali, a fronte di un costo di produzione elevato, e si comprende come mai quasi tutti i giornali siano in difficoltà nel mantenere margini di redditività ed equilibri nei bilanci.

 7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

Principalmente significa avere curiosità, approcciarsi a volte anche con animo fanciullesco alle questioni, avendo poi il desiderio di condividere una scoperta = la notizia, con un pubblico a cui la si vuol provare a spiegare e raccontare. La maggior pervasività del web e dei social network, e il rumore di fondo che generano, impone anche a un buon giornalista di saper riconoscere e distinguere una notizia da un fattoide, notizie spacciate per tali ma che in realtà non lo sono, per non parlare poi delle vere e proprie bufale.

 8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Lo conosco da anni, probabilmente la prima volta che ne ho sentito parlare è stato grazie alle segnalazioni su siti/testate di settore per i giornalisti oppure proprio grazie all’Ordine dei Giornalisti. È la mia prima partecipazione, perché purtroppo negli anni passati non ho mai avuto un servizio in linea con il tema del concorso.

Lascia un commento