LA GENETICA DELLE ANOMALIE VASCOLARI VERSO IL FUTURO

DAL “W ALE NOTIZIE” N°49, DEL 4 OTTOBRE 2022

Rubrica Scientifica a cura del Prof. Cosmoferruccio De Stefano

Dal convegno: “Affrontare le anomalie vascolari: ieri-oggi-domani

“Dobbiamo ringraziare la Fondazione Alessandra Bisceglia, non solo per le Stanze di Ale. Ci accomuna un percorso intrapreso diversi anni fa, perché abbiamo sempre creduto che la genetica potesse dare un contributo importante, che è quello che vorrei illustrare oggi. Vorrei far capire come e quanto la genetica possa aiutare nella riclassificazione nosologica. Ho utilizzato questo termine un po’ bruttino a mio avviso, ma già utilizzato per altre malattie genetiche quali la fibrosi cistica con approccio teranostico dove, non so se sapete, la fibrosi cistica è un po’ lontana da questo contesto. Oramai la terapia della fibrosi cistica viene fatta esclusivamente sulla base della tipologia della mutazione genetica: non solo il numeretto della mutazione, ma la dimostrazione che in colture cellulari, quale conseguenza provoca quella mutazione ed in base a questo viene scelto il farmaco da dare. Penso che la fibrosi cistica, che è anche la malattia genetica più conosciuta (perché è la malattia autosomica recessiva più frequente nelle rare), possa fare un po’ da apripista e un po’ da esempio. Vediamo, quindi, cosa si può applicare a questo campo, che è molto lontano dal punto di vista chimico ma da cui possiamo prendere spunto. In Toscana, attraverso l’inserimento nel registro delle malattie ci sono centri che possono essere abilitati a dare la certificazione. A questo punto il percorso per il paziente è molto semplificato, perché viene a fare, sempre nel nostro caso, la consulenza genetica e viene fatto il test genetico. Nel momento in cui viene data la risposta al paziente del test genetico viene anche data la certificazione. Questa certificazione consente al paziente di essere esente da ticket per i percorsi diagnostici e terapeutici connessi a quella patologia. Siamo quindi ad un passo già molto avanzato. Come parlavamo oggi con il dottor Ernesto Stasi di come ancora implementare questo percorso, abbiamo anche contattato la dottoressa Ruscio per fare in modo che il paziente con certificazione possa anche guadagnare il riconoscimento dell’invalidità saltando la visita, perché trattasi già di un paziente che ha già fatto le visite dal chirurgo vascolare, dal genetista ecc … e quindi è la certificazione che dà, di fatto, l’evidenza … e non ci sarebbe in teoria bisogno di queste visite d’invalidità, che poi rischiano di andare in commissioni dove non sempre ci sono gli esperti del settore: è una cosa che possiamo fare anche insieme alla Fondazione Alessandra Bisceglia nelle prossime settimane. Vi parlo di un nuovo modo di fare diagnosi: l’idea è nata alla stazione di Crema insieme a Massimo Vaghi: utilizzare la biopsia liquida.

Che cos’è la biopsia liquida? È quella tecnica per cui, invece di fare una biopsia reale, quindi prendere un pezzo di tessuto, si va a fare un prelievo di sangue ma in realtà si usa il plasma, non la parte corpuscolata del sangue. Dentro il plasma si vanno a cercare dei frammenti di DNA che derivano da tutti i nostri tessuti.  In realtà il plasma è lo spazzino di tutti i nostri organi e quindi raccoglie tutti i detriti, incluso il DNA delle cellule morte e così i tessuti si rigenerano. Ovviamente quando c’è una patologia tumorale o una patologia come questa, che può essere in qualche modo assimilata a un tessuto in crescita, avremo comunque un numero maggiore di cellule morte e questi detriti possono essere presi nel plasma. Quindi, la biopsia liquida non è nient’altro che un trucco, un espediente per andare ad avere del DNA proveniente da questi tessuti con questa crescita abnorme. Il prelievo può essere fatto dalla vena periferica del braccio, ma può essere fatto anche più vicino alla malformazione vascolare (quando è possibile ovviamene) e questo ci permette di incrementare la trazione di DNA derivante dai tessuti morti della malformazione vascolare e quindi ci permette di aumentare il nostro potere diagnostico. Quindi il percorso è: prelievo periferico o dalla vena efferente, separazione del plasma, analisi DNA nel plasma. Tutto questo un po’ di anni fa sarebbe stato considerato un’eresia perché, anche tutt’ora, credo che alle scuole superiori si insegni che il DNA è solo nel nucleo delle cellule e non nelle cellule anucleate e non nei fluidi. Oggi sappiamo che non è vero e ci sono dei frammenti di DNA in ogni fluido, incluso le urine, incluso lo sperma e le lacrime: qualsiasi fluido biologico del nostro corpo contiene frammenti di DNA che sono detriti utilizzabili per le diagnosi. Negli ultimi due o tre anni, dal 2019 appunto, abbiamo visto 53 pazienti che possono essere suddivisi con la classificazione più tradizionale come klippel-trenaunay o pros (sindrome angio-osteoipertrofica), ma in realtà mi occupo più di genetica e sono molto affezionata agli eponimi piuttosto che agli acronimi che riutilizzano in realtà il gene evocato perché, gli eponimi hanno quel valore storico clinico a cui non possiamo prescindere. Le alterazioni arterovenose, linfovenose e venose e le malformazioni capillari. Abbiamo applicato la biopsia liquida a questi 53 casi e abbiamo dimostrato che per il 70 per cento dei casi la biopsia liquida è in grado di fare la diagnosi, nel senso che consente di trovare qual è il gene responsabile della malformazione vascolare, gene che è mutato nella fase dello sviluppo embrionale e che quindi colpisce solo una parte del nostro corpo: in particolare, quelli che poi vanno a sviluppare la malformazione vascolare che possono essere prevalentemente vasi; oppure, come nella kipple-trenaunary e sindromi correlate, non solo vasi ma anche cute e tessuti circostanti. Nei pazienti si trovano mutazioni PIK3CA. L’importante è capire qual è il gene mutato, poi il gene è quello su cui si può fare terapia. La novità è la tecnica che noi proponiamo, che è molto interessante da un punto di vista di diagnosi definitiva, che è appunto la telicid affiancata alle terapie chirurgiche, poi saranno gli specialisti a trovare i protocolli adeguati. Ma il fatto di poter avere un farmaco, una terapia medica che si affianca credo che sia una cosa estremamente interessante

 (ndr: a questo punto la relatrice illustra una serie di slide, consigliamo di vedere il video della relazione dal minuto 12.40)”.

La relatrice poi conclude: “In generale, quello che vorremmo portare alla vostra attenzione è l’utilizzo, non solo diagnostico della genetica ma l’utilizzo per l’approccio terapeutico”.

Alessandra Renieri Dipartimento Biotecnologie Mediche Università di Siena