(dal notiziario “W Ale Notizie” n°22, del 18 dicembre 2015)
di Afra Fanizzi
Vito Toto, chirurgo plastico che i pazienti delle stanze di Ale a Venosa e Roma hanno imparato a conoscere, è il vincitore della borsa di studio finanziata dalla Fondazione Alessandra Bisceglia W Ale Onlus, realizzata in collaborazione con l’Università Campus Bio-medico di Roma (dottorato di ricerca in Scienze Biomediche Integrate ed Etica). In un’intervista ha raccontato i primi passi di questa ricerca, iniziata a novembre e che durerà tre anni.
Quali sono alcuni degli argomenti oggetto della sua ricerca? Sto seguendo due filoni. Uno relativo alla geneticità delle malattie vascolari, che individui i geni più frequenti coinvolti e adegui una terapia farmacologica che ne arresti perlomeno la progressione. L’altro è un confronto fra l’approccio della radiologia interventistica, volto a chiudere i vasi, e l’aspetto chirurgico che si basa sull’asportazione delle lesioni.Voglio capire il confine fra queste due metodologie, diverse per invasività, per garantire con sempre più precisione un approccio invece che un altro.
Lavorando con la Fondazione per le Stanze di Ale, che percezione ha avuto della conoscenza delle MAV a più livelli? Partendo cioè dai medici di famiglia, dalle famiglie e dai pazienti stessi. In questi anni ci sono stati molti passi in avanti nell’ambito della consapevolezza. Un aspetto importante riguarda anche la terminologia: non tutto è un angioma. Esistono anche le malformazioni vascolari.
Quali sono le difficoltà maggiori che si trova ad affrontare parlando di MAV? Lavorando con la Fondazione e il professor De Stefano, mi sono reso conto di quanto sia fondamentale, per tirarne fuori degli studi, avere un numero cospicuo di affetti da tali patologie. Parliamo di malattie che essendo geniche, hanno infinite varianti che quando sono trattate in ospedale sono classificate con dei codici troppo generici. In tal senso io e il professor De Stefano seguiamo il gruppo di lavoro finanziato dalla Fondazione per la ricerca epidemiologica presso l’Iss (Istituto Superiore Sanità), che vuole proprio modificare la classificazione di tali patologie. È un inizio, ma è fondamentale per lavorare in quest’ambito.