Nella mia seconda edizione di “Domenica In” Ale è stata non solo una valida collaboratrice ma anche un’amica dal sorriso sincero e costante.
Ricordo ancora l’estate 2008, le nostre telefonate, i nostri incontri e i discorsi sulla televisione.
Alessandra amava profondamente il lavoro di autrice ben supportato dalla sua esperienza giornalistica. Sapeva fare sempre proposte attente a rispettare il pubblico e a risvegliarlo dal torpore del lassismo cerebrale. Non era mai volgare e le sue idee erano sempre intrise di una umanità profonda.
Al centro dell’attenzione c’era sempre la persona umana, la sua dignità e la voglia di promuoverla senza filtri e con linguaggi veloci.
Ricordo quella intensa conversazione nel mio camerino con una ragazza vittima di atroci persecuzioni da parte del fidanzato. Eravamo tutte e due con il cuore aperto verso quegli occhi sofferenti e imperlati di lacrime; compassione e rabbia erano i sentimenti che provavamo di fronte al dramma che ancora bruciava sulla pelle di quella ragazza. Restammo in silenzio quando chiusi dietro le spalle della giovane la porta del camerino. Facemmo un respiro e ci dicemmo l’importanza di raccontare quella storia con la stessa delicatezza con cui si tocca un cristallo. Quel racconto doveva essere strumento per chi, purtroppo, viveva simili realtà e dalla conversazione doveva emergere non il racconto morboso capace di scalare i picchi dell’audience ma i sentimenti di una donna che cominciava a reagire alle sue sofferenze. Ecco, su situazioni come queste, con Ale ci ritrovavamo senza tante parole. Vedo ancora i suoi occhioni sgranati durante le nostre conversazioni sulla vita, una cominciava un pensiero, l’altra lo concludeva. Sentivamo sempre l’esigenza di far emergere i sentimenti nella loro verità, senza censura ma con il rispetto tipico di chi non vuole mai giudicare.
Ale era sempre propositiva. Ricordo le riflessioni che facemmo su un talk al femminile che mi era stato proposto; mi disse che lei aveva già scritto un progetto simile anche se, con un’ottica di fondo diversa da quella che mi si proponeva e che lo aveva anche depositato in SIAE. Si chiamava “Detto tra uomini” ed era un talk che raccontava l’universo femminile attraverso gli occhi dei loro compagni, dei loro figli o dei loro papà. Da queste premesse cominciammo a sognarlo con le due donne di diversa personalità che mi erano state suggerite. Queste riflettevano su un tema legato all’universo femminile confrontandosi anche con un’altra donna che però era testimone o esperta della realtà raccontata. Intanto un uomo, ripreso con una telecamera, seguiva la conversazione da un monitor dietro le quinte. A metà trasmissione egli sarebbe entrato per raccontare il suo punto di vista sulla questione trattata.
Non si dava mai per vinta Alessandra e riusciva anche a ritrovare l’impossibile.
Una volta dovevamo rintracciare una donna vittima di un tradimento del marito. Il giornale che aveva raccontato la storia, nel tempo in cui lo contattammo, aveva perso i riferimenti ma, dato che la storia era funzionale al dibattito che dovevamo realizzare, Ale non si diede per vinta: “ho un’idea. Dammi un’ora di tempo e la trovo” mi disse. La sua determinazione non mi diede dubbi. Ale trovò quella donna. Il dato che aveva era che, questa donna, viveva in un paesino sperduto dell’Italia. Ale cercò, tramite le pagine gialle, un bar del cento della zona, chiamò e chiese al proprietario se conosceva la persona che cercavamo e, visto che nei paesini tutti conoscono tutti, la rintracciò.
Ale sapeva usare il computer in modo rapido, fu lei che mi insegnò a registrare i dati nella chiavetta. Amava scrivere e tanti erano i suoi progetti. Tre li aveva anche depositati in Siae.
Di quello relativo alle donne ho già parlato ma c’erano anche quelli sulla cucina. “L’appetito vien leggendo” e “In cucina con… Arte”. Il primo è un programma che mette in relazione un personaggio con il libro della sua vita passando attraverso un percorso enogastronomico inerente allo stesso libro. Il secondo è invece una rubrica per gli appassionati di arte e di cucina, che cerca di mettere in relazione un’artista con un piatto legato alla sua terra, alle sue predilezioni o a quanto emerge dalle sue opere.
Ale cucinava molto bene e furono molte le serate che passammo a suon di “cous cous” preparato da lei e bucatini all’amatriciana cucinati da me.
Ma la sua profondità umana era evidente anche nelle riflessioni filosofiche che aveva iniziato a progettare insieme a Lorenza Lei, “le tre condizioni dell’essere”:
1. Solitudine-socialità;
2. Inquietudine-tranquillità;
3. Insoddisfazione-soddisfazione.
Un sommario e appunti di estremo interesse che iniziano a parlare del senso degli opposti.
Tra questi suoi appunti poi, c’è l’inizio di storie, brevi racconti intrisi del mondo e delle espressioni di Alessandra.
Ale mi aveva parlato di questi progetti ma non mi aveva detto che ad uno di questi faceva dire “Ciao puffa”. Puffa, puffina erano i nomignoli che le avevo dato. Cambio sempre i nomi delle persone a cui voglio bene e quando Lorenza mi diede questo scritto, l’assenza di Ale mi squarciò la gola.
Lessi quei fogli al tavolo di un semplice bar e già il fatto di scorrere ciò che il suo pugno aveva scritto, per me, era una po’ sentire ancora vivo il suo respiro.
Ad Alessandra piaceva moltissimo scrivere; tra i suoi sogni c’era anche quello di diventare sceneggiatrice. Lo ricorda molto bene Simona Izzo, a cui Ale aveva detto “per me scrivere è come correre”. E proprio con Simona Ale aveva un altro progetto: “Casa Rai” un programma scritto con la stessa Simona insieme a Barbara Palombelli. Un salotto, tre donne diverse tra loro ma unite proprio da una giovane redattrice con la voglia anche di presentare.
Simona lo ricorda bene: tra i desideri di Ale c’era anche la conduzione: “Alessandra ha sempre vissuto le sue difficoltà con disinvoltura e, anche per questo, doveva avere successo.
Era una donna preparata con una grande percezione di sé” ricorda Simona con cui Alessandra stabilì subito una bella amicizia. Ale andò al matrimonio di Giuppi, sorella di Simona, al torneo di tennis dei Tognazzi… Insomma entrò subito nella vita della Izzo.
Ma Alessandra non aveva solo progetti lavorativi. Ricordo le riflessioni che fece sulla casa. Voleva acquistarne una qui a Roma, mi diceva che le sarebbe piaciuto restare nella zona in cui già abitava e intanto la vedo ancora sulla sua Berlingò attrezzata che aveva comprato. Da lì le nostre serate avevano avuto una svolta: cinema, cene, passeggiate e mentre scrivo rivedo ancora quel sorriso felice e determinato che sbuca dai sedili posteriori dell’automobile che mi ricorda la bellezza e la forza di un animo capace di volare al di là di tutto.
Lorena Bianchetti