Intervista a Daniele Caponnetto

1. È una sfida partecipare a un Premio Giornalistico di un tema così specifico?

Sicuramente lo è, ma proprio per questo molto stimolante. In provincia di Cuneo il terzo settore ha un ruolo chiave nello sviluppo della comunità, quindi raccontare queste tematiche può essere, forse, più agevole che altrove.

2. Qual è la storia o il caso che hai raccontato che ti ha segnato di più?

Oltre a quella portata alla vostra attenzione, c’è sicuramente la storia di otto anziani che vivono in autogestione in uno spazio concesso dal comune di Cuneo (LINK–> https://bit.ly/3QirM9q). Porto inoltre nel cuore la storia di Clemente, mio compaesano, che ha scalato a 83 anni per la la 400^ volta il Monviso, la nostra montagna (LINK–>https://bit.ly/3tvaBaF).

 3. Cosa può e/o deve essere oggetto di informazione?

L’unico limite, a mio avviso, è dato dal contesto. Per quello che mi riguarda informare significa essere attento alle istanze di una comunità, ma cercando di mantenere sempre una giusta equidistanza. A volte è giusto prendersi la bega di pubblicare qualcosa con il rischio che non sia gradito (o peggio non fruito) dai lettori. Quello che non deve fare un buon giornalista è guardare al proprio ombelico. L’equidistanza deve essere anche da se stesso.

 4. La Comunicazione Sociale è un tema che trova spazio sulle testate? Esistono parole “giuste” per parlarne?

Sì, ma dovrebbe trovare ancora più spazio. Le redazioni, tutte, sono fagocitate dalla gestione del quotidiano fatto di cronaca, conferenze stampa, telefonate, colloqui con uffici stampa, interviste programmate… E a volte, sbagliando, si tralascia il sociale. Occorre parlarne con i giusti termini. Questo si può fare solamente con corsi giornalistici deontologici dove i relatori devono essere famiglie o associazioni che operano nel sociale.

 5. Le notizie da divulgare e raccontare devono essere sempre nuove?

Non per forza, ma a volte è utile cambiare il punto di vista per evitare l’effetto infodemia. Nella velocità dell’informazione, a volte, c’è il rischio che i giornali siano uno la fotocopia dell’altro. Bisogna prendersi il tempo di guardare le cose anche da ,un’altra angolazione.

 6. Le testate, oggi, secondo te sono prodotti commerciali o servizi pubblici?

Purtroppo il settore è in crisi. I fondi pubblici sono pochi e destinati a pochi. Questo rende difficile la sopravvivenza di testate che possono essere sovvenzionate solamente da pubblicità dei privati. Però il lavoro giornalistico deve assolutamente viaggiare su binari separati e concentrarsi sul servizio di informazione.

7. Che significa, secondo te, essere un buon giornalista?

L’equidistanza da se stessi e da chi ci legge caratterizza il lavoro di un buon giornalista che deve essere neutrale, ma sempre curioso, attento a saper leggere su più livelli ogni questione. Chi non cade nella tentazione di polarizzare da una parte o dall’altra un’informazione sta, a mio avviso, facendo un buon lavoro.

 8. Come sei venuto a conoscenza del Premio?

Tramite la newsletter di Slow News. Un movimento che sta cercando di rendere più ‘lenta’ e attenta l’informazione anche in quest’epoca di fruizione schizofrenica delle news.

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