DAL “W ALE NOTIZIE” N°45, DEL 30 SETTEMBRE 2021
Rubrica Scientifica a cura del Prof. Cosmoferruccio De Stefano
È sempre più la famiglia, il centro intorno a cui ruotano le attività della nostra Fondazione.
Prima di tutto, perché la famiglia si ammala con la persona colpita da una patologia destruente, rara e poco conosciuta … e poi perché spesso è l’unica vera risorsa accanto a chi soffre. Per questo motivo, dare supporto a questa entità fondamentale della nostra società, vuol dire dare un aiuto, tra i più preziosi, a migliorare la qualità della vita del malato.
Fortemente motivati da questa consapevolezza, abbiamo scelto di concentrarci sulla figura del caregiver, cioè di colui che si assume, nell’ambito della famiglia, il compito di assistere quotidianamente il parente malato, disabile o avviato alla disabilità. I caregiver, che ad oggi sono perlopiù donne, sono persone che spesso pagano un prezzo altissimo a livello personale, con conseguenze dolorose sulla sfera emotiva e del lavoro.
In un contesto così difficile, raggiungere l’“Armonia Possibile” significa rivedere il sistema
famiglia come un insieme di persone, ciascuna con le proprie emozioni, i propri vissuti e i propri pensieri, alla luce delle difficoltà quotidiane e della malattia stessa (in termini di gravità o disabilità). In tale situazione “l’armonia possibile” è raggiungibile solo quando tutti questi
aspetti sono riconosciuti e gestiti nella piena consapevolezza e rispetto reciproco dei vissuti di ciascuno, rappresentando l’unica chiave, straordinariamente efficace, per poter affrontare in modo funzionale e sincronico la dimensione del dolore e della sofferenza.
Affinché il paziente sviluppi la sua autonomia è dunque fondamentale che ci sia un clima armonico nell’ambito della famiglia, elemento fondamentale per favorire lo sviluppo dell’autonomia del paziente e salvaguardare la salute della famiglia. Quindi con la guida “l’Armonia possibile”, abbiamo voluto fortemente concentrarci sul benessere della famiglia. In
quest’ottica, il caregiver familiare, avrà un ruolo importante, anche se i suoi compiti sono
continui e gravosi, per garantire il benessere psicofisico della persona presa in cura. Si tratta di un’attività pesantissima, che spesso ha un impatto significativamente negativo sulla qualità della vita del curante.
Secondo una indagine dell’Associazione italiana malati Alzheimer, il 66% dei caregiver italiani è costretto a lasciare il lavoro, inizia a sperimentare senso di impotenza e si sente inadeguato rispetto alle cure, abbandonato e isolato.
Si assiste ad un isolamento Attivo, in quanto dedicherà ai familiari sempre meno tempo e attenzione, e passivo, in quanto i congiunti, sentendosi esclusi, troveranno più semplice estraniarsi. Ci troviamo di fronte a situazioni in cui, un iniziale gratificante impegno si trasforma in un mal sopportato carico gravoso e si passa da un solare “voglio farlo”, ad un
disperato “devo farlo”.
È a questo punto che le libere scelte divengono rinunce, influendo negativamente, non solo
sulla qualità della vita intra ed extrafamiliare del caregiver, ma anche sulla qualità ed efficacia della sua assistenza. Ciò viene dimostrato e confermato da alcuni studi, dove si registra
una percentuale del 20% più elevata di problemi di salute psichica tra i caregiver familiari
rispetto al resto della popolazione (Colombo et al., 2011).
La perdita di fiducia reciproca si fa sempre più evidente. L’assistenza ad un paziente problematico può, inoltre, essere causa di disturbi fisici per il curante, come i traumi legati agli sforzi, i disturbi gastro intestinali o l’abuso di farmaci. Possono sopravvenire anche problemi psichici, come l’alterazione del sonno o lo stress che, con l’esaurimento delle risorse può, nei casi peggiori, sfociare nella depressione e/o nella sindrome da consumo. Il gruppo che deve confrontarsi con questo tipo di problematiche avrà, quindi, necessità di un grande lavoro di squadra, fatto di suddivisione dei compiti, condivisione di responsabilità e capacità ad organizzare gli spazi di ricarica emotiva. Per cui nella nostra visione, il caregiver deve tener conto dell’intera famiglia non solo del paziente.
Alla luce di quanto finora esposto, si comprende come sia l’intera famiglia ad essere colpita dalla diagnosi di una malattia cronica. Infatti, l’alterazione della vita di chi si ammala
con l’incidenza sul suo vissuto e lo sconvolgimento che determina, ha violente ripercussioni su quanti lo circondano. Nelle malattie croniche il fattore imprevedibilità si aggiunge al carico emotivo e fisico. Il tutto aggravato dal fatto di non aver più il controllo di quanto avviene. Diversi studi hanno rilevato come, in condizioni di questo tipo, esista una maggior incidenza di disturbi d’ansia e dell’umore ed anche un maggior rischio suicidario. Il paziente va incontro ad una sorta di ridefinizione della propria identità, in termini di autostima, senso di autoefficacia e immagine corporea.
Per questo è importante una visione globale del paziente, con una storia, con le sue emozioni, e non solo con la sua malattia. In tal senso gli ingredienti che servono per favorire l’armonia sono: collaborazione, riconoscimento dei ruoli, accettazione della malattia, possibilità di richiesta di aiuto e di sostegno tra i membri o fuori dal contesto familiare, facendo riferimento ad interventi di sostegno psicologici.
Tra gli obiettivi:
• Aiutarlo ad instaurare in famiglia tecniche di collaborazione e condivisione, per meglio
affrontare il carico psicologico nella gestione della malattia. Nello specifico, trasformarlo, da unico sopportatore di fatiche a direttore d’orchestra, che guida nella ridistribuzione delle attività tra tutti i componenti della famiglia, aiutando ad orientare le scelte di ciascuno nel pieno della consapevolezza dei rispettivi ruoli. Seguendo questa logica, il caregiver non obbliga a compiti che possono essere interpretati come forzature o rinunce, ma coordina le attività dei membri della famiglia, in funzione delle capacità e sensibilità di ciascuno.
• Aiutarlo ad accettare quanto offerto dagli altri familiari, orientandoli nella condivisione
dei compiti di assistenza e portando tutti a collaborare, per il massimo bene comune, con il minimo disagio per le rispettive sfere personali.